Iraq, 100 morti e 4000 feriti


Michele Giorgio


Nel quinto giorno di proteste popolari in Iraq si è toccata una vetta drammatica. Sono almeno 100 i morti e 4.000 i feriti della repressione ordinata dal governo di Adel Abdel Mahdi. Un bilancio di sangue che sembra destinato a salire


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Nel quinto giorno di proteste popolari in Iraq si è toccata una vetta drammatica. Sono almeno 100 i morti e 4.000 i feriti della repressione ordinata dal governo di Adel Abdel Mahdi. Questo bilancio di sangue, che include alcuni poliziotti, è destinato a salire perché neppure il coprifuoco, revocato in parte, riesce a contenere le dimostrazioni per la corruzione diffusa, la mancanza di servizi essenziali come l’acqua e l’elettricità e contro la disoccupazione che ha toccato livelli altissimi. Più le forze di sicurezza usano il pugno di ferro e più si rafforza la determinazione di chi, evidentemente, non ha più nulla da perdere e intende far sentire la propria voce.

A chiedere le dimissioni del governo ora non sono più soltanto i manifestanti. Dalla parte di coloro che reclamano l’uscita di scena di Abdel Mahdi c’è anche l’influente religioso sciita Moqtada Sadr. «Per evitare un ulteriore spargimento di sangue iracheno, il governo si deve dimettere e devono tenersi elezioni anticipate sotto la supervisione dell’Onu», ha scritto in un comunicato. Leader dopo l’invasione anglo-americana dell’Iraq dell’Esercito del Mahdi, spina nel fianco degli occupanti, Sadr ha riscoperto il nazionalismo, ha preso in parte le distanze da Tehran e intende avere un peso determinante nelle vicende nazionali e regionali. Venerdì Sadr si era unito alle proteste e ha accusato apertamente Abdel Mahdi di non essere riuscito ad attuare – in un anno al potere – le riforme e i progetti infrastrutturali di cui l’Iraq ha urgente bisogno.

Il suo ingresso in campo tuttavia viene letto da più parti come una resa dei conti con il presidente del Parlamento, Mohammad al Halbusi, che per primo ha cercato di cavalcare l’onda della protesta. Altri sostengono che Sadr, in possesso del potere e dell’organizzazione per portare in piazza molte migliaia di sostenitori, stia cercando di prendere a suo beneficio le redini di un movimento spontaneo composto soprattutto di giovani scesi in strada senza riferimenti precisi e decisi ad esprimere il loro rifiuto delle fazioni politiche in Iraq, ritenute tutte responsabili delle condizioni economiche disastrose di un paese che pure è uno dei principali produttori di petrolio. «Questi uomini non ci rappresentano. Non vogliamo più partiti. Non vogliamo che nessuno parli in nostro nome», hanno ripetuto tanti iracheni in questi giorni.

Michele Giorgio

Il Manifesto

6 ottobre 2019

 

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