La guerra italiana in Afghanistan


Emanuele Giordana - Lettera22


Il conflitto e Obama. Ma anche il conflitto e noi: senza se e senza ma. Ma anche senza perché…


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La guerra italiana in Afghanistan

Anche Osama bin Laden ha smesso di fare notizia. Giovedi scorso (11 giugno ndr) il direttore della Cia Leon Panetta ha detto a un gruppo di reporter che bin Laden è ancora vivo e si nasconde in Pakistan. E che l'intelligence americana ha ormai una rete che dovrebbe consentirle la pesca miracolosa. Ma la notizia, che in altri tempi avrebbe – come si dice – “bucato il video”, è finita relegata in qualche nota d'agenzia. Persino lo sceicco del terrore ha stancato. E Panetta deve essere tra i pochi che ancora ci crede. O forse, aggiungerebbero i maligni, poiché Al Qaeda appare come l'unica vera ragione dell'impegno in Pakistan-Afghanistan degli americani – che se ne vorrebbero in realtà andare in fretta – Panetta tiene vivo un fantasma che giustifica l'impiego di alcune migliaia di milioni di dollari l'anno.
Saranno infatti Afghanistan e Pakistan a far la parte del leone rispetto ai 91,3 miliardi di dollari autorizzati dal Congresso in maggio per sostenere la spesa militare e diplomatica in Iraq e nell'AfPak, l'acronimo che individua la regione della guerra tra Kabul e Islamabad. Ma anche questa notizia è stata accolta con disattenzione. Come la spesa di noi italiani, cui la guerra costa circa un milione di euro al giorno. Briciole rispetto all'impegno americano ma pur sempre una discreta sommetta. Ma questa spesa, come la guerra, occupati come siamo da ben altre incombenze, viene seguita con ancor più indifferenza che in America. Siamo in Afghanistan senza sapere bene perché ne cosa ci stiamo facendo. Ce ne accorgiamo solo quando un soldato viene ferito. Gli afgani, come bin Laden, il video lo bucano sempre di meno.

Il costo della guerra

Inevitabilmente le spese dell'esercito italiano aumenteranno a probabile discapito dell'investimento in cooperazione civile, già ridotto rispetto all'anno precedente e che stava per rischiare, con l'ennesimo decreto legge, di esser deprivato di ulteriori 90 milioni per la cooperazione civile tradizionalmente contenuti nel decreto missioni (che a febbraio autorizzava la spesa per sei mesi di tutte le nostre missioni all'estero). Miracolosamente recuperati sul filo di lana. La spesa militare aumenterà semplicemente perché l'impiego delle nostre truppe si sta sempre più spostando sul terreno delle guerra e senza che ci sia più bisogno di nasconderlo. Più impegno sul terreno significa più necessità finanziarie, senza contare che l'invio di altri 400 soldati, benché per il solo periodo delle elezioni presidenziali di agosto, farà pendere ancora di più la bilancia sulla spesa militare.
Chissà che l'aumento delle spese non sia l'unico motivo che possa spingere i cittadini italiani a chiedere al governo “che ci facciamo li”?
Che i nostri soldati siano sempre più impegnati sul terreno lo si evince dalla cronaca che, quando produce feriti, è obbligata a uscire dalle nebbie che solitamente avvolgono l'attività dei nostri soldati in Afghanistan.
Alcuni degli ultimi episodi sono rivelatori del cambio di passo: tre paracadutisti vengono feriti in una vera e propria battaglia nell'area di Farah. La ricostruzione del ministero della Difesa racconta di un primo attacco a una pattuglia mista di militari italiani e afgani avvenuto durante la notte tra mercoledi 10 e giovedi 11 giugno. Ma in seguito, nella mattinata di giovedi, il copione si ripete con un “agguato”, dicono alla Difesa, meticolosamente preparato in modo da colpire le unità italiane “al termine di una attività di rastrellamento”. Ma, appena il giorno prima, mercoledi, un'altra battaglia era stata combattuta, questa volta nella parte settentrionale della regione Ovest, a Bala Morgab: due elicotteri d'attacco Mangusta colpiti, anche se non ci sono stati feriti (tra gli italiani). Guerra insomma. Sul fronte Nord e su quello Sud rispetto al quartier generale di Herat, dove ha sede il comando regionale della nato/Isaf. Sotto mandato italiano.
Cosa è cambiato?

