Medio Oriente, un’altra polveriera


Alessandro Micci


Secondo Michele Brondino, studioso di Maghreb e Nord Africa, anche il Medio Oriente è una pentola che bolle, sotto il vigile sguardo delle potenze emergenti. A partire dalla Siria.


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Medio Oriente, un'altra polveriera

“Perché non interveniamo anche in Siria?” si chiede Michele Brondino, studioso del Nord Africa e del Mediterraneo, mentre in Libia siamo all’ultimo atto, e Tripoli brucia? Sono solo due facce della stessa medaglia, Nord Africa e Medio Oriente? Solo nell’ultimo venerdì alcuni osservatori riportavano 28 morti negli scontri in tutta la Siria. I primi di agosto il regime di Assad bombarda la città di Hama, una delle roccaforti degli insorti, a colpi di cannone, oggi le truppe, o meglio le sacche oltranziste di lealisti ancora fedeli a Gheddafi, sparano anche ai bambini nella ormai ex ‘Piazza Verde’, ribattezzata Piazza dei Martiri, a Tripoli. “Perché non accorriamo anche in Siria, subito? Anche in Siria bisognerebbe fare un’azione umanitaria, visti i massacri che si consumano tutti i giorni e con l’esercito che spara ad alzo zero” continua ironico Brondino “ma temo che la risposta, se pure non detta, sia solo una: perché non c’è petrolio e non c’è gas, perché non è un Paese così chiave come altri”.

Di sicuro non sono mancati i segnali di qualcosa di incandescente anche in Medio Oriente dopo gli eventi nordafricani, “anche in questa zona del mondo, che ospita risorse energetiche incredibili, la pentola bolle, e tanto. Ma questa regione, ancor più del Nord Africa, ha puntati su di sé gli occhi di tutti i grandi Paesi emergenti come Cina, Brasile e India”. Secondo Brondino, co-autore de Il Nord Africa brucia all’ombra dell’Europa (Jaca Book, pp. 120, euro 12) è chiaro che la rivoluzione fa paura anche alla Cina, che in Nord Africa e nella Penisola araba è ben presente come potenza economica.

“In Siria la differenza la fa l’esercito – continua Brondino – che è tenuto strettamente sotto controllo dalla classe politica. Lì per ora non c’è nessuna spaccatura in seno alle forze armate”. Ma in tutto il Medio Oriente, nei mesi scorsi, ci sono state rivolte altrettanto violente che in Nord Africa che hanno investito Stati e monarchie come il Baharain e lo Yemen senza portare a una vera e propria rivoluzione. Il motivo per cui non si è visto ancora un Paese mediorientale insorgere come la Tunisia risiede nel fatto che “il 40 per cento della produzione del petrolio e del gas mondiale è nel golfo e nella penisola araba, dove si trovano lo Yemen, l’Arabia Saudita e il Bahrain. In quel settore tutto il mondo occidentale, e in primis gli Stati Uniti, hanno un interesse alla stabilità e a mantenere in sella chi li ha favoriti finora”.

Anche in Palestina c’è un movimento di giovani con i quali era entrato in contatto Vittorio Arrigoni, il volontario italiano ucciso alcuni mesi fa a Gaza. Sono giovani, tra loro anche universitari, che pure all’interno dei campi profughi stanno assumendo posizioni molto critiche contro Hamas, per una laicizzazione dello Stato. Inoltre un altro intellettuale palestinese, regista teatrale impegnato per la diffusione di valori laici e contro il fondamentalismo, Juliano Mer-Khamis, è stato ucciso nello scorso aprile. Sembrano correlazioni casuali, ma è difficile non pensare a una certa influenza della primavera araba. “Il vento della primavera araba è proprio questo: i giovani non fanno più ricorso alla religione. Questa non viene più strumentalizzata come fanno i Fratelli musulmani e i fondamentalisti in generale. I giovani cominciano a prendere coscienza di avere dei valori identitari diversi e che non bisogna ricorrere solo alla religione. Questo rappresenta un salto di qualità enorme, perché la religione non viene più strumentalizzata per fini violenti”.

Le rivolte e le rivoluzioni arabe sono avvenute in un momento non casuale, quello della crisi economica internazionale. “L’innesco c’è stato puntuale quando la globalizzazione economico finanziaria ha fatto scoppiare le problematiche di queste società e di queste popolazioni che vivevano sotto dittature che noi europei sostenevamo. Il Fondo monetario internazionale e la Banca Mondiale pretendevano delle misure eccessive e nel corso degli ultimi anni la situazione era peggiorata sensibilmente. Di fronte al mito del libero mercato che avrebbe regolato tutto queste società si sono rivelate più fragili”.

I tempi per il Medio Oriente però sono più lunghi, perché lì esistono realtà e assetti di potere secolari, molto più radicati che in Nord Africa. “Oggi però la rivoluzione della comunicazione e dell’informatica ha sconvolto il mondo. Quello che succede in un Paese è subito conosciuto in un altro, quindi i poteri si devono confrontare con delle realtà nuove che non possono fronteggiare con i vecchi metodi”. Se in casa abbiamo avuto la crisi greca, nel cortile di casa, come Brondino chiama il Mediterraneo, qualcosa si è mosso, ed in particolare sulla sponda sud. “Per quel che riguarda la Penisola araba – conclude Brondino – tenga presente che nel bene o nel male questo vento di primavera araba qualcosa scuoterà”.

Fonte: Famiglia Cristiana

24 agosto 2011

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