Il ricordo di Biagi, maestro di libero giornalismo


La redazione


Perlapace.it ricorda Enzo Biagi con alcuni dei più significativi messaggi inviati nel giorno della sua scomparsa dalle personalità del mondo dell’informazione, della cultura e delle istituzioni. I funerali giovedi 8 novembre nella chiesetta di Pianaccio, nella provincia bolognese.


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Il ricordo di Biagi, maestro di libero giornalismo


Il RICORDO DI ENZO BIAGI

Messaggio del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ai familiari di Enzo Biagi
"Scompare con Enzo Biagi una grande voce di libertà. Egli ha rappresentato uno straordinario punto di riferimento ideale e morale nel complesso mondo del giornalismo e della televisione, presidiandone e garantendone l'autonomia e il pluralismo. Il suo profondo attaccamento – sempre orgogliosamente rivendicato – alla tradizione dell'antifascismo e della Resistenza lo aveva condotto a schierarsi in ogni momento in difesa dei principi e dei valori della Costituzione repubblicana. L'amore per l'Italia e la conoscenza della storia nazionale avevano ispirato la sua opera di scrittore e le sue indagini nel vivo della realtà italiana.
A Enzo Biagi uomo di genuina ispirazione socialista e cristiana rendo riconoscente omaggio a nome del Paese, esprimendo con commosso ricordo personale la più affettuosa vicinanza e solidarietà ai suoi familiari in questo momento di dolore e di rimpianto".

Il Presidente del Consiglio Romano Prodi ha inviato ai familiari di Enzo Biagi un telegramma con il seguente messaggio:
“Scompare con Enzo Biagi un grande maestro dell’informazione, che ha portato nelle case degli italiani con puntuale attenzione e sensibilità giornalistica le notizie e i commenti di tanti eventi della nostra storia di questi decenni, attraverso la carta stampata, gli schermi televisivi, e i numerosi libri di successo. Figura storica del giornalismo, si è battuto sempre per la salvaguardia della libertà dell’informazione e del Paese. Lascia in tutti noi un grande vuoto”.

Il Presidente della Camera dei deputati, Fausto Bertinotti, ha inviato il seguente messaggio alla famiglia Biagi:

Con viva commozione ho appreso la notizia della scomparsa di Enzo Biagi, protagonista del giornalismo italiano e della vita civile e culturale della nostra storia recente. Scompare, con Enzo Biagi, uno dei più importanti giornalisti dell’Italia del dopoguerra, che ha espresso nella sua lunga professione un modo di intendere il giornalismo stesso.

Con lui scompare una personalità di grande rigore intellettuale, che ha costantemente interpretato al servizio del pluralismo e della libertà dell’informazione i valori della democrazia testimoniati attraverso l’esperienza personale durante la Resistenza ed una convinta adesione ai valori della Costituzione repubblicana.

Nel ricordo del suo tratto umano riservato ed insieme determinato e coraggioso, desidero far giungere a voi tutti i sentimenti del mio più profondo cordoglio e della mia più intensa vicinanza.

Il Presidente del Senato Franco Marini ha inviato un messaggio alla famiglia Biagi esprimendo il proprio cordoglio per la scomparsa:

''Testimone prezioso e insieme protagonista di molti decenni di storia italiana, ha saputo osservare, raccontare e spiegare come forse nessun altro la realtà di un paese in continuo cambiamento. Tutti noi sentiremo la mancanza della sua grande personalità e della sua voce familiare, ma siamo certi che la sua eredità è già parte della nostra storia''.
Animato da profondi valori civili e morali ha fatto della propria libertà la precondizione necessaria per poter svolgere una professione da lui vissuta come autentica missione''.

