L’Islam non è morte


Michela Zanutto - Messaggero Veneto


Anche a Zugliano la preghiera di cristiani e musulmani. Il sogno di don Pierluigi Di Piazza: un’umanità in cui prevalgono l’amore, l’amicizia, la disponibilità e l’impegno concreto a costruire la pace.


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L'Islam non è morte

Cristiani e musulmani ieri si sono uniti in un’unica preghiera anche in Friuli Venezia Giulia. Una preghiera per la fratellanza, per la pace, per la vita.

Una preghiera per spazzare via quegli angoli di buio che ancora oggi ostacolano culture diverse chiamate a convivere. La chiesa di San Michele a Zugliano ha fatto da cornice a un incontro fra religioni e Umi Bana, donna velata originaria della Somalia, ha chiesto «scusa a tutti per le azioni dei terroristi. Condoglianze – ha aggiunto –. Dovete sapere però che quello non è Islam».

I versetti del Corano hanno risuonato proprio sotto la cupola con affrescata la crocifissione di Cristo, grazie alle voci di due profughi, giovani che nel viaggio verso l’Europa hanno perso mogli, sorelle, amici. «La parola Islam oggi fa paura – ha proseguito Umi Bana, mediatrice culturale in Italia da 25 anni –. Ma la religione islamica è pace e fratellanza, è solidarietà e amore.

È credo e libertà. Tutto quello che non si vede e Islam. Quello che amate voi, io amo. Quello che pregate voi, io prego. È finita la guerra, è finito il tempo del dolore, sono finiti i tempi de «la mia religione ha ragione, la tua torto». Ognuno ha il suo credo. Vivi e lascia vivere. Ami la tua religione? Credi nella tua religione? Va bene, ma lascia che l’altro creda nella sua.

Siamo qui, in chiesa, accanto al nostro fratello cristiano». Ubi Bana ha sottolineato con acceso vigore che «l’Islam non uccide, non chiede di ammazzare il prossimo. C’è ignoranza. C’è cattiveria. C’è qualcosa che nemmeno noi capiamo. Ma chiediamo scusa per la nostra piccola parte per il male che vi stanno facendo, perché il vostro male è il nostro male».

 

Accanto a lei c’erano tanti giovani profughi. «Sapete perché sono scappati dalla loro terra? – chiede Bana –. Non per fame, sono scappati per non diventare assassini usando il nome di un Dio che non c’è. Uccidi e vai in paradiso, ma stiamo scherzando? Non è scritto da nessuna parte nel Corano. Ma o sei come loro o sei condannato a morte, non c’è nessuno di noi che non abbia un familiare ucciso perché ha disobbedito».

Un lungo applauso ha accolto le condoglianze e le scuse dei musulmani del Friuli Venezia Giulia. Poi, dal pulpito, don Pierluigi Di Piazza ha indicato «due segni di luce, due ricchezze di fronte a Dio» che ci sono state donate in questi giorni. Sono le parole scritte da padre Jacques Hamel pochi giorni prima della morte, avvenuta il 26 luglio scorso nella chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray mentre diceva messa – come San Matteo – e quelle che Stefania Collavin, vedova di Cristian Rossi, ha consegnato al Messaggero Veneto.

«Padre Jacques aveva 86 anni – ha ricordato don Di Piazza –. Nel bollettino parrocchiale ha scritto un accompagnamento per l’estate in cui chiede di ascoltare «l’invito di Dio a prenderci cura di questo pianeta e a farne un mondo più ospitale, più umano e più fraterno. Prestiamo attenzione al singolo individuo e a tutti quelli che rischiano di essere soli».

Accanto alle parole di padre Jacques ci sono quelle di Stefania Collavin: «Non porta rancore verso chi le ha ucciso il marito e il papà delle loro figlie, perché deve essere l’amore a guidare la vita delle loro bambine – ha proseguito don Di Piazza –. Questa persona indica a tutti noi la strada da seguire, perché il terrorismo pretende di aizzare all’odio, di creare muri e contrapposizioni fra cristiani e musulmani, fra noi e gli altri. Questa di Stefania è un’indicazione straordinaria, è ricchezza profonda di fronte a Dio, rispetto alla quale non valgono nulla le ricchezze di questo mondo».

E dopo avere elencato uno per uno i comandamenti alla pace espressi in tutte le religioni, don Di Piazza ha detto di avere un «sogno». Un riferimento esplicito a Martin Luther King, una parafrasi delle sue parole.

«Noi uomini e donne qui presenti, di diverse fedi religiose, uniti a tutti, anche agli atei e agli agnostici che cercano giustizia e verità nella vita in nome dell’unico Dio, coltiviamo un sogno e impegniamoci per questo – ha premesso don Di Piazza –. Il sogno di un’umanità in cui non ci siano più morti uccisi dalla fame, dalle guerre, dalla mancanza di assistenza medica. In cui non ci siano fabbricanti di armi, non ci siano guerre, non ci siano terroristi che uccidono e si uccidono, sequestrano e torturano. Sogniamo un’umanità in cui prevalgono l’amore, l’amicizia, la disponibilità e l’impegno concreto a costruire la pace».

Fonte: http://messaggeroveneto.gelocal.it

1 agosto 2016

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