Odia che ti passa


Alessandro Dal Lago


Da quando il governo ha lanciato la "campagna sicurezza" un’ondata di divieti si è riversata sul nostro paese. "E dietro non c’è solo sadismo istituzionale e ossessione per la disciplina,le apparenze a tutti i costi. Così l’Italia si sta trasformando in un paese tetro, militarizzato, oscenamente perbenista".


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Odia che ti passa

Nel nostro sfortunato paese un'aggressione razzista finisce a fondo pagina o è minimizzata come un episodio qualunque, magari una baruffa tra ragazzi (è il caso di Genova). Succede da quando il governo di destra ha lanciato la campagna sulla sicurezza a tutti costi. Ma che rapporto c'è tra razzismo e sicurezza?
Mettiamola così: tutti i divieti nostrani, locali e nazionali, su cui la stampa di mezzo mondo sta ironizzando, hanno come bersaglio diretto e indiretto gli stranieri: vietato girare con i borsoni (Venezia), vendere sulle spiagge (mezza Italia), fermarsi a chiacchierare con le ragazze per strada, se sono – o sembrano – prostitute (Roma), sedersi in più di due sulle panchine (Novara), lavare i vetri agli incroci (Firenze), chiedere l'elemosina distesi (Firenze) o sui gradini delle chiese (Assisi), bere in pubblico dopo una certa ora (Genova)… Se non sono stranieri, saranno poveracci con la carta d'identità italiana, nomadi, ambulanti, mendicanti, gente che si comporta come stranieri.
Dietro l'ondata di divieti non c'è solo il normale sadismo istituzionale: c'è l'ossessione aggiuntiva dei sindaci di destra, a cui si sono aggiunti molti di centrosinistra, per il decoro, la disciplina in pubblico e in privato, le apparenze a tutti i costi. Ed ecco come questo paese, in cui i treni vengono soppressi per motivi arcani (quando non si spezzano in due), le università affondano, i salari sono bassi, l'economia cigola, e milioni non sanno come arrivare alla fine del mese, sta anche diventando tetro, militarizzato, oscenamente perbenista. Vieta che ti passa, vien voglia di dire. O per dir meglio, odia che ti passa. Alla fine, il circolo si chiude. Più si diventa tetri, frustrati e socialmente insicuri, più è facile prendersela con gli stranieri.
Il razzismo italiano tira in balle scemenze sulla razza nelle sue frange estreme, nazistoidi. Talvolta, se la prende con le religioni e straparla di etnie (la Lega). Ma il razzismo più diffuso, soprattutto nelle istituzioni e nell'opinione pubblica che conta (giornali e televisioni) è quello che tira una linea immaginaria tra un noi sempre più isterico e un loro sempre più ampio e minaccioso. È il razzismo della chiusura, dell'arroccamento, della fortificazione in casa, del bar in cui si battono i pugni del tavolo.
Ed ecco perché, se gli atti razzisti li commettono i ragazzotti di destra, gran parte degli altri finiscono per assentire, direttamente o no. Mentre tutta Europa ci guarda con sospetto, da noi il razzismo è innominabile perché è diventato cultura prevalente: magari non maggioritaria statisticamente, ma l'unica che ha diritto di parola. Se è solo la Chiesa a sollevare il problema, vuol dire che la società è al collasso. E mentre la destra gonfia i muscoli e si drappeggia con i divieti, in questo silenzio assordante nasce la sconfitta di ogni alternativa, politica e civile.

Fonte: Liberazione

20/08/2008

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