Paolo Serventi Longhi, Segretario Generale della Federazione Nazionale della Stampa Italiana

"Enzo Biagi è stato il giornalista che molti di noi avremmo voluto essere. E’ stato anche un uomo forte, determinato, coraggioso ed animato da una passione civile degna di ammirazione. Le sue doti umane e professionali, la capacità di individuare e raccontare senza fronzoli le vicende italiane e mondiali, ne fanno un maestro di vita e di giornalismo. Per me un caro amico. Ne ricordo la capacità di analizzare la vita politica ed economica del nostro Paese senza indulgenze per nessuno, con interviste sempre scomode, mai sdraiate.
Nella lunga serie di trasmissioni televisive Enzo Biagi ha tracciato un quadro esatto dei cambiamenti e dei rischi di un certo modo di concepire la politica come occupazione del potere e non come servizio alla società. Per questo l’editto di Sofia lo cacciò dalla Rai, lo emarginò dal suo pubblico contribuendo per molto tempo a ridurre la credibilità del servizio pubblico. Enzo ne ha sofferto, ma attorno a lui è cresciuta e si è rafforzata la determinazione a resistere ai tentativi di ridurre la libertà e l’indipendenza della nostra professione. In tanti abbiamo lottato con Enzo e condiviso le sue battaglie, siamo riusciti a raccogliere attorno a noi le forze migliori della società civile. Alcune di quelle battaglie le abbiamo vinte, Enzo Biagi è tornato, purtroppo per poco, alla Rai e in televisione. Altre battaglie non sono però concluse: le leggi di riforma promesse sulla comunicazione non sono ancora quelle che Biagi avrebbe voluto. Per questo dobbiamo continuare a rivendicare il pluralismo dell’informazione, la riforma del servizio pubblico, leggi eque per l’editoria e norme certe contro tutti i conflitti di interesse. E’ una battaglia difficile, che combatteremo senza Enzo, ma nel suo nome. Per questo proporrò alla Giunta della Fnsi di dedicare al ricordo di Enzo Biagi il prossimo XXV Congresso della Federazione Nazionale
della Stampa Italiana."

Eugenio Scalfari, fondatore di Repubblica
"Una frase non basta per ricordare un giornalista della grandezza di Biagi", dice il fondatore di Repubblica. Domani affidero' alle colonne del giornale un lungo ricordo dell'amico scomparso".

Sergio Zavoli
"Molte cose della fine di Enzo assomigliano alla morte di Federico Fellini. Lo stesso disincanto apparente, la piccola ironia messa nel racconto del proprio stato. Con Enzo abbiamo passato una vita insieme, era una persona di straordinarie qualita' umane. Mi ha detto nella nostra ultima conversazione di pochi giorni fa che abbiamo avuto una grande fortuna perché non abbiamo cose grandi di cui doverci vergognare, non abbiamo mai agito per nostro esclusivo tornaconto. Avremmo fatto questo mestiere anche se non ci avessero pagato, ma per favore Sergio – mi ha detto – non facciamolo sapere e ci siamo lasciati con un abbraccio".

Paolo Mieli, direttore del Corriere della Sera
Enzo Biagi fu il numero uno nel giornalismo televisivo e della carta stampata.
Al Tg1 fu molto molto innovativo, Montanelli fu il numero uno, ma nella carta stampata. Mi diceva se c'e' qualche servizio che nessuno vuole fare, se c'e' qualche giornalista pigro, dammelo a me. Ha dedicato gran parte della sua vita da adulto a fare quello che non vogliono fare nemmeno i praticanti".

Ferruccio De Bortoli, Direttore del Sole 24 Ore
"Lo ricordo come un grande amico, un padre, un fratello maggiore: ci ha insegnato la passione per questo mestiere, la liberta', che qualche volta ha un costo.
E' rimasto il cronista che conoscevo, ha scherzato fino alla fine. Se avesse avuto un blocchetto dei suoi avrebbe raccontato questi giorni".

Claudio Cappon, Direttore generale della Rai
"Con la scomparsa di Enzo Biagi la Rai perde un grandissimo giornalista che ha dato lustro negli anni all'Azienda e a tutto il giornalismo italiano.
Biagi ha contribuito con la sua professionalita' a far grande la Rai, e per questo e' e restera' a pieno titolo nella storia della nostra Azienda. Personalmente ho di lui un ricordo affettuoso, di un uomo ancorato a valori solidi come la famiglia e l'amore per il suo Paese, della cui storia moderna e' stato un grande interprete e testimone".

