Le carceri e i luoghi dei diritti violati


amelia rossi


La relazione annuale presentata al Parlamento da Mauro Palma, Garante nazionale dei detenuti, fotografa le carenze dei 191 penitenziari italiani: dai cortili con servizi igienici a vista ai ‘cubicoli’ senza finestre, mentre restano la piaga dei suicidi e del sovraffollamento. Ma parla anche di altre privazioni della libertà personale: quelle che riguardano per esempio i disabili psichiatrici e quelle riservate ai migranti, durante lo sbarco prima e nei centri poi


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carceri.it

Camere e sezioni fuori uso nelle carceri, mentre in altre celle il sovraffollamento toglie l’aria, retrobotteghe della normale detenzione dove si rischia di perdere ogni dignità. Ma anche navi bloccate in mezzo al mare dove i migranti smettono di essere persone e diventano numeri. Oppure, nelle strutture psichiatriche, stanze di contenimento senza letto, con solo una coperta sul pavimento.

Sono esempi di diritti violati, in Italia, nei luoghi di privazione della libertà personale da parte dell’autorità pubblica “su cui poco si riflette”, anche quando si gestisce l’emergenza migranti e si legifera per riformare il sistema penitenziario.

Lo segnala, nella relazione annuale presentata al Parlamento, Mauro Palma, Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale. Con diverse modalità: istituti di pena, custodia nei luoghi di polizia, permanenza nei Centri di identificazione ed espulsione, residenze di esecuzione delle misure di sicurezza psichiatriche (Rems). Con una certa approssimazione, spesso si parla “di riconversioni di caserme per alloggiare detenuti o di locali idonei, non ben definiti” dove trattenere “personestraniere in corso di accertamenti per probabili espulsioni”. Altri luoghi vengono ‘prestati’ per accogliere temporaneamente persone ristrette: “Aerei charter per rimpatri, navi in attesa dell’indicazione di un porto sicuro”. Proprio su questi luoghi la Relazione al Parlamento cerca di accendere un riflettore.

 

I LUOGHI DEL DETENERE – Si parte dai ‘luoghi del detenere’ come le celle. “Quella prevista nell’ordinamento penitenziario – spiega il rapporto – non è una ‘cella’” in quanto “la legge parla di ‘locali di soggiorno e di pernottamento’”. Nove metri quadratiper una camera singola, si calcola sulla base di una prassi amministrativa. E se nel 2015 le linee guida del Comitato per la prevenzione della tortura hanno definito uno standard minimo desiderabile di 6 metri quadri, per la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) sotto quella soglia vi è la forte presunzione di violazione dei diritti umani. Non solo: si può scendere sotto i 3 metri quadrati solo se la ‘cella’ è una camera di solo pernottamento e dove la riduzione dello spazio è compensata dalla possibilità di starne fuori, impegnati in attività ‘adeguate’. Nella sfaccettata realtà dei 191 istituti penitenziari italiani – segnala il Garante – emerge un quadro molto diverso.

DAL CORTILE AL NIDO – Il garante nazionale si è trovato più volte a visitare cortili carcerari dove l’unica attività fisica possibile è quella di andare in circolo o avanti e indietro, con “spazi limitati, servizi igienici a vista, assenza di ripari da condizioni meteo avverse”. Nelle sale per le visite dei familiari, spesso inadeguate, la dimensione privata è pressoché inesistente. E se ai minori dovrebbe essere garantito il diritto al giocoattraverso spazi adeguatamente attrezzati, questo di frequente non avviene. “Una situazione – registra il rapporto – che spinge il genitore a evitare l’accesso in istituto dei propri bambini”. Gli asili nido che per il legislatore rappresentano l’ultima scelta, in Italia sono 19: quattro strutture sono completamente inadeguate, tre non hanno un cortile attrezzato per i bambini, in due manca una ludoteca e in altre tre i locali per i colloqui sono stati definiti non idonei per bambini piccoli.

Anche le infermerie del carcere sono al di sotto degli standard. Noto il caso del carcere di Nuoro (con un reparto chiamato ‘la porcilaia’) dove è stata verificata dallo stesso Garante “la presenza di blatte e di insetti infestanti”. Poi c’è l’intercinta, lo spazio che separa le aree detentive dal muro di cinta, sempre più utilizzato “per dare un’impropria attuazione al lavoro esterno”. Sono aree sorvegliate, in cui difficilmente i detenuti possono misurarsi con nuove relazioni sociali. Poi ci sono luoghi “più opachi, sottratti a qualsiasi trasparenza, destinati a una particolare funzione che prende il sopravvento su qualsiasi considerazione di tutela della dignità di chi vi è ristretto”. È il caso della ‘Sezione filtro’ del carcere di Torino ‘Lorusso e Cutugno’, dove vengono trattenute persone sospettate di aver ingerito stupefacenti (il fenomeno dei body stuffer): sette stanze detentive prive di suppellettili e una attrezzata con il cosiddetto ‘water nautico’ e la strumentazione per l’espulsione e il prelievo degli ovuli. Per il garante le situazioni rilevate “sono inaccettabili”.

I NON LUOGHI – Nei luoghi dove viene limitata la libertà personale, si convive con diversi problemi, spesso affrontati “con una logica di sottrazione”. Alle persone si tolgono oggetti, a volte abiti. Alla stanza suppellettili, così che diventi un luogo ‘vuoto’. “Almeno nell’intenzione dichiarata, la finalità è il più delle volte protettiva” si legge nel rapporto. Ma il Garante stigmatizza l’utilizzo di celle e camere lisce nelle carceri o nei luoghi di degenza. Poi ci sono i ‘cubicoli’, diffusi in molti istituti, dove si ‘accolgono’ i nuovi arrivati prima di assegnarli a una sezione. In un istituto il Garante ne ha trovati alcuni di due metri quadrati, privi di finestre, con solo una grata a trama fitta per l’areazione, senza un campanello per le emergenze. “Persino il loro nome non è accettabile – spiega il Garante – i cubicoli delle catacombe erano camere sepolcrali. In carcere ci sono persone vive”.

