La fiamma olimpica è sacra, ma i diritti umani lo sono di più


Lucina Paternesi Meloni


Bhaichung Bhutia, capitano della nazionale di calcio indiana, dichiara oggi il suo rifiuto di portare la fiaccola olimpica quando arriverà in India il 17 aprile in segno di solidarietà con il popolo tibetano. Reporters Sans Frontières annuncia nuove proteste contro la politica cinese.


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La fiamma olimpica è sacra, ma i diritti umani lo sono di più

Nuove sfide all’orizzonte per la Cina: i difensori dei diritti umani di tutto il mondo sono sempre più intenzionati a contrastare la vergognosa politica cinese nel campo dei diritti umani.
E’ notizia di questa mattina il clamoroso e quanto mai inaspettato rifiuto del capitano della nazionale di calcio indiana di portare la fiaccola olimpica –pietra dello scandalo degli ultimi giorni- quando arriverà in India il 17 aprile.
Bhaichung Bhutia, star del calcio indiano, originario di un piccolo stato tra Cina e Nepal, il Sikkim, ha annunciato che la sua “è una scelta personale. Sono solidale con la causa tibetana e questo è il mio modo di essere vicino alla popolazione Tibetana e alla loro lotta”.
La notizia del rifiuto del calciatore indiano segue la scia degli appelli dei giorni scorsi di Reporter Sans Frontiéres, l’organizzazione che da anni si batte per la libertà di stampa in tutto il mondo, che invita tutti i cittadini e i capi di stato a condividere la protesta del popolo tibetano contro l’oppressore cinese.
Dopo le dimostrazioni dei giorni scorsi ad Olimpia RSF ha già in programma nuove manifestazioni per il prossimo 8 agosto in occasione della cerimonia di apertura dei giochi a Beijing.
Nel nuovo comunicato stampa si legge: “chiediamo a tutti coloro che intendono partecipare alle Olimpiadi di esporre la parola “libertà” scritta con gli ideogrammi cinesi sui propri abiti. Facciamo appello agli atleti, ai giornalisti, ai membri delle delegazioni ufficiali e al pubblico che assisterà alla cerimonia di Beijing di iniziare ad esporre questo segno di riconoscimento sin da ora. Ciò permetterà agli atleti – ma non solo a loro – di esprimere il loro punto di vista circa la situazione in Cina. A meno di cinque mesi dall’inizio delle olimpiadi quanta più gente possibile deve condividere questa protesta.”

Nella giornata inaugurale dei giochi olimpici lo scorso 24 marzo, durante la cerimonia di accensione della fiaccola olimpica, tre attivisti di Reporters Sans Frontières avevano voluto “disturbare” il discorso del delegato cinese Liu Qi ad Olimpia, sventolando una bandiera nera in cui i tradizionali cerchi olimpici erano stati trasformati in manette.
I tre giornalisti, tra cui Robert Munard, segretario generale di RSF, e Jean Francois Julliard, responsabile informazione di RSF, avevano agito con l’intenzione di lanciare un messaggio preciso: «boicottare i paesi che disprezzano i diritti umani». I reporters, subito arrestati con l’accusa di “aver manifestato disprezzo per i simboli nazionali”, sono stati poi rilasciati su cauzione, ma la loro causa verrà giudicata il 29 maggio a Pyrgos.
In base all’articolo 361 del codice penale greco, potrebbero essere condannati anche a un anno di prigione oltre che al pagamento di una multa.
Rsf ha poi affermato, in una conferenza stampa tenutasi all ‘aereoporto Charles de Gaulle il 25 marzo, che “la fiamma olimpica può anche essere sacra, ma i diritti umani lo sono ancora di più. Non possiamo permettere che il governo cinese porti la fiaccola olimpica, simbolo di pace, senza denunciare la drammatica situazione dei diritti umani in Cina a meno di cinque mesi dall’inizio dei giochi olimpici”.
Reporters Sans Frontières ha sottolineato che “ il trattamento riservato in Cina a coloro che si esprimono liberamente, la censura imposta sulla stampa e il blackout di notizie in occasione della protesta ad Olimpia, esigono questo tipo di proteste.” A dimostrazione di ciò, il giorno della cerimonia la televisione cinese, che trasmetteva in differita di qualche secondo, ha prontamente interrotto la messa in onda nel momento dell’intervento degli attivisti, trasmettendo confortanti immagini di archivio, mentre la televisione greca ha semplicemente bloccato la diretta per qualche momento.
Robert Munard ribadisce “ora ogni possibile mezzo deve essere usato per condannare le serie violazioni di queste libertà fondamentali in Cina. Noi protesteremo fino a quando ci sarà possibile”.

Tutto questo accade mentre in Cina continuano ad essere più di 100 i giornalisti, web-nauti e cyber dissidenti imprigionati solo per aver espresso il loro punto di vista pacificamente. Ai giornalisti è inoltre proibito visitare il Tibet dal 12 marzo scorso e sono stati anche espulsi dalle province più vicine.
Ieri mattina la fiaccola olimpica era a Pechino – ma un imponente schieramento dei servizi di sicurezza ha garantito che non si ripetesse a piazza Tiennamen, simbolo della rivolta schiacciata nel sangue nel 1989, quello che è accaduto la settimana scorsa ad Olimpia – oggi il rifiuto dello sportivo indiano, che cosa deve ancora accadere da qui al 4 giugno, giorno in cui la fiaccola arriverà Lhasa, capitale del Tibet, perché la Cina si convinca a cambiare politica e a rispettare i diritti umani?

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