Pakistan: attacco alla moschea dei militari


Junko Terao


Strage di fedeli a Rawalpindi, cuore militare pakistano. Un commando irrompe in una moschea blindatissima frequentata soprattutto da militari in pensione.


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Pakistan: attacco alla moschea dei militari

E' l'ennesimo attacco in pochi mesi, in risposta all'offensiva anti-talebana in corso in Sud Waziristan. E Washington, intanto, estende le operazioni 'pulite e invisibili' dei droni.

Un attacco spettacolare e sanguinario in una blindatissima moschea di Rawalpindi frequentata da militari in pensione, sferrato nel giorno della preghiera subito dopo l'«Allah u Akbar» pronunciato dall'Imam. Almeno quaranta morti e ottanta feriti – tra cui anche donne e bambini – il bilancio, sette gli attentatori del commando che ha messo a segno la sesta operazione nel corso dell'anno contro la città che ospita il quartier generale dell'esercito di Islamabad, il cuore del sistema di difesa del paese, a sottolinearne, ancora una volta, la vulnerabilità. Le modalità e il luogo dell'attacco, infatti, sollevano molti dubbi sulle misure di sicurezza che più volte si sono dimostrate inefficaci: com'è possibile che sette uomini, armati di granate e fucili, siano riusciti a penetrare nella moschea del Qasim market, nel quartiere di Westridge, teoricamente il più sicuro dato che ospita il quartier generale dell'esercito e altre strutture militari? Per di più nella moschea dovevano essere ammessi solo i militari perquisiti dalla sicurezza. E' quello che si chiedono i pakistani, che appena un mese fa avevano assistito a un altro incredibile attacco terroristico, con tanto di militari presi in ostaggio, al quartier generale dell'esercito. A quanto pare i sette avrebbero scavalcato un muro sul retro della moschea, che può contenere fino a duecento persone, anche se non è chiaro quanti fedeli si trovassero al suo interno al momento dell'agguato. Secondo testimoni oculari, i terroristi hanno fatto irruzione appena terminata la preghiera lanciando due bombe a mano e sparando all'impazzata, uccidendo a sangue freddo alcune delle persone che si trovavano riverse al suolo. Due degli attentatori si sono poi fatti esplodere, facendo crollare il tetto dell'edificio, gli altri sono stati uccisi dalle forze di sicurezza, intervenute poco dopo. Il nuovo attacco terroristico fa parte dell'escalation già annunciata in risposta alla grande offensiva di terra anti talebana che Islamabad ha da poco iniziato in South Waziristan. Come ha dichiarato il ministro degli Interni, Rehman Malik, "si sono vendicati per il successo delle operazioni". Ma stavolta il messaggio dei terroristi ha anche un altro oggetto: Washington ha infatti da poco autorizzato un'estensione dell'utilizzo dei droni della Cia, i velivoli senza pilota che sparano missili comandati a distanza, già ampiamente usati nelle aree tribali al confine con l'Afghanistan e sotto accusa per l'alto numero di vittime civili che finora hanno provocato. La decisione fa parte del piano di rinforzo della presenza Usa in Afghanistan e potrebbe includere l'inizio delle operazioni dei droni anche in Baluchistan, zona fuori dalle aree tribali ma dove si pensa si nascondano i leder talebani afghani. Una questione, quella dei droni, che genera costanti attriti tra i due alleati, ed è fonte principale delle proteste della popolazione pakistana contro il proprio governo e contro la presenza americana nel paese. Secondo un recente sondaggio, infatti, il 67% dei pakistani è contrario. Stando alle parole di un funzionario del governo di Islamabad riportate ieri dal New York Times, circa ottanta attacchi missilistici messi a segno coi droni avrebbero provocato più di 400 vittime tra i combattenti nemici e solo venti morti civili. Cifre assai lontane da quelle non ufficiali secondo cui i civili uccisi finora sarebbero "diverse centinaia", e che Amnesty International ha già bollato come "improbabili". Anche perchè, sostiene Tom Parker, direttore delle politiche per il controterrorismo di Amnesty, "tutto ciò che disumanizza il processo rende più semplice premere il grilletto". Una cosa è certa: gli Stati Uniti ritengono i droni – strumento pulito e invisibile – il mezzo più efficace per colpire i terroristi a casa loro. Lo dimostra il fatto che ci sono state più operazioni del genere sotto Obama che sotto Bush Jr, anche perchè fino al 2008 il governo pakistano era riluttante a collaborare. Operazioni che la Cia si guarda bene dal confermare. Proprio la mancanza di dettagli a riguardo impedisce di stabilire se queste rientrino nei confini del diritto internazionale o se ne violino le leggi. Ufficialmente il governo pakistano non risparmia critiche sull'utilizzo degli aerei comandati a distanza: recentemente il primo ministro Syed Yousuf Raza Gilani li ha definiti "controproducenti" perchè alimentano l'anti-americanismo tra la popolazione. In realtà, rivelano gli americani, Islamabad fornisce supporto di intelligence, suggerisce gli obbiettivi da colpire e permette ai droni di decollare da un base militare in Baluchistan.

Fonte: lettera22.It
5 Dicembre 2009

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