In marcia fino a Gerico


Tavola della pace


Stremati, stanchi, sotto un sole a picco di 35 gradi, i 200 partecipanti alla Marcia della Pace in Israele e Palestina hanno camminato dal monastero di San Giorgio in Koziba sino alle porte di Gerico, la città nella depressione più profonda della terra.


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Stremati, stanchi, sotto un sole a picco di 35 gradi, i 200 partecipanti alla Marcia della Pace in Israele e Palestina hanno camminato dal monastero di San Giorgio in Koziba sino alle porte di Gerico, la città nella depressione più profonda della terra.

Un cammino faticoso in un luogo aspro, petroso, in cui ogni cosa sembra immutabile da millenni, un cammino duro che ha messo alla prova la resistenza delle persone, ma anche un cammino simbolico che lancia un messaggio chiaro: ripartire dal punto più basso per ricalibrare i valori della società.

“Abbiamo attraversato il deserto e ci vuole coraggio – ha detto Flavio Lotti, giunto, insieme agli altri, alla fine del percorso, nel luogo in cui il sentiero di terra battuta esce dal canyon per aprirsi nella vallata sassosa di Gerico – ma ci ha fatto pensare che questo luogo assomiglia oggi alle nostre coscienze, e questo cammino deve essere alla riscoperta dei valori”.

Il pensiero di Flavio ha avuto eco tra tutti i partecipanti. “Una marcia all’insegna della sussidiarietà, della solidarietà e della speranza – ha detto una delegazione dell’U.S. Acli – per lasciare il nostro messaggio, e noi portiamo a casa delle sensazioni bellissime”.

Stanchezza e soddisfazione anche tra i ragazzi più giovani, come gli studenti del Liceo Bertolucci di Parma, per i quali l’incontro con questa “realtà assurda” – come l’ha chiamata Maria Chiara – ha lasciato un segno profondo.

“Porto a casa molte informazioni – dice – e la realtà di questa terra, che non avevo compreso a fondo tra TV e giornali”.

E proprio sul valore dell’esperienza personale, rincara il dirigente scolastico Aluisi Tosolini.

“Questa marcia giunge al termine di una settimana in cui abbiamo visto, conosciuto e raccontato. E’ vero, i media parlano troppo poco di ciò che accade in questa terra, ma quello che si prova sulla pelle, si impara in modo molto più profondo”.

Come si può rendere concreta questa esperienza? Il pensiero dei partecipanti è soprattutto uno: raccontare, raccontare, raccontare. Fare sapere a tutti quello che si è visto con i propri occhi, quello che si è ascoltato, le storie con cui si è venuti in contatto. La realtà, insomma, che si è vissuta in questa settimana.

Perché anche se sembra poco, poco non è.

“Mentre camminavo – conclude Flavio Lotti – mi sono venuti in mente i versi del poeta palestinese Mahmoud Darwish. La scia lasciata dalle farfalle e dagli uccelli non si vede, ma lascia lasciata dalle farfalle e dagli uccelli esiste per sempre”.

Stefano Rossini

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