La sede Rai in Africa tra difficoltà e soddisfazioni


Alessandra Tarquini - Vis


Durante il nostro viaggio in Kenya, abbiamo incontrato Enzo Nucci, corrispondente Rai da Nairobi. Sono ancora molte le difficoltà di trasmissione dal Kenya per il servizio pubblico televisivo italiano e con Nucci facciamo il punto della situazione guardando con speranza al futuro di una comunicazione e informazione di pace che riesca a dare voce all’Africa e al suo popolo.


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La sede Rai in Africa tra difficoltà e soddisfazioni

Ripercorriamo i passaggi della sede di Nairobi.
Il 9 settembre 2006 sono arrivato a Nairobi. I primi due mesi ho lavorato all’avvio e alle procedure di registrazione della società Rai in Africa. Da novembre sono partiti i lavori di ristrutturazione e a gennaio, nei giorni del World Social Forum, sono entrato nella nuova sede. Nei mesi successivi abbiamo selezionato le due persone del mio team: l’operatore e la segretaria che lavorano da maggio. Il 18 maggio 2007 è avvenuta l’inaugurazione alla presenza del Direttore Generale della Rai Claudio Cappon. Da settembre abbiamo la trasmissione con fibre ottiche.

Grandi passi avanti, ma a che punto siamo?
Siamo in ritardo. Deve essere perfezionato il collegamento per la trasmissione dei servizi via fibra ottica. Ora abbiamo un accordo con la Società francese Globecast che cura le trasmissioni sul satellite dei servizi montati.

Come funziona ora la trasmissione da Nairobi all’Italia?
Dalla sede Rai di Nairobi attraverso il collegamento a fibre ottiche si trasmette alla Globecast che manda il segnale su satellite W3A. Il segnale poi viene ricevuto da Globecast Londra che lo trasmette nuovamente su satellite W2 che finalmente può essere ricevuto dalla Rai di Roma.

Ma ci sono soluzioni possibili per migliorare il collegamento?

La Rai di Roma dovrebbe dotarsi di una parabola 1.8 oppure 2.4 del costo che permetterebbe di ricevere direttamente dal primo satellite senza il passaggio londinese con una notevole riduzione del tempo di trasmissione e abbattimento dei costi di ricezione, a fronte della sola spesa dell’antenna. Inoltre dovremmo perfezionare tecnicamente la trasmissione via fibre ottiche e dotarci di un secondo apparecchio di riserva che garantisca la funzionalità anche in caso di danneggiamento del primo.

Che problemi comporta questa situazione?
Allo spreco di tempo, di denaro e alla qualità delle immagini si somma l’impossibilità di effettuare delle dirette dalla sede rai di Nairobi. Per farlo dobbiamo accordarci sempre con la Globecast che riesce a collegarsi in diretta solo all’aperto, da un balcone dello stabile di Nairobi, come accaduto l’altra mattina con Rainews24. Allo stato attuale c’è una dispersione di energie per la dipendenza dalla Globecast. Al costo del servizio della società francese vanno sommati il problema del traffico per raggiungere la sede della Globecast, l’allungamento dei tempi e il problema della sicurezza nel dover spesso essere in auto anche in orari non sicuri per poter riversare i servizi da inviare in Italia.

Come è strutturata la sede Rai in Africa?
Con me lavorano Edwin Kariuki, un esperto operatore e montatore keniota, che aveva già lavorato con Al Jazeera, con la tv svizzera e francese, e Lilian Mburu, segretaria della sede.
Edwin effettua le riprese con una telecamera Betacam e da poco abbiamo una telecamera digitale Canon e una valigetta SX per il montaggio digitale.

Quando arriveranno le attrezzature mancanti?
Da Roma ci dicono che il materiale tecnico mancante per il montaggio digitale e il mixer video e audio sono pronti e in attesa di invio a Nairobi. Per l’antenna invece si sta cercando di capire se la Rai intende acquistarla oppure no. Siamo in una fase di verifica della fattibilità.

L’Africa che ha trovato era come si aspettava?

