I due marò, Terzi e Di Paola


Emanuele Giordana - Lettera22


Martedì alla Camera Terzi e Di Paola spiegano il “pasticciaccio” marò…con le spiegazioni dovrebbero consegnare al Parlamento anche le loro dimissioni.


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Se alle spiegazioni che martedi prossimo Terzi e Di Paola dovranno dare in parlamento sulla vicenda “marò”, i due ministri aggiungessero le loro dimissioni, la partita aperta l'11 marzo scorso con la decisione di trattenere Latorre e Girone in Italia avrebbe forse una degna conclusione. Ma già ieri sul Corriere della sera, il titolare della Farnesina metteva le mani avanti, convinto che tra l'aver trattenuto i due militari in Italia e averli poi restituiti dieci giorni dopo non ci sia nulla di strano.

Ieri Palazzo Chigi ha smentito le ricostruzioni secondo cui al Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica, l'organismo presso la presidenza del Consiglio in cui si trattano materie delicate, si sarebbe svolto una sorta di processo a Di Paola e Terzi, sin dall'inizio indicati come coloro che avevano pensato e poi attuato la “svolta” dell'11 marzo, quando Roma comunicò a Delhi che i marò, in licenza elettorale, non sarebbero tornati in India. Che un governo che non gode di ottima salute e che è ormai agli sgoccioli non voglia proprio dare l'idea di essere stato alla fine anche un colabrodo si può capire, ma il fatto resta. Il malumore di Monti e Napolitano (e di parte del corpo diplomatico e delle Forze armate) parla da solo e isola i titolari dei due dicasteri che per ora cercano di non dover pagare un prezzo troppo alto per una delle peggiori figure dell'Italia all'estero che la storia repubblicana ricordi.

E mentre in Italia sale la tensione politica e il tiro a segno della destra sull'orgoglio nazionale tradito, un alto profilo lo tengono proprio i due marinai, oggetto del contendere in una questione che ha ormai largamente superato la vicenda dell'uccisione dei due poveri pescatori del Kerala, all'origine del dossier. Latorre e Girone, che una lunga riunione l'altro ieri ha dovuto convincere a far ritorno in India, sono sbarcati ieri sera a New Delhi accompagnati dal sottosegretario agli Esteri Staffan de Mistura, l'uomo che ha seguito da protagonista tutta la vicenda sin dall'inizio, almeno sino all'11 marzo quando è apparso un po' defilato mentre Terzi si faceva avanti snocciolando le “solide” ragioni dell'Italia. Ora il grande mediatore riappare e si fa portavoce dei due soldati: «Siamo militari, andiamo avanti», gli han detto i marò, partiti giovedì notte su un velivolo militare decollato da Brindisi. Una bella lezione di stile.

La tesi italiana è che Roma non ha ceduto alle pressioni indiane ma che da Delhi ha ottenuto garanzie scritte sulla non applicazione della pena capitale. Tesi fragile perché non esiste esecutivo che possa garantire per un soggetto indipendente come la magistratura. E poi resta la questione della giurisdizione e del tribunale, dunque del giudice. Per ora gli indiani rifiutano l'arbitrato internazionale e insistono sulla corte speciale ma le cose potrebbero ammorbidirsi. La ministra Severino è ottimista: «Le ultime notizie sono di apertura e di dialogo diplomatico forte, che offre la prospettiva di una soluzione garantita della vicenda». Quanto ai possibili danni d'immagine dell'Italia, «contano i risultati», dice. Non è chiaro quali.

Intanto sulla retromarcia italiana fioccano le ipotesi. C'è la chiave interna (Napolitano e Monti infuriati perché male informati) e quella internazionale: nei dieci giorni in cui si consuma il caso, la Ue resta tiepida quando non se ne lava le mani. Prende posizione sull'immunità dell'ambasciatore Mancini, ma sembra in realtà farlo solo perché la vicenda costituirebbe un pericoloso precedente per altri diplomatici Ue. Dal caso in sé prende invece le distanze, anche perché non coinvolta dall'Italia e neppure avvertita (nemmeno del rientro in India). Poi la presa di distanze arriva anche da Washington, una doccia fredda che a Terzi, molto sensibile alle sirene di Washington (tanto da aver, unico ministro Ue, consigliato ai palestinesi di non chiedere lo status di Osservatore all'Onu) deve essere suonata come la vera resa dei conti.

Intanto, nell'ora delle difficoltà e delle spiegazioni, assai più che in quella delle decisioni irrevocabili, il ministro Terzi non c'è. Non è a Roma, tanto meno a Delhi. E' a Dublino per un gymnich. Una di quelle riunioni informali tra ministri degli Esteri europei dove, tra una birra e un sandwich, si discute. Chissà se anche della vicenda marò.

Fonte: www.lettera22.it
23 marzo 2013

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