Paolo Gentiloni, Ministro delle Comunicazioni
Enzo Biagi "e' stato un esempio civile per tutti gli italiani.
Nei decenni della sua straordinaria carriera Biagi ha raccontato le vicende della grande storia e la vita della gente comune, difendendo sempre l indipendenza del lavoro giornalistico".

Il ricordo del Premio Ilaria Alpi
"Biagi è stato come un secondo padre per Ilaria e le ha contagiato la passione per il giornalismo". Con queste parole Giorgio Alpi, padre di Ilaria ha consegnato nel 2005 il Premio alla Carriera a Enzo Biagi.
Per la prima volta nella storia del premio Ilaria Alpi, nel 2005, la giuria ha infatti istituito un riconoscimento speciale alla carriera. La scelta non poteva che cadere su Enzo Biagi, per il suo lavoro, simbolo di integrità, cultura, approfondimento e passione.
"A volte basta un giusto tra una marea di miserabili per salvare tutta la nostra categoria ". Queste invece le parole che Biagi ha dedicato a Ilaria durante la premiazione che si è svolta a Milano il 30 aprile 2005.
L’Associazione Ilaria Alpi insieme a Giorgio e Luciana Alpi, è vicina ai familiari e con questo ricordo vuole rendere omaggio a Enzo Biagi, maestro di giornalismo, punto di riferimento per tutti i giornalisti per come ha svolto la professione. Alla famiglia, a Bice e a Carla, e all'amico e collaboratore Loris Mazzetti vanno le più sentite condoglianze da parte di Giorgio e Luciana Alpi e di tutta l'Associazione Ilaria Alpi.

Carlo Verna, Segretario UsigRai
''Quando il più grande di tutti se ne va, gli altri si sentono tremendamente soli. La morte di Enzo Biagi è per noi lutto e smarrimento. Il suo giornalismo sempre giovane nascondeva la sua età anagrafica.Un simbolo di libertà e delle mille voci cui il giornalismo vero deve dare spazio:dai potenti da svelare agli umili''. È quanto afferma in una nota Carlo Verna, Segretario dell'Usigrai, esprimendo il proprio cordoglio per la scomparsa di Enzo Biagi.
''Piangiamo il Maestro e il Direttore -prosegue Verna- insieme al suo unico editore di riferimento: il pubblico. Lo facciamo anche con quel sentimento crepuscolare di quel che poteva essere e non è stato nei cinque anni in cui Biagi è stato tenuto lontano dalla televisione, lontano dalla nostra Rai. Un rimpianto appena temperato – conclude – dall'averlo potuto immaginare fino all'ultimo con una scaletta di trasmissione aperta''.

Antonio Di Bella, direttore tg3
Enzo Biagi ci ci ha lasciati con un sorriso. Il suo sorriso ironico insieme di timidezza e di sfida. Con quel sorriso aveva salutato me e gli altri amici in questi giorni in clinica a Milano. Con quel sorriso ha sempre reagito agli attacchi del potere politico che ha cercato per anni, con nomi diversi,di rimetterlo in riga. Lui in riga non e' mai stato. Ha raccontato cio' che ha vitso. Ha detto quel che pensava. Ma non si e' mai atteggiato, come molti, troppi, a eroe della libera informazione. Ha sempre mantenuto quel sorriso intelligente, umile e intransigente.
Fino all'ultimo.
Grazie Enzo.