L'Italia muscolare del Cavaliere

Nulla, a leggere il saggio di Gianandrea Gaiani “Iraq-Afghanistan. Guerre di pace italiane”. Il direttore del webmagazine Analisi Difesa è stato uno dei pochi giornalisti italiani a documentare le battaglie “nascoste” dei nostri contingenti impegnati in Afghanistan. Da anni. Con operativi di supporto o di attacco più o meno diretto. Dunque si è sempre combattuto. Anche durante il governo Prodi. Ma una differenza adesso c'è. Anzi due.
La prima è di carattere puramente militare. L'area di infiltrazione talebana ( o comunque guerrigliera) è aumentata rispetto alle aree tradizionali. E il contagio si è allargato in molte zone dell'Afghanistan occidentale, anche se il fenomeno resta largamente inferiore rispetto al Sud o all'Est del paese o anche rispetto ad alcune aree centrali dove il controllo talebano si è andato rafforzando. Infine il paesaggio criminale locale (dopo trent'anni di guerra), alimentato dal contrabbando con l'Iran e dalla nuova lucrosa attività del commercio di stupefacenti, si è probabilmente molto allargato. Sono spesso bande criminali a tirare razzi intimidatori verso le caserme italiane. Un modo per dire – ci spiega un ufficiale – “per un po' lasciate stare quest'area”.
La seconda è di carattere ideologico: il governo muscolare del Cavaliere e un dicastero della Difesa retto da un uomo col mito della mimetica, abito in cui ama essere ripreso, fanno di Berlusconi e di La Russa i due paladini della svolta militarista italiana. Non che al premier sembri importar molto l'andamento della guerra, occupato com'è sul fronte interno, ma è anche vero che Berlusconi sembra dar più retta a La Russa che a Frattini. E per La Russa la guerra appare un'ineludibile esibizione di maschia giovinezza italica. Il riscatto da anni sospirato dalla destra che amava l'orbace e ora è obbligata al blazer. Del resto, né dall'uno né dall'altro è mai arrivata un'analisi politica sulla palude afgana con una proposta convincente e non demagogica sulla presenza italiana nel paese.

Cosa pensano i militari

Le due ipotesi interpretative si possono sommare alle spiegazioni del generale Marco Bertolini, capo di Stato maggiore di Isaf e militare italiano più alto in grado tra i comandanti dell'Alleanza in Afghanistan. Bertolini sostiene che gli italiani si sono impegnati “a tutto campo soprattutto nel garantire la libertà di movimento ai locali” in stretto collegamento con polizia ed esercito afgano “per aprire vie di comunicazione finora interdette, in aree sotto il controllo dell'insorgenza”. Ma c'è forse anche altro.
Il comando regionale italiano di Herat è ufficialmente incaricato di coordinare le operazioni militari nell'area ed effettivamente ha mandato per farlo sulle truppe della Nato (spagnoli soprattutto, albanesi, sloveni e altri schierati nell'area col nostro contingente). Ma nulla può su quanto fanno gli americani che provocano non pochi imbarazzi e sfuggono ad ogni controllo. Imbarazzi tali che, ufficialmente, gli americani non sarebbero nemmeno presenti nella base Nato di Camp Arena a Herat, anche se basta passarci di fianco per notare l'andirivieni di uomini e mezzi stellestrisce.
Tra i tanti problemi di una guerra che si trascina, gli americani sono uno dei grandi interrogativi nonostante ufficialmente essi restino i primi rispettati partner del ricco piatto militare afgano. Ma – al di là della promessa Obama – sono stati gli americani che, nell'agosto dell'anno scorso e nel maggio di quest'anno, hanno messo a segno due stragi effettuate con bombe da una tonnellata e veri e propri raid a tappeto. Con un bilancio rispettivamente di 90 e 140 vittime civili (numeri che gli Usa contestano).

Il gioco della responsabilità indiretta

Il fatto è che, sia il distretto di Bala Bolok, teatro della strage di maggio, che quello di Shindand, teatro di quella di agosto, sono avvenute nell'area sotto competenza italiana. Davvero imbarazzante se persino il generale McCrystal, il nuovo capo delle operazioni militari statunitensi in Afghanistan, ha dichiarato che la priorità sarà ora la difesa dei civili afgani e una commissione d'inchiesta americana su questi casi controversi ha iniziato ad ammettere degli “errori” senza chiamarli più “collaterali”.
Se per gli americani si tratta di “errori”, cosa sono per chi ha la responsabilità di quell'area? Gli italiani combattono in Afghanistan almeno due guerre. Una li vede impegnati con la Nato. L'altra è quella (americana e unilaterale) che devono coprire più o meno obtorto collo. Perché? Non tocca ai soldati fare la domanda e darsi la risposta. E nelle more di un vuoto politico ormai pneumatico intanto si combatte. Perché? I numeri lo spiegano bene quando le guerre vanno avanti motu proprio auto alimentandosi.
L'ultimo rapporto del Sipri, l'autorevole fondazione svedese che monitora l'interscambio in materia di armamenti, lista 16 conflitti maggiori nel 2008 e una spesa cresciuta mediamente del 4% (del 5 in Europa e del 66% negli Usa) per un totale di 1.464 miliardi rispetto al 2007 e del 45% rispetto al 1999. Ma in fondo anche questa è una notizia il video non l'ha bucato.

Fonte: Lettera22 e Carta settimanale

22 giugno 2009

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