La pace in Palestina non può nascere da demolizioni illegali!


Nena News


Gli sforzi di normalizzazione regionali non avranno successo fino a quando Israele non porrà fine alle sue politiche di “sfollamento e sostituzione” contro i palestinesi.


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demolizioni

 Theodore Herzl, padre dell’ideologia sionista fondatrice di Israele, una volta disse: “Se volessi sostituire un vecchio edificio con uno nuovo, dovrei demolire prima di costruire”.

Recenti esempi del paradigma coloniale di Herzl di sfollamento e sostituzione comprendono le continue demolizioni di case su larga scala a Wadi Hummus, quartiere a sud est di Gerusalemme, che dovrebbe essere posto sotto il controllo dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp), e le minacce di demolizione di 52 scuole in Cisgiordania, come la scuola primaria Ras al-Tin vicino Ramallah.

Più di recente, i bulldozer e gli escavatori dell’esercito israeliano hanno demolito il villaggio palestinese di Khirbet Humsa, lasciando 74 persone, tra cui 41 minori, senza un tetto.

Queste azioni rappresentano una violazione delle clausole degli Accordi di Oslo firmati tra Israele e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp) tra il 1993 e il 1995. Sono anche in violazione del sistema del diritto internazionale, sviluppato in un’epoca di decolonizzazione molto diversa dall’era rapace dell’imperialismo europeo in cui viveva Herzl, che vieta con forza le demolizioni nei territori occupati.

“Cacciare e rimpiazzare” è la profonda logica esclusoria con cui Israele opera fin dal suo principio. Gli sforzi di sfollare palestinesi per fare spazio ai coloni israeliani si è legato con il progetto israeliano, a buon punto, di ottenere e mantenere una purezza etnica. Così, nonostante le speranze di qualcuno che il cosiddetto Accordo di Abramo del presidente Usa Donald Trump avrebbe fermato l’anticipata annessione israeliana di ampie porzioni di Cisgiordania, di recente si è assistito a un picco allarmante di demolizioni di case a Gerusalemme est e nella Cisgiordania illegalmente occupata.

Israele sta anche pensando a come costringere gli sfollati di Wadi Hummus a coprire le spese delle demolizioni delle loro case, rendendo così l’atto redditizio sia sul piano territoriale che finanziario. Le demolizioni aggiungono un altro peso sulle scarse risorse finanziarie pubbliche dei palestinesi perché la leadership dell’Anp ha promesso di compensare tutte le famiglie che hanno perso la casa in questo modo.

Tutti questi atti insieme rappresentano una perdita tripla per i palestinesi, in una situazione di recessione economica a causa della pandemia e con meno aiuti in arrivo per dare un po’ di respiro.

Dichiarazioni molto dure a parole della comunità internazionale che chiedono a Israele di fermare i piani di annessione non si sono tradotte in fatti. Le minacce della leadership palestinese di porre fine alla cooperazione alla sicurezza con Israele e di presentarsi di fronte alle istituzioni internazionali di giustizia in risposta alle azioni a Wadi Hummus si sono dimostrate vane. Intanto le demolizioni continuano.

Le demolizioni di Wadi Hummus e più di recente il caso di Khirbet Humsa sottolineano la necessità di creare strumenti aggiuntivi da mettere a disposizione dei palestinesi per registrare meglio il danno subito e poi sfidarlo. Evidenziano che c’è bisogno di documentare e mostrare i costi della colonizzazione su un piano internazionale. Non semplicemente misurare il costo economico sul prodotto interno loro e sul reddito nazionale lordo dell’occupazione israeliana, cosa che la Banca Mondiale già fa perché queste analisi focalizzate sull’economia ignorano il costo umano.

La Conferenza Onu sul commercio e lo sviluppo (Unctad) e la Commissione Onu economica e sociale per l’Asia orientale (Un-Escwa) recentemente ha fatto passi importanti per documentare e rendere pubblico il vero costo del colonialismo e l’occupazione israeliani. Ma questi sforzi vanno ulteriormente ampliati. Significa raggiungere gli analisti palestinesi che sono molto meglio preparati a valutare tali costi di quanto lo siano esperti esterni. Sforzi per documentare e mostrare tutti i costi del colonialismo israeliano dovrebbero includere la condivisione di esperienze personali delle sue vittime. Ogni calcolo che ignori le cicatrici psicologiche ed emozionali, solo perché è difficile tradurle in numeri o è imbarazzante da spiegare, resterà inefficace.

Queste informazioni possono essere usate per rallentare l’impatto del colonialismo e pianificare la futura ripresa. È importante sottolineare che questo andrà accompagnato da azioni della comunità internazionale per mettere fine ad altri sfollamenti e sostituzioni. Questo passo è il solo possibile per creare finalmente le condizioni necessarie ai palestinesi per creare le loro istituzioni, per promuovere un’economia stabile e migliorare il loro benessere sociale.

È necessario anche perché il colonialismo non dovrebbe essere normalizzato, sponsorizzato e sostenuto in un mondo governato dal diritto internazionale. Porre fine al paradigma israeliano dello sfollamento e la sostituzione è fondamentale per la pace regionale e la stabilità.

Invece che chiedere conto a Israele per la colonizzazione in corso della Palestina, gli attori più potenti della comunità internazionale stanno scegliendo di giustificare e razionalizzare i suoi crimini contro i palestinesi. Come risultato, le politiche israeliane che palesemente violano i diritti umani e il diritto internazionale iniziano a essere percepite come “normali” o addirittura “giuste”.

La colonizzazione è una delle forme di oppressione nel mondo più facilmente riconoscibili. Tuttavia, ancora oggi, la comunità internazionale non ha mai veramente riconosciuto la natura coloniale dell’occupazione di Israele e gli ha permesso di violare il diritto internazionale con impunità.

Così, Israele continua la sua espansione in quel che resta della Palestina, minando un principio fondamentale del diritto internazionale che vieta agli Stati di prendere terre con la forza. Schemi regionali di normalizzazione come gli Accordi di Abramo servono solo a incoraggiare ancora di più l’annessione coloniale e molti più Wadi Hummus e Khirbet Humsa.

Gli sforzi di normalizzazione che non sono preceduti dalla determinazione a chiedere conto a Israele delle sue politiche coloniali e della sua occupazione illegale non condurranno alla pace regionale, di certo non per milioni di palestinesi.

(Traduzione a cura della redazione di Nena News)

Alaa Tartir è direttore di al-Shabaka, the Palestinian Policy Network
Jeremy Wilderman è ricercatore associato al dipartimento di Scienze sociali e politiche dell’Università di Bath

Roma, 25 novembre 2020, Nena News 

 

 

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