Corradino Mineo, direttore Rainews24

Non l'ho conosciuto di persona. Aveva una smisurata considerazione per il suo mestiere. Una volta da ragazzo ebbe a dire: farò il giornalista per cambiare il mondo. E questo sogno spiega molte cose: la corte spietata che fece al potere, a tutti i poteri, e il rifiuto che oppose a chiunque volesse impartirgli ordini, magari sotto forma di consigli suadenti.
Scriveva in modo semplice, usava parole facili, evitava ogni struttura sintattica complessa. A un certo punto doveva essere diventato un vezzo e non si distingueva più quando stava scrivendo un "pezzo" o facendo una domanda in televisione.
Aveva un modo suo di intervistare, che faceva apparire immenso l'interlocutore. Sdraiato? Niente affatto: gli interessava far emergere tutto quel che la "vittima" poteva dire, cogliere tutto quel che poteva essere. Con "il Fatto", che accompagnava il Tg1 delle 20, certo anche per ragioni produttive, intervistato e intervistatore spesso non sedevano accanto.Ma ciò rendeva l'intervista più pura, più televisiva e perciò più bella. Credo che Enzo Biagi abbia molto sofferto quando Berlusconi lo definì, dalla Bulgaria, giornalista fazioso, proponendo che fosse allontanato dalla Rai. Non tanto, credo, per l'esilio forzato ma perché gli bruciava l'offesa. Aveva sognato di fare il giornalista, era stato, con Montanelli e pochi altri, il giornalismo e si trovava marchiato a sangue per una delle troppe bizzarrie della politica italiana!

Roberto Morrione, già direttore Rainews24

Enzo Biagi, Direttore del Telegiornale, che legge con pazienza i miei articoli pubblicati da giornaletti studenteschi e mi chiede commosso come sta la signora Lina Zanetti, l’anziana professoressa sua insegnante tanti anni prima e amica di famiglia di mia madre, che mi ha mandato da lui con un biglietto di presentazione. E’ il Maggio 1962, quarto piano di Via Teulada a Roma. Enzo Biagi che mi presenta subito a un gruppo di suoi giornalisti, dicendo semplicemente: “questo ragazzo è mio amico, fatelo lavorare”.
E’ il nucleo redazionale di “RT”, primo periodico televisivo d’inchiesta e approfondimento: Aldo Falivena, Brando Giordani, Gianni Bisiach, Emilio Ravel. Dei miti, per uno studente universitario ventenne, tanta passione per il giornalismo e nessuna esperienza. Un ricordo indelebile è la visione nel primo numero di “RT” dell’inchiesta di Gianni Bisiach a Corleone, l’intervista al custode del cimitero che descrive quanti morti ammazzati vi sono sepolti e s’interrompe cambiando discorso quando s’intravvede all’ingresso una figura maschile vestita di scuro.
Enzo Biagi, che chiama me e l’altro “ragazzo di bottega”, Maurizio Persiani, “i miei due coglionacci”, ma ci insegna a praticare lealtà e chiarezza, ci spiega cos’è la notizia, perché bisogna a ogni costo rispettarla, sempre, qualunque sia la sua valenza.
Enzo Biagi, che pochi mesi dopo mi manda, giovane precario senza esperienza, in Sicilia in una squadra guidata da Brando Giordani. C’è stata la strage di Ciaculli, l’Italia sembra voler fare sul serio e vincere la guerra alla mafia. Un mese di esperienze e duro lavoro, tanti ricordi: Mauro De Mauro, che ci apre la porta di Serafina Battaglia, prima pentita di mafia, poliziotti, carabinieri, magistrati. Alcuni di loro cadranno poi per mano mafiosa e mandanti occulti, lo stesso De Mauro, Terranova, Dalla Chiesa . Quella guerra non sarà vinta e neppure combattuta nei modi giusti.
Enzo Biagi, dunque, decisivo per avviarmi a una lunga esperienza di giornalista, 45 anni fa, ma sempre presente moralmente nei momenti salienti della mia vita, professionale e indirettamente personale, con le sue scelte, le sue battaglie, la sua coerenza civile, che ho voluto fossero su tanti percorsi diversi anche le mie.
E ora il cerchio si chiude, in un certo senso come un richiamo del destino, con il nuovo impegno in Libera Informazione, proprio partendo da quelle terre che delle mafie non si sono e non sono state mai liberate.
Enzo Biagi, ne sono intimamente certo, avrebbe volentieri dato una mano, il consiglio e l’aiuto di un maestro. Lo ringrazio di tutto, ma soprattutto per non avermi mai fatto smarrire, nel profondo del mio animo, quello che sognavo e speravo di essere allora.