Non del tutto. Ho trovato un paese migliore di quello che pensavo. Per vari motivi: il primo è la qualità delle persone che ho incontrato, come i docenti universitari di criminologia che pur non essendo mai stati in Italia conoscono il fenomeno mafioso e camorristico alla perfezione. Ci sono storici di rilievo, colleghi giornalisti davvero in gamba, considerando che la stampa libera qui in Kenya ha solo cinque anni di vita. Il Kenya, inoltre, è un paese in impetuosa crescita, simile a quella vissuta dall’Italia nel dopoguerra. La moneta ora è forte e le esportazioni superano le importazioni. C’è un boom della borsa, ma le sue regole non sono chiare ed è evidente l’iniqua distribuzione delle risorse. Pensiamo agli slums frutto di una feroce forbice di divisione. Sta accadendo però un fenomeno interessante con la crescita di una piccola media borghesia con un forte protagonismo delle donne, spesso madri sole, con una grande forza e dignità.
In questo momento è interessante analizzare il nodo politico collegato alla campagna elettorale per eleggere il nuovo Presidente, il nuovo parlamento e i nuovi responsabili delle autorità locali, attraverso le parallelle elezioni amministrative.

Un altro fenomeno è quello dell’ordine pubblico e della criminalità…
Il Kenya è uno dei paesi più violenti e insicuri del mondo con una microcriminalità spaventosa. Ci sono 200 slums con circa 4 milioni ufficiali di abitanti, di cui 2,5 milioni vivono nelle baraccopoli. La criminalità è una risposta ad una estesa situazione di indigenza che viene spesso strumentalizzata politicamente. C’è una forte mafia keniota dal nome MUNGHIKI che controlla le montagne della rifl valley e opera secondo il principio della pulizia razziale in base alla tribu di appartenenza. Ha una forte presa tra i giovani che in Kenya sono 24 milioni sui 40 della popolazione complessiva. C’è inoltre una disoccupazione spaventosa.

Cosa l’ha spinto ad accettare l’incarico di corrispondente?

In primo luogo lo spirito di avventura. Da bambino l’Africa la conoscevo attraverso i libri e sembrava solo un sogno lontano e irrealizzabile. Col tempo, diventato giornalista, avevo saziato il mio desiderio attraverso il lavoro di inviato. Ho avuto sempre nel cuore il racconto di Ernst Hemingway, “La breve vita felice di Francis Macomber” che mi aveva fulminato da ragazzo. L’apertura di una sede Rai nel cuore dell’Africa era un sfida per l’azienda, ma lo è anche per me ed una bella responsabilità professionale ed umana che ho scelto di vivere.

Che significato ha lavorare nelle sede Rai intitolata ad Ilaria Alpi e Miran Hrovatin?
E' emozionante. ho conosciuto Ilaria quando arrivai al tg 3 a marzo del 2004 , pochi giorni prima che Ilaria partisse per la Somalia per quella sventurata ultima missione. Il suo ricordo ha sempre segnato il mio lavoro, poi la conoscenza dei suoi splendidi e indomiti genitori ha cementato un rapporto molto forte anche quando, nel novembre 2006, andai in Somalia per la prima volta sentivo la presenza di Ilaria accanto a me che mi illuminò nella "sua" terra a fare un bel reportage sulle corti islamiche. Non dimentico ovviamente Marcello Palmisano: abitava nel palazzo di fronte a dove vivo a Roma. Non lo conoscevo, ma ogni mattina per anni ci incontravamo mentre andavamo al lavoro, un professionista serio e coscienzioso, come mi e' sempre stato raccontato.

Come è stata la risposta delle redazioni Rai in Italia? Stanno sfruttando a pieno questo nuovo centro operativo?
Abbastanza, nonostante le difficoltà tecniche. C’è un collegamento assiduo con Rainews24 e con Radio Rai, essendo anche più semplice il collegamento telefonico. Inoltre seguiamo le notizie che coinvolgono gli italiani in Kenya, come l’episodio dell’aggressione ai turisti diretti a Malindi, ma riusciamo anche a realizzare degli approfondimenti su questo immenso e interessante continente, come il servizio sui bambini di strada andato in onda con il tg 2 dossier che ha vinto dei riconoscimenti. Siamo inoltre riusciti a rientrare in Somalia per parlare delle Corti Islamiche dove la Rai non tornava dal 1995, dopo l’uccisione di Palmisano. Il Tg1 manderà in onda prossimamente uno speciale sul tema dell’acqua. Abbiamo realizzato un servizio sui monti Nuba per il Tg3. Abbiamo lavorato molto durante il World Social Forum di gennaio, coprendo i vari telegiornali e radiogiornali quotidiani.

Il prossimo 27 dicembre, oltre 14 milioni di cittadini kenioti saranno chiamati alle urne per eleggere il loro nuovo presidente. Ne sentiremo parlare nei nostri tg?

Speriamo.

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