La fine della guerra più lunga


Internazionale


L’11 settembre 2021, in occasione del ventennale degli attentati del 2001, l’ultimo soldato americano lascerà l’Afghanistan, paese dove gli Stati Uniti hanno condotto e di fatto perso la più lunga guerra della loro storia.


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L’11 settembre 2021, in occasione del ventennale degli attentati del 2001, l’ultimo soldato americano lascerà l’Afghanistan, paese dove gli Stati Uniti hanno condotto e di fatto perso la più lunga guerra della loro storia.

Joe Biden ha deciso di farla finita, rinviando di appena qualche mese la scadenza del 1 maggio negoziata dal suo predecessore Donald Trump con i taliban. La nuova data non cambia granché, a parte il fatto che tecnicamente i taliban potrebbero accusare Washington di non rispettare gli impegni e riprendere i loro attacchi contro i soldati statunitensi. Ma non lo faranno, soprattutto se hanno ricevuto la garanzia che tra qualche mese non ci saranno effettivamente più truppe straniere nel paese.

Gli Stati Uniti si ritirano anche se la stabilità politica che avrebbe dovuto essere negoziata tra i taliban e il governo di Kabul non è stata trovata, e a questo punto ha poche possibilità di realizzarsi senza le pressioni americane. Non è l’equivalente di Saigon nel 1975, quando gli elicotteri portarono via gli ultimi statunitensi dal tetto dell’ambasciata prima dell’arrivo dei nordvietnamiti, ma è comunque una ritirata senza vittoria che lascia gli afgani da soli ad affrontare un destino incerto.

Litigata memorabile

La storia tra Biden e l’Afghanistan è piuttosto lunga, e i trascorsi del presidente spiegano la sua decisione. La guerra in Afghanistan è uno dei pochi temi su cui Biden si era scontrato con Barack Obama quando era vicepresidente: Biden non era d’accordo con l’aumento massiccio del contingente in Afghanistan chiesto dai generali nel 2009 e accordato dal presidente di allora dopo una lunga riflessione.

Nel suo libro Una terra promessa, Obama dedica molte pagine a quel momento decisivo e racconta che il generale Stanley McCrystal, capo delle truppe in Afghanistan, “alzava gli occhi al cielo ogni volta che Biden cominciava a spiegargli cosa bisognava fare per portare a termine un’operazione antiterrorismo”. All’epoca Biden era convinto che la missione degli Stati Uniti fosse combattere contro al Qaeda, non “salvare” l’Afghanistan.

Il diplomatico statunitense Richard Holbrooke, inviato di Obama in Afghanistan, ha raccontato una litigata memorabile con Biden, che nel 2010, furioso, gli disse: “Non voglio che mio figlio rischi la vita in nome dei diritti delle donne. Non è così che funziona, i soldati non sono lì per questo”.

In una certa misura è la stessa logica che Biden sta applicando oggi. Con il passare del tempo, infatti, il presidente ha maturato una convinzione che senza dubbio inizialmente non aveva: gli Stati Uniti non possono trasformare l’Afghanistan in una democrazia funzionale come sognavano di fare in un primo momento. Questa lezione, di fatto, si applica a tutti gli interventi occidentali degli ultimi due decenni.

Il problema è che la situazione che gli statunitensi lasceranno dietro di se è tutt’altro che risolta, con una forte crescita dei taliban. Il governo di Kabul ha costruito una società più aperta permettendo l’istruzione delle ragazze e concedendo maggiore libertà alle donne, ma rischia di essere emarginato dall’avanzata dei combattenti islamici.

L’accordo negoziato dall’amministrazione Trump protegge gli Stati Uniti dal rischio che il paese torni una base terrorista come lo era nel 2001, ma non precisa quali saranno gli sviluppi dopo la partenza dei soldati.

Biden non voleva che i “boys” statunitensi morissero per i diritti delle donne afgane, ma la vicenda rischia di perseguitarlo se la situazione in Afghanistan dovesse precipitare dopo l’11 settembre 2021.

 

Pierre Haski, France Inter, Francia
14 aprile 2021
Internazionale
(Traduzione di Andrea Sparacino)

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