Roberto Natale, Federazione Nazionale della Stampa Italiana

Un’immagine e una parola. L’immagine è quella di Biagi che intervista Raffaele Cutolo in un’aula di tribunale. La parola che Biagi sceglie di usare continua a colpire, anche a distanza di tanti anni: perché gli si vuole rivolgere chiamandolo ‘Signor Cutolo’. Un feroce camorrista chiamato “signore” in tv. Il grande cronista che, con una sola parola, dà una lezione di sobrietà, di rispetto dell’altro e di sé, di senso civico. In tempi di cronaca gridata, di microfoni piazzati a grappolo davanti al viso di presunti colpevoli, di inseguimenti affannosi per estorcere frasi smozzicate, quello stile è ancora l’unità di misura di un giornalismo possibile.

Santo della Volpe, TG3

Enzo Biagi è stato un maestro per tutti i giornalisti italiani,ma per noi “cinquantenni”,è stato qualcosa di più: un punto di riferimento di stile e rigoroso rispetto della notizia, di curiosità e ricerca dell’autorevolezza. Per noi che in Rai arrivavamo nel servizio pubblico radiotelevisivo dopo l’esperienza della carta stampata, la notizia era già sacra,ma lui ci indicava subito che in Rai c’era qualcosa di più da rispettare,perché quello che noi dicevamo in radio ed in Tv l’aveva “detto la RAI”, ripeteva,riportando un modo di dire popolare che era diventato un marchio di garanzia. Per cui ci voleva più impegno,più rigore, più curiosità ma anche più controllo della notizia.
Per questo quando lavorai con lui alla redazione del “Il Fatto” in quell’estate del 1990 (poche settimane ,ma intense),mi avvicinai alla prima riunione di redazione mattutina con molto rispetto e soggezione. Alle 10 bisognava aver già letto tutti i giornali e bene, perché “il nonno” come lo chiamavamo in redazione, arrivava presto in redazione e sapeva già tutto, con la passione di un ventenne. Franco Iseppi,che allora curava con Biagi “Il Fatto”, mi presentò a lui come un giovane collega che veniva da Torino (anche se avevo già 7 anni di lavoro in Rai alle spalle) e quello che mi stupì fu subito la curiosità di Biagi: voleva sapere dove avevo lavorato,cosa avevo fatto prima,di quali argomenti mi ero interessato ed a bruciapelo mi chiese “cosa proponi tu” oggi.Me la cavai proponendo una inchiesta sull’alcolismo,lui rispose dicendo parti subito.
Ascoltava con attenzione le idee degli altri,le valutava e con una battuta faceva subito capire il suo interesse. Ed aveva sempre ragione, ogni giorno la sua notizia nel programma era la notizia del giorno e quando decideva di approfondire un argomento lo faceva sempre in modo che diventasse una notizia che spesso rimbalzava il giorno dopo sui giornali.
Maestro,grande maestro: anche di umiltà. Mi colpì sempre il modo con il quale fece una intervista ad una signora che aveva il dramma del figlio tossicodipendente. Le parlò come un padre di famiglia, che conosce i problemi dei rapporti tra genitori e figli, fece poche domande ,semplici,rispettose. Ne uscì una intervista bellissima,un affresco umano di rara intensità, forte, piena di dignità. Ed Iseppi,allora, mi sussurrò all’orecchio mentre andava in onda:”Vedi, è l’umiltà dei grandi”.
Quella umiltà resta un altro degli insegnamenti di Enzo Biagi: cronista attento ed umano considerava sullo stesso piano Kennedy e la signora con problemi di alcolismo, Gorbaciov ed il minatore di Iglesias, l’avvocato Agnelli e l’operaio della Fiat, il papa ed il contadino dell’appennino emiliano. Per questo odiava l’arroganza ed il vuoto apparire,amava cercare la sostanza nei fatti e nelle persone.Un atteggiamento che lo aveva reso “scomodo” per chi invece praticava e pratica l’intolleranza e la superbia. Quella umiltà e quella sua competenza,quel suo modo schietto e sincero di fare giornalismo ne ha fatto il punto di riferimento per la nostra generazione. Grazie “nonno” per tutto quello che ci hai insegnato.

