Nairobi. La fine dell’assalto


Rita Plantera


Il presidente Kenyatta ha dichiarato tre giorni di lutto nazionale. Durante il raid sono rimasti uccisi 61 civili e sei guardie. Diversi corpi sono ancora sotto le macerie.


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Dopo quattro giorni di assedio al Westgate di Nairobi le forze di sicurezza kenyote hanno sferrato ieri sera l'attacco finale contro i miliziani di Al-Shabaab uccidendone 5 e arrestando 11 sospetti. A comunicarlo alla nazione, il presidente della repubblica Uhuru Kenyatta che ha dichiarato tre giorni di lutto nazionale a partire da oggi. Durante il raid sono rimasti uccisi 61 civili e sei guardie di sicurezza, più di 60 i feriti ancora in ospedale e diversi i corpi ancora sotto le macerie dopo il crollo di alcune parti del tetto dell'edificio. Cifre ancora provvisorie.

Asserragliati all'interno del fastoso mall per turisti in shopping e politici locali in news briefing, i mujaheddin di Al-Shabaab hanno dominato la scena internazionale per quattro lunghi giorni. Fino a ieri mattina dentro l'edificio erano in circa dieci. Fuori, il direttorio di Al-Shabbab, la cabina di regia che via twitter in webdiffusione ha già vinto la guerra dell'informazione.

Alle dichiarazioni del ministro degli interni kenyota Joseph Ole Lenku secondo cui tutti gli ostaggi sarebbero stati liberati, aveva risposto che, benché sconcertati, questi erano ancora vivi mentre aveva smentito quelle del ministro degli Esteri Amina Mohamed secondo cui due o tre degli assalitori sarebbero uomini di nazionalità americana più una donna britannica e aveva aggiunto che i mujaheddin all'interno del mall resistevano imperterriti lasciandosi dietro «innumerevoli corpi senza vita» ancora disseminati tra un piano e l'altro dell'edificio.

Mentre al Palazzo di Vetro è in corso la sessantottesima Assemblea Generale dell'Onu in aria quasi da match finale sui destini a breve termine della Siria di Assad e dell'Iran di Rohani, a turbare le fragili intese e i discorsi pre-programmati è intervenuto da sabato scorso questo nuovo evento africano, confermando la centralità di un continente che le elezioni in Mali sembravano aver per il momento congelato. L'assalto al Westgate ha fatto irruzione con prepotenza e con calcolato e lungimirante fare, ricordando che l'asse degli interessi geo-finanziari ed economici ha spostato l'epicentro globale degli equilibri geo-politici in Africa. Dall'Afghanistan al Mali, ai recenti attentati in Nigeria e in Algeria fino all'attacco al Westgate di Nairobi, la guerra del terrore è già da tempo sbarcata in Africa sulle rotte economico-finanziarie dei mercati e delle economie emergenti contese dalla minaccia Cina da un lato, Stati Uniti, Europa e Israele dall'altro passando attraverso la Banca Mondiale e, ancora in vitro, la Banca dello Sviluppo dei Paesi del blocco Brics – Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa.

Ieri da Ginevra il premier somalo Abdi Farah Shirdon rivolgendosi allo Human Rights Council dell'Onu ha denunciato il «vile attacco» di Al-Shabaab e lanciato un appello alla comunità internazionale chiedendo aiuti non solo militari contro la minaccia dei gruppi al qaedisti. Dopo due decenni di guerra civile la Somalia ha davanti varie sfide tra cui la lotta alla disoccupazione giovanile, veicolo privilegiato di diffusione delle ideologie degli Al-Shabaab. «Pertanto è indispensabile creare opportunità educative ed economiche per i giovani. Una soluzione militare da sola non è sufficiente, la promozione dello stato di diritto, una maggiore cooperazione regionale e la stabilità economica e la fornitura di servizi pubblici sono tutti fattori chiave che completano lo sforzo militare», ha aggiunto Shirdon.

In mattinata, ancora da Ginevra, era stato il rappresentante speciale dell'Onu per la Somalia Nicholas Kay a chiedere maggior sostegno militare e il rafforzamento delle truppe soprattutto lungo tre porti della costa padroneggiati da Al-Shabaab per traffici illeciti tra cui soprattutto l'esportazione illegale di carbone. Gravato dalle sanzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e vietato dalla legge somala, tale commercio ha un valore che si aggira attorno ai 35 milioni di dollari l'anno. Se a questo importo si aggiungono i proventi della tassazione estorta alle comunità locali delle zone sotto loro controllo, si ha una stima sufficiente a calcolare la minaccia reale e potenziale di questa cellula al-qaedista di origini africane ma con adepti di nazionalità occidentale. A differenza del premier somalo, ciò che Nicholas Kay chiederà al Palazzo di Vetro sarà soprattutto il rafforzamento delle missione militare in Somalia ora nelle mani di circa 17.700 soldati dell'Uganda, del Burundi e del Kenya con in dotazione un debole equipaggiamento di mezzi aerei e di terra. Il costo di uno sforzo extra, ha aggiunto Kay, sarebbe comunque ridotto rispetto alle risorse che la comunità internazionale ha speso in Afghanistan, Mali e Iraq, ma il prezzo di un fallimento sarebbe però elevato.

Fonte: Nena News

25 settembre 2013

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