Il muro di Rafah


Michele Giorgio, Il Manifesto


Si scava, ma non solo, lungo i 12 km di frontiera tra l’Egitto e la Striscia di Gaza. Si scava e si prepara la ragnatela di tubi che dal Mediterraneo porterà l’acqua necessaria per allagare la fascia di territorio lungo la quale correrà la barriera di acciaio in costruzione da Tel al Sultan a Sarsuriya.


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Il muro di Rafah

Si scava, ma non solo, lungo i 12 km di frontiera tra l’Egitto e la Striscia di Gaza. Si scava e si prepara la ragnatela di tubi che dal Mediterraneo porterà l’acqua necessaria per allagare la fascia di territorio lungo la quale correrà la barriera di acciaio in costruzione da Tel al Sultan a Sarsuriya. La seconda fase dei lavori è ormai avviata, scrive il quotidiano egiziano indipendente al Masry al Youm che ha avuto la possibilità di raccogliere le testimonianze di beduini che vivono in quella zona. Le potenti scavatrici che per giorni hanno preparato la sede per la barriera di acciaio impenetrabile, a prova di bomba, sono state spostate nell’area di Salah Eddin, non lontano dal memoriale per il milite ignoto. In campo intanto scendono le associazioni ecologiste, per denunciare un progetto che non solo chiude una delle bombole d’ossigeno più importanti per la popolazione di Gaza ma che rischia anche di provocare danni all’ambiente. «Allagare con acqua salata i tunnel sotterranei esistenti, o almeno la maggior parte di essi, metterà a rischio le scarse riserve d’acqua dolce delle due Rafah», ha avvertito l’ambientalista palestinese Nizar Wahidi.
«Vogliamo sapere se questo progetto servirà a consolidare il pesante embargo che Israele attua contro i nostri fratelli palestinesi», ha protestato il deputato Abbas Abdel Aziz in una lettera aperta rivolta al premier Ahmed Nazif. Il deputato ha esortato le autorità del suo paese a non distruggere i tunnel con Gaza «perché sono fonte di sopravvivenza per la popolazione palestinese». Stasera i Comitati per la stampa libera e altre organizzazioni della sinistra egiziana terranno un sit-in al Cairo per protestare contro il «muro egiziano» che completerà l’accerchiamento di Gaza. Il regime di Hosni Mubarak da parte sua resta in silenzio di fronte alle critiche. Non ha ancora confermato i lavori in corso lungo la frontiera con Gaza eppure il progetto va avanti, senza soste, sull’onda delle pressioni americane (e israeliane), per mettere fine ai traffici sotterranei tra la Rafah palestinese e quella egiziana. Un movimento in profondità che non ha soltanto fatto entrare armi a Gaza, come proclama Israele, ma che ha anche assicurato il rifornimento di prodotti altrimenti introvabili nella Striscia stretta nella morsa del blocco israeliano. Mubarak non intende deludere in alcun modo Washington, cerca di riemergere come il principale alleato arabo degli Stati Uniti dopo il «freddo» degli anni della passata Amministrazione Bush, più aperta e disponibile (anche per gli interessi dell’ex presidente americano in campo petrolifero) nei confronti dell’Arabia saudita. L’Egitto vuole strappare a Riyadh il ruolo di «leadership» araba che ritiene suo. Senza dimenticare i finanziamenti al Cairo che Washington minaccia di revocare – 200 milioni di dollari in aiuti militari – se non verranno distrutti i tunnel con Gaza. Il Congresso ha  stanziato 23 milioni di dollari per fornire all’Egitto tecnologie moderne e assistenza tecnica nella lotta «al traffico sotterraneo» che, secondo Israele, garantisce nuovi  razzi e armi più sofisticate ad Hamas.
La barriera in costruzione non bloccherà tutti i tunnel, prevedono gli esperti egiziani e palestinesi ma certo limiterà drasticamente i traffici che hanno contribuito a tenere in vita Gaza in questi ultimi anni. «Il muro egiziano si aggiunge a quello israeliano in Cisgiordania e rappresenta un’altra punizione collettiva per la nostra popolazione», ha protestato il vice presidente del parlamento palestinese Ahmed Bahar (Hamas), convinto che il progetto sia la fase preliminare di un nuovo conflitto a Gaza. Qualche giorno fa Hamas ha organizzato a ridosso del confine una dimostrazione di protesta, annunciandone altre per i giorni seguenti. Ma a scuotere la testa non sono soltanto i palestinesi. I 1.000-1.200 tunnel esistenti lungo il confine hanno dato lavoro a centinaia di famiglie della Rafah egiziana e ai beduini del Sinai, impegnati a procurare le merci chieste da Gaza. Raggiunto telefonicamente dal manifesto, Khaled Gaala, un commerciante egiziano di Sheikh Zowayed, ha raccontato che prima e dopo l’offensiva israeliana «Piombo fuso» è stato impegnato notte e giorno a preparare merci di ogni tipo per i palestinesi. «Ci richiedono di tutto, cibo, pannolini per bambini, sapone, medicine – ha riferito – certo, abbiamo guadagnato bene fino ad oggi, ma tutto sommato credo di aver semplicemente fatto il mio lavoro che è quello di assicurare ai clienti, in questo caso i  palestinesi, ciò di cui hanno bisogno. Il traffico sotterraneo ha anche contribuito ad abbassare i prezzi a Gaza, ad esempio quelli della carne e del carburante. Oggi un palestinese di Gaza compra la benzina al costo del Cairo e non di Israele». Al Aroubi è convinto che la barriera metterà fine a gran parte dei traffici. «E’ un progetto grosso, ho visto in azione macchinari enormi, molto potenti. I lavori finiranno presto», ha previsto il commerciante.
La giustizia egiziana, intanto, ha cominciato a colpire i trafficanti. Secondo la stampa locale, 3mila persone sono state giudicate e condannate in absentia e, se catturate, dovranno scontare pene fino a tre anni di carcere. Temono la barriera anche gli abitanti del villaggio di Mahdeya dove grossisti e trafficanti hanno affittato, e talvolta anche costruito, magazzini per conservare le merci e il carburante destinati a Gaza. I tunnel sono l’unica fonte di reddito per tante famiglie di questo villaggio poverissimo, sperduto nel deserto e dimenticato dal governo. Quando il muro sarà completato soffriranno non solo i palestinesi di Gaza ma anche tanti egiziani del Sinai.

Fonte: il Manifesto

29 dicembre 2009

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