QUALCHE DATO, REGIONE PER REGIONE – Nel rapporto annuale il Garante nazionale critica la “quasi riforma penitenziaria”. I tre provvedimenti che dovevano dare attuazione alla normativa, emanati il 2 ottobre 2018 dopo un iter travagliato, hanno solo parzialmente raggiunto il loro scopo. “A distanza di due anni – scrive il Garante – continua ad aumentare la popolazionedetenuta, anche se a ritmo più contenuto”. Di contro, le camere o sezioni inutilizzabili, per inagibilità o per lavori in corso, sono il 6,5% del totale. Restano casi limite: da anni ad Arezzo su 101 posti solo 17 sono disponibili, a Gorizia 24 su 57 previsti, in Sardegna il 13% dei posti è fuori uso. Una fotografia della situazione viene fornita dai garanti regionali. In Piemonte, oltre al caso della ‘sezione Filtro’, c’è la vicenda della Casa di reclusione di Alba, chiusa tre anni fa per un’epidemia di legionella e su cui non si ha, tutt’oggi, contezza di un progetto definito di recupero. InSicilia, 23 carceri e 4 istituti per minori, diverse strutture sono prive di impianti di riscaldamento e di possibilità di erogazione di acqua calda continuativa.

LA PIAGA DEI SUICIDI – In Campania, la capienza massima delle carceri è di 6.142 persone ma, al momento, i detenuti sono 7.660. A ciò va aggiunta l’endemica carenza di personale sanitario. Nel 2018 si sono verificati nove suicidi, otto morti per malattia e cinque le cui cause devono ancora essere accertare. I suicidi sono calati in Emilia Romagna (8 nel 2017, 2 nel 2018). Nel Lazio, il Garante regionale Stefano Anastasia, come raccontato da ilfattoquotidiano.it, ha presentato un esposto dopo il suicidio di un detenuto del carcere di Viterbo. Sono diverse, però, le lettere inviate dai detenuti anche all’associazione Antigone e che raccontano di ‘celle lisce’, presunte violenze e continue umiliazioni. Tre suicidi in un anno e quattro inchieste aperte sulla situazione del ‘Mammagialla’. Complessivamente negli istituti penitenziari per adulti del Lazio, il tasso di affollamento è del 124%(in Italia è del 118%). In Trentino, nel carcere Spini di Gardolo, tra novembre e dicembre 2018 si sono tolti la vita due detenuti. Il 22 dicembre è scoppiata una rivolta.

I LUOGHI DEL RINVIARE – I luoghi del rinviare sono quelli di trattenimento o detenzione amministrativa dei migranti. Principalmente luoghi di attesa: di espulsione, respingimento, del volo di ritorno se ritenuti inammissibili. Locali in cui si aspetta per giorni o per mesi. “La privazione della libertà nei confronti degli stranieri irregolari – spiega Palma – è ormai lo strumento privilegiato per controllare i flussi migratori”, principalmente neldecreto Sicurezza e immigrazione, adottato il 4 ottobre 2018. Provvedimento, ricorda il Garante, approvato d’urgenza “malgrado l’indubbia drastica riduzione degli sbarchi”. È stata ampliata la mappa dei luoghi di possibile privazione della libertà personale dei migranti irregolari: estesi i termini di durata massima della misura restrittiva e i motivi per cui l’autorità di pubblica sicurezza può farvi ricorso. La nuova norma riduce l’esclusività dei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr), di cui Palma ha più volte denunciato le criticità, come luoghi di privazione della libertà. Possono esserlo (e per tempi più estesi), anche “delle non meglio determinate strutture nella disponibilità delle Questure”.

Ci sono poi le ‘sale di attesa’ alle frontiere, negli aeroporti o nei porti, ma sono luoghi di privazione della libertà anche gli aerei sui quali vengono effettuati i voli di rimpatrio forzato o le navi di salvataggio su cui arrivano, soprattutto dalla Libia, i migranti alla ricerca di un futuro. Il Garante è intervenuto più volte nei casi in cui si è protratta l’impossibilità di sbarcare per navi con a bordo persone recuperate in mare: dalla Sea Watch alla Diciotti, fino alla danese Alexander Maersk. Palma considera irragionevole “osservare da una parte il divieto di respingimento verso la Libia”, dove i migranti respinti verrebbero torturati “e, dall’altra, incitare le imbarcazioni private che prestano soccorso ad affidarsi alle autorità di tale Paese”. Chiaro il messaggio alle istituzioni italiane: “Le persone non possano mai divenire mezzo per raggiungere un qualsiasi obiettivo, neppure per inviare un segnale all’Europa”.

I LUOGHI DELLA CURA – Nella relazione anche un capitolo dedicato ai luoghi della cura, dalle ambulanze alle stanze per la contenzione, ad esempio, in strutture per disabili psichiatrici. In alcune di esse i dehors “a volte simili a residui manicomiali, sono strutturati dentro ampi complessi recintati”. Veri e propri labirinti di giardino “sembrano richiamare, simbolicamente, l’internità autoreferenziale del disagio”. In queste strutture esistono stanze della contenzione senza letto, “solo una coperta di lanamarrone per terra”. Sono stanze di isolamento, pensate per tranquillizzare. In pochi casi, sono separate da un vetro a parete che permette a chi è dall’altra parte una vigilanza continua “molto più spesso, separazione, campanello, pareti bianche”.

13 maggio 2019

Il Fatto Quotidiano

 

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