Il dramma della guerra: in Somalia come a Gaza


Enzo Nucci


Nelle ore in cui si sta consumando la tragedia di Gaza emergono drammaticamente le molte analogie con la disperata situazione che sta vivendo la Somalia.



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Il dramma della guerra: in Somalia come a Gaza

In Somalia la guerra civile è diventata ormai maggiorenne.  Contro ogni ottimistica previsione da 18 anni il paradosso storico-politico ci dimostra come può esistere una nazione senza stato. Uno dietro l’altro si sono succeduti i clamorosi fallimenti di riportare la pace di Stati Uniti, Nazioni Unite, Unione Africana. Tutti affogati miseramente nel sangue.
L’ultimo tentativo è toccato alle truppe etiopi che su mandato del presidente Bush invasero il paese alla fine del 2006 sbaragliando i miliziani delle Corti islamiche che controllavano quasi tutta la Somalia. 
Le corti islamiche erano riuscite ad ottenere un vasto consenso popolare perché avevano tagliato i famelici artigli dei cosiddetti “signori della guerra”, bande di tagliagole dedite a curare i loro sporchi affari in grado di imporre tangenti e leggi ad una popolazione inerme e stremata. E proprio come Hamas (grazie ai contributi provenienti dai loro sostenitori all’estero e dalla Carità Islamica), le corti  erano state le sole ad avviare un minimo di assistenza sociale specialmente nei settori della sanità e della scuola, praticamente azzerati dal conflitto.
Ora, dopo due anni occupazione costellata da attentati e morti, le truppe di Addis Abeba stanno abbandonando la Somalia.
Lasciano un paese più povero e disperato di prima dove la pace resterà una chimera ancora per molto. L’invasione etiope infatti costrinse alla fuga anche quelle componenti moderate dell’universo islamico disposte al dialogo con la comunità internazionale. Ora a distanza di due anni dall’occupazione sono proprio gli stessi estremisti islamici di allora i più seri candidati alla presa del potere. Con una sostanziale differenza rispetto al 2006: questa volta gli Shabaab (i giovani), ovvero la formazione musulmana più radicale, non è disposta a praticare sconti agli islamici moderati, accusati di collaborazionismo. E mentre le truppe di Addis Abeba si avviano al confine, sono già iniziati i regolamenti di conti. La vittima più illustre è Abdullah Yussuf,  presidente del governo fantoccio di transizione, costretto ad una indecorosa fuga con la famiglia ed un manipolo di fedelissimi per evitare di essere ucciso.
Insomma anche la Somalia dimostra come l’intervento militare serva solo a ridare forza alle idee più radicali dell’Islam che appare ai disperati come l’unica soluzione per fermare la violenza.
Proprio come Israele a Gaza, gli etiopi non si sono mai illusi di poter domare il popolo somalo, suo avversario storico.  Ma l’intervento militare è visto solo come una pressione necessaria per rintuzzare gli avversari, per costringerli a leccarsi temporaneamente le ferite.
Sulla Somalia pesano responsabilità internazionali. E’ diventata una voce importante dell’agenda politica solo dopo gli attacchi alle Torri Gemelle del 2001 quando si scoprì che il paese offriva la logistica ai militanti di Al Qaeda. Gli Stati Uniti avevano seppellito la questione somala il 3 ottobre del 1993 sotto le macerie degli elicotteri Black Hawk, in cui persero la vita 19 soldati.
Ma molte responsabilità vanno anche attribuite a chi –nell’imminenza della caduta di Siad Barre tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ‘90 – non comprese la necessità di un cambiamento graduale e controllato, un po’ come quello auspicato (ma fallito) di Gorbaciov per accompagnare la fine del regime comunista nell’Urss.
Anche la sinistra italiana si illuse che l’alternativa improvvisa e violenta (senza passaggi mediani) al vecchio dittatore Barre fosse l’unica strada percorribile senza riuscire però a capire che cosa si nascondeva in un paese di guerrieri che – come scrive su “La Stampa” Domenico Quirico – sono “figli di una anarchia pastorale che solo il volenteroso colonialismo italiano e poi una dittatura astuta hanno saputo domare, armati ora anche di un fanatismo religioso e con lo stomaco vuoto, hanno inflitto l’ennesima lezione all’Occidente”.
Oggi si presentano ad esigere il conto che rischia di essere sempre più salato.

Fonte: Articolo 21
7 gennaio 2009

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