Ennio Remondino, inviato Rai

Ho saputo della morte di Enzo Biagi, nello stesso istante in cui la prima agenzia stampa né ha dato notizia. Stavo al computer, di prima mattina, a controllare cosa mai si fossero detti a Washington George W. Bush e il premier turco Erdogan. Confesso che da quel momento la “notizia” che inseguivo da Istanbul, anche se di guerra si tratta, è diventata di colpo evanescente come parte del chiacchiericcio giornalistico inutile. Troppe memorie, da un po’ di ore a questa parte, troppi riconoscimenti ove il testimone ricorda Biagi per raccontare di sé. L’Io che governa tutte le nostre azioni e percezioni, nell’occasione di una morte che colpisce, cerca valori meno plebei dietro cui immaginare il pezzo di vita propria che resta. Il mio Io, giornalista anche lui sino in fondo, d’acchito, s’è sentito un po’ più orfano.

Non ho voglia di parlare di Enzo Biagi perché troppi, anche se molto meglio di me, su di lui stanno riempiendo pagine e teleschermi. Mi viene d’istinto, invece, il parlare di giornalismo. Il mestiere di Enzo Biagi, il mestiere che mi sarebbe sempre piaciuto fare da grande. Il condizionale dell’impossibilità e dell’auto critica personale, rispetto al giornalismo in cui mi trovo costretto. Qual giornalismo praticato e governato da chi, in Biagi dice d’avere avuto un maestro. Allievi asini che usano quel grande vecchio come totem attraverso cui esorcizzare i fantasmi della propria cattiva coscienza.

Il Biagi che faceva apparire vezzo il suo definirsi sempre e soltanto “Cronista”. Il Biagi televisivo de “Il fatto”, che ha sempre e soltanto inseguito i fatti. I fatti della prepotenza politica e dei suoi servi che lo escludono dai teleschermi per anni. Il Biagi delle molte direzioni giornalistiche precarie per la sua inconciliabile rigidità nei confronti del potere. Il Biagi dei tanti libri in cui molti dei potenti del mondo, letti con la sua umanità attenta, ce li ha resi umani. Un Biagi che nel giornalismo attuale già non c’era più, chiuso e stretto nell’alibi di qualche frammento televisivo, isola di realtà nell’oceano delle Isole dei Cretini.

Giornalismo orfano, con sempre meno padri nobili attraverso cui vergognarsi delle proprie inadeguatezze e paese commosso. Altra contraddizione. La stessa Italia che domani potrebbe correre a rivotare Berlusconi o che insegue l’antipolitica dei Grilli Parlanti, piange in Biagi l’esatto contrario di quei mondi. L’essere e il voler essere. Strano giornalismo e strano paese il nostro, capaci di commuoversi di fronte alla virtù perduta ed incapace di praticarla. Da giornalista che “avrei voluto essere”, Enzo Biagi lo sento come testimone d’un mestiere contro cui potenti nemici stanno ormai avendo partita vinta.

