La lezione di Kabul


Flavio Lotti


Rientrata in Italia la delegazione pacifista che si è recata nel Paese in guerra per ascoltare un punto di vista inedito: quello degli afgani.


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La lezione di Kabul

Sulle pagine di questo giornale ho spiegato, alcuni giorni fa, i motivi che hanno spinto la Tavola della pace e l’associazione americana Peaceful Tomorrows ad andare in Afghanistan. Volevamo incontrare i parenti delle vittime della guerra e spiegare loro che per noi non c’era differenza con quelle dell’11 settembre negli Stati uniti. Vorrei dunque adesso raccontare ai lettori di “Terra” le impressioni di questo viaggio, quel che ci siamo riportati a casa e una serie di proposte e di questioni che si sembrano ormai non più rinviabili.
 
A dieci anni da quel terribile episodio, le nostre due delegazioni avevano deciso di andare a Kabul non solo per tetimoniare solidarietà e fare un gesto significativo ma anche per raccogliere un punto di vista inedito: quello dei familiari delle vittime della guerra e del terrorismo e quello della società civile afgana. Due voci che, in tutto questi anni, non abbiamo mai potuto ascoltare.
 
Vincendo mille paure, resistenze, pressioni e preoccupazioni, sette esponenti della società civile italiana, rappresentanti di altrettanti organismi e associazioni, e il nostro collega americano sono stati per cinque giorni nella capitale afgana cercando di capire cosa c’è di vero oltre la propaganda e la disinformazione, i luoghi comuni e i pregiudizi. E’ stata la prima volta per una delegazione ufficiale di pacifisti occidentali. Un fatto inedito e importante, almeno per chi crede che non siano le guerre la soluzione ai problemi del nostro pianeta.
 
I risultati di questa missione sono stati presentati ieri mattina in una conferenza stampa che si è tenuta a Roma alla Federazione Nazionale della Stampa nella quale, oltre a dare voce alle preoccupazioni e alle domande raccolte a Kabul e a tracciare un bilancio dei dieci anni di guerra che stiamo conducendo in Afghanistan, i partecipanti a questo viaggio hanno presentato una serie di proposte precise rivolte a tutte le forze politiche, al Parlamento e al governo italiano che rispondono alla domanda più difficile: cosa dobbiamo fare adesso? Cosa deve fare l’Italia?
Le riassumo schematicamente qui negli otto punti che a noi sembrano fondamentali.
 
1. Riaprire finalmente il dibattito pubblico sul futuro dell’impegno italiano in Afghanistan;
 
2. Contribuire alla messa a punto di una strategia della comunità internazionale per l’Afghanistan e l’intera regione non più basata sul paradigma della “sicurezza militare” ma quello della “sicurezza umana”;
 
3. Definire immediatamente il piano per il ritiro del contingente militare italiano;
 
4. Destinare almeno il trenta percento delle risorse risparmiate con il ritiro del contingente militare alla promozione della sicurezza umana in Afghanistan;
 
5.  Raccogliere la domanda pressante dei familiari delle vittime afgane della guerra e del terrorismo di riconoscimento, ascolto, giustizia, sostegno e risarcimento;
 
6. Investire sulle organizzazioni democratiche della società civile afgana consentendogli di organizzarsi e rafforzarsi, promuovendo il loro riconoscimento politico a tutti i livelli, allargando il loro spazio d’azione, rafforzando la loro voce, sostenendo i loro programmi di riconciliazione dal basso, di difesa e promozione dei diritti umani e della democrazia, di formazione e informazione indipendente;
 
7. Sollecitare una presenza non formale della società civile afgana e occidentale alla prossima Conferenza di Bonn;
 
8. Sostenere la Conferenza regionale di Istanbul e di promuovere lo sviluppo della cooperazione economica nell’intera regione.

Fonte: Terra

8 settembre 2011

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