Parma-Betlemme : il diario del Liceo “Bertolucci”


Tavola della pace


Una delegazione del liceo in “Missione di pace”. Il primo giorno: il lungo viaggio, i check-point, il muro che divide due mondi…


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liceo_bertolucci

“Siamo qui in primo luogo per ascoltare. Per incontrare persone, luoghi, storie. E poi per raccontare. Per comunicare la realtà che vediamo”. Esordisce così Flavio Lotti accogliendo i 212 “folli” che a sera sono finalmente giunti – dopo un viaggio complesso e denso di imprevisti – a Betlemme.

“Da qui – ha continuato – si vede la realtà del conflitto israelo-palestinese. Ognuno di voi incontrerà un frammento di questa realtà e deve prestare attenzione a non assolutizzarla. Perché la realtà è complessa, caleidoscopica. Magmatica. Il programma di questa settimana di incontri è stato elaborato con enorme fatica perché sembra che per questa stessa terrà la parola pace abbia perso di interesse. Per la prima volta dal 1989 infatti non riusciremo ad avere un momento congiunto di incontro, scambio e riflessione che veda compresenti i movimenti e le realtà della società civile palestinese ed israeliana”.

Occorre guardare a questa terra tenendo conto dell’evoluzione e dei cambiamenti continui che la caratterizzano – dice il console italiano a Gerusalemme Gianpaolo Cantini che è venuto a salutarci. Oggi – continua il console – la prospettiva dei due stati, prospettiva che con fatica la politica internazionale e la diplomazia ha elaborato negli anni, sembra perdere giorno dopo giorno valore ed interesse”.

Un modo gentile – diplomatico – per dire che la pace si allontana invece di avvicinarsi. Ed anche che per dire del rischio che la questione palestinese ed il processo di pace vengano messe ai margini da altre urgenze, altre storie. Altre guerre, altra violenza. Come quella che a pochi passi da qui insanguina la Siria.

Sono quasi le 9 di sera quando chiudiamo la breve assemblea plenaria in cui ci siamo guardati in faccia e salutati. Ed in cui i 206 nostri compagni di viaggio di questi giorni ci hanno subito identificato come “quelli del Bertolucci” inviati dalla loro scuola e dalla loro provincia ad ascoltare per poi comunicare.

Eravamo partiti prestissimo da Parma. Alle 3.30. E pioveva a dirotto. Betlemme ci ha accolti alle 20.00 dopo una giornata lunghissima in cui per ore abbiamo atteso all’aeroporto ben Gurion di Tel Aviv l’arrivo del charter da Roma. Poi, finalmente, in bus: 212 persone, 4 autobus zeppi.

Tel Aviv Betlemme sarebbero 45 minuti di autostrada. Ma il tempo qui obbedisce ad altre dinamiche: prima di Betlemme la strada è interrotta da polizia e militari che hanno chiuso l’accesso alla tomba di Rachele. Non si passa e così ci aspetta un lungo giro e una lunga coda.

L’autostrada è chiusa da un lato da un altissimo muro che separa il territorio palestinese da quello israeliano. Superiamo il check point ed entriamo a Betlemme, in territorio palestinese. E’ un altro mondo. Pochi metri, eppure il confine si fa visibilissimo nei muri scrostati delle case, nelle finestre scardinate. Nel selciato sconnesso. Nelle strade rattoppate. Nell’insediamento israeliano che si intravvede nella collina di fronte all’hotel: un fortino circondato da mura. Una cittadella fortificata.

Suonano più vere le parole di Flavio Lotti che, spiegando il senso della nostra presenza, sostiene che dal tempo della crisi globale non si esce se non si riparte dall’insieme, dalla capacità di inquadrare anche la nostra crisi dentro la crisi più grande. E guardandola dai marciapiedi di fronte all’Hotel Bethlehem questa è davvero un’altra cosa.

E’ notte su Betlemme. Domani ci aspetta l’incontro con il sindaco e con il rappresentante dell’Onu. Ma soprattutto alcune ore con le famiglie palestinesi che ci accoglieranno a pranzo. 100 famiglie per 200 ospiti. Per condividere una pezzo di vita.

“Ci si vede in municipio alle 8.30 – ci saluta il preside”. Lui alle sette andrà alla santa messa alla basilica della natività. Betlemme: da qui è partito duemila anni fa un fortissimo messaggio di pace. E questa terra arsa e polverosa ne ha bisogno ancora come dell’acqua che dà via.

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