Dario Fo, premio Nobel
"Quando uno come Enzo Biagi che amava tantissimo il proprio lavoro viene tolto di mezzo in quel modo cosi' brutale che conosciamo, lo si ammazza a meta.
La sua perdita e'un lutto nazionale perche' e' davvero grande. Ho provato situazioni di cacciata diretta e so cosa significa essere di colpo senza un lavoro che, come nel caso di Biagi, e' la tua vita. E non voglio aggiungere altro"

Ricordo di Federico Orlando, fondatore Articolo 21

Il sabato andavamo da Elio, il “fabulano” conterraneo di Montanelli, autore della definizione dell’oste toscano in via Fatebenefratelli, che gli condiva lo scarsissimo cibo con moltissime parole di elogio per i prodotti che serviva («Tutti genuini della Toscana, terra benedetta»): sei sette cucchiai di fagioli bianchi della Val d’Elsa (credo), o, in alternativa, quattro di lenticchie di un’altra Valle , due noci del Casentino e mezzo dito orizzontale di Chianti da beva, una “mollica” di parmigiano: «Questo non è toscano» ribatteva Enzo Biagi, emiliano, anche lui gran passionario dei fagioli, che stava a capotavola e alternava battute a riflessioni coi commensali: che erano appunto Montanelli, padrone di casa, e Lamberto Sechi, storico direttore dell’Europeo, e Claudio Rinaldi direttore dell’Espresso già martoriato nel fisico di atleta greco, che rientrava il sabato mattina da Roma, e Gaetano anzi Gaetanino Afeltra, amministratore del Giorno ma cuore alla terza pagina del Corriere della Sera; e meno spesso il direttore stesso del Corriere (anche allora Paolo Mieli) e, ancor meno spesso, Giorgio Bocca, che come sempre pareva avere il mondo in gran dispetto, e l’avvocato del giornale D’Aiello con la moglie ragazzina, che occupava (l’avvocato) una poltrona perpetua nella mia stanza avanti al televisore, e alternava, con me che scrivevo, riflessioni su Berlusconi a quelle sulla Fiorentina, quando s’avvicinava Montanelli; e infine c’ero anch’ io, che mi definivo ragazzo di bottega, ma ero molto meno ragazzo di Rinaldi.
Era, quella del sabato da Elio, l’ora del relax settimanale, però Biagi, forte come tutti quegli altri “senatori a vita” della semplicità del linguaggio, diceva anche cose significative, senza guastare il carattere conviviale dell’adunanza: all’artigliata tosca di Montanelli preferiva l’ironia goliardica dei felsinei. Ci diceva (lo sapevamo tutti, ma ad alcuni faceva bene sentirselo ripetere, impegnati com’eravamo in quel fatale 1992-93-94 a far fronte alla nuova repubblica, che secondo noi nasceva storta): «Il nostro lavoro è, di suo, un mestiere come gli altri; ma può diventare una missione. Perciò non abbiamo orari o età pensionabile, perché le missioni non vanno in pensione e non si fanno a ore». E a me, come un oracolo: «Hai voglia a tirare la carretta».
Continuai a sentirgli ripetere questa storia della missione anche quando, sciolto il sinedrio del sabato dall’irruzione del Cavaliere, e chiusa la breve stagione de La Voce, tornammo a prendere vie diverse: e Biagi, parecchi anni dopo, la via dell’ ostracismo dalla Rai, dove Il Fatto era stato giudicato “uso criminoso del mezzo pubblico”. Il crimine non gli valse vent’anni di segrete, come al professore di Salamanca, ma provocò in lui il complesso di quel professore. Sicché quando rientrò, per un momento, appena un anno fa, nelle sue funzioni alla Rai, non si trattenne dal parafrasare l’Heri dicebamus, ieri dicevamo, del professore, tornato sulla cattedra, e disse ai telespettatori: «Scusate l’assenza. C’è stato un incidente tecnico, durato quattro anni». Anche il suo mezzo colonnino in prima pagina del Corriere, col ritratto sagomato, s’era liquefatto: segno che le forze reclamavano la loro insufficienza a tirare la carretta come prima.
Nel frattempo – luglio di sei anni fa – qui a Roma avevamo creato, fra giornalisti della Rai e della carta stampata, registi, attori, programmatori, sceneggiatori, fotografi, edicolanti, una specie di “Compagnia della morte” come quella attorno al Carroccio di Alberto di Giussano, si licet, disposti a batterci “politicamente” per l’articolo 21 della Costituzione, a fianco e oltre le nostre organizzazioni corporative e sindacali. Biagi da Milano aderì fra i primissimi ad “Articolo 21”, e quasi ogni volta che ci si riuniva (come ancora ieri sera per la libertà della Birmania), lui era con noi in collegamento audio-video; e anche ieri sera, d’accordo con Loris Mazzetti, suo regista e mentore del Fatto, e con le due figlie in cui concentrava gli affetti dopo la perdita della moglie e di un’altra figlia, avremmo tentato di collegarci, com’è scritto nel programma della manifestazione. Programma incompiuto per questa parte, purtroppo, e perciò segnato dalla striscia nera, non del lutto fisico, ma della tristezza per questi preziosi senatori a vita che se ne vanno tra gli insulti dei farabutti e lasciano agli altri il compito di continuare, come possono, il loro lavoro-missione. Cosa sempre possibile, qualità prestigio a parte. E anche vocazione, perché oggi di scarpe, block notes e matite ne sono rimaste poche nel nostro mestiere, parecchi preferiscono il “copia e incolla”, e ci si adonta a sentirsi chiamare “cronisti”. Anche lui come Montanelli volevano essere chiamati cronisti, perché, dicevano, i fatti inchiodano più delle requisitorie. Che tuttavia sapevano fare.
A Montecitorio, una volta Giulietti, portavoce di Articolo 21 commentò ad altissima voce: «In Italia bisogna aver superato gli 80 anni per assumersi le responsabilità civili: gli altri hanno famiglia». Si riferiva a un’intervista di fuoco rilasciata da Biagi a Laura Laurenzi, in piena campagna elettorale 2001. Il giorno prima aveva parlato sullo stesso tema Montanelli, al quale un berlusconiano di ferro aveva lasciato una lettera con pallottola sul tavolo del ristorante: che non era quello del “fabulano” Elio. Testimone del fatto, ne scrisse il giorno dopo De Bortoli, direttore del Corriere, su cui Montanelli aveva ripreso a scrivere “La stanza”, l’amatissima quotidiana rubrica dei lettori. Cosa succederà dopo l’arrivo del Cavaliere a palazzo Chigi? Domanda l’intervistatrice. «Ci resterà a lungo senza bisogno di agitarsi molto – risponde Enzo Biagi – Una dittatura morbida, come lui sa fare, conoscendo questo paese e chi lo abita». C’è chi sostiene che dopo Montanelli il centrodestra farà fuori lei. «Che succede, c’è già il Tribunale Speciale?» è l’aspra ironica conclusione.
Domanda e risposta erano, purtroppo, chiaroveggenti. Prima dell’“editto bulgaro” , Roberto Zaccaria confidava a un giornale: «Se vedo Vespa? Sì, ma non è abbastanza. La nostra Rai è ancora troppo pluralista. Se le raccontassi quante pressioni per chiudere Biagi e Santoro, per non trasmettere la marcia Perugia-Assisi, e prima le immagini del G8 a Genova…». Ma il vecchio leone emiliano, icastico ma soft nelle sue interviste per Il Fatto, alla destra che chiedeva di cacciarlo dalla Rai replicava con rara durezza: «Gli italiani pensavano d’aver chiuso i conti coi fascisti nel ’43, invece siamo ancora al “cacciamoli via”». E aggiungeva, a proposito del duopolio-monopolio del presidente del consiglio: «Tre reti sono sue, tre della Rai lo servono con intervistatore di servizio che s’impegna persino a chiedere quali domande intendano fargli i frequentatori dei salotti televisivi…». Come dire, quando la battaglia si fa dura è il momento che i duri tirano fuori gli artigli. Anche con sei bypass e un pace-maker. Perché, quel che non capiranno mai gli estremisti di questa o quella parte, la durezza degli uomini non sta nei muscoli ma nei pensieri. «Per rafforzarli – raccomandava – bisogna dare coraggio agli italiani; e ai giornalisti più giovani di noi l’esempio che, come formazione professionale, non ha pari».

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