Herat, colpita al cuore la fortezza italiana


Emanuele Giordana - Lettera22


Cinque feriti tra i militari italiani. Una trentina tra gli afgani e almeno cinque vittime civili. Il bilancio dell’attacco talebano al Prt del capoluogo dell’Ovest. La transizione difficile.


CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+
Herat, colpita al cuore la fortezza italiana

Cosa sia esattamente accaduto ieri a Herat ancora non è ancora perfettamente chiaro. La dinamica resta incerta ma l'effetto c'è tutto. Un altra fortezza della Nato viene violata dalla guerriglia che vi penetra all'interno, attacca, uccide, ferisce. Uno schiaffo su cui a metà giornata fa il punto il ministro La Russa perché questa volta la fortezza Bastiani è italiana e l'attacco è stato portato al cuore della presenza civile-militare italiana in Afghanistan: il Provincial Reconstruction Team (Prt) di Herat.

Con una conferenza stampa al Senato convocata d'urgenza il titolare della Difesa chiarisce che “i soldati italiani feriti sono cinque, di cui uno grave. Si tratta di un capitano, colpito all'addome. Le notizie però sono incoraggianti” dice, ma invita comunque alla prudenza: “…dobbiamo accendere un cero, poteva andare peggio”, conclude biblicamente. I cinque feriti, dice il ministro, sono stati evacuati e trasferiti a Camp Arena nell'ospedale militare spagnolo Role 2 e tra i feriti c'è anche un italiano del ministero degli Esteri, in stato di choc. Aggiunge che, nell'attacco, sono stati uccisi molti talebani e alcuni poliziotti afgani: un “attacco complesso, con un mezzo carico di esplosivo che ha investito il muro di cinta, seguito da attacchi dei ribelli con armi dai tetti delle case civili che circondano il Pr” mentre la guerriglia attaccava anche altri punti della città. Il bilancio complessivo degli attacchi, aggiornato da fonti sanitarie locali, è di almeno cinque morti e una trentina di feriti. A pagare, alla fine, sono come sempre i civili afgani.

La ricostruzione dell'azione resta comunque incerta: per i talebani i kamikaze sarebbero stati quattro ma secondo il capo della polizia locale, Farooq Kohistani, in città si sarebbero verificati due distinti attacchi, uno suicida nei pressi del Prt e un secondo nel centro della città, davanti a un cinema – secondo la ricostruzione del governatorato della provincia di Herat. Per Al Jazeera tutto sarebbe stato originato dall'esplosione di un'autobomba. L'agenzia di stampa Dpa sostiene che è stato un kamikaze a farsi esplodere a bordo del mzzo all'esterno della base italiana mentre in seguito sarebbero entrati in azione altri guerriglieri, almeno sette, che sarebbero riusciti a penetrare nel Prt.

Il Prt è una struttura mista composta da unità militari e civili (al comando il colonnello Paolo Pomella col 132mo reggimento artiglieria terrestre della brigata "Ariete"). Non è nuovo agli attacchi. Nel 2006 un'autobomba fece danni materiali relativi (esterni) ma diede il primo scossone polemico: sotto accusa proprio una struttura mista dove convivevano militari e civili. E dove, accanto agli uffici del Cimic (ossia il centro operativo militare che fa ricostruzione civile), c'erano le stanze della Cooperazione italiana. Confusione pericolosa si disse allora. Polemica finita poi nel dimenticatoio ma che adesso riprenderà fiato anche sotto un altro profilo: la sicurezza. Se in passato il Prt era stato colpito solo dall'esterno – anche col dubbio dell'attentato mafioso – l'azione di ieri mira a dimostrare la debolezza di un fortino considerato inespugnabile e in un momento delicato: Herat, capoluogo della regione Ovest sotto comando italiano, è tra le prime aree a far parte delle riconsegne della Nato alle autorità locali.

Secondo La Russa “i terroristi vogliono tentare di ritardare la transizione dall'autorità internazionale all'autorità afgana ma queste azioni sono, al contrario, proprio la dimostrazione che la nostra azione è efficace. E l'attacco non fa venire meno il nostro impegno finalizzato a restituire l'Afghanistan agli afgani, processo che dovrebbe concludersi entro il 2014”. Anzi, chissà. Potrebbe persino ritardare un ritiro annunciato. O prolungarlo oltre il 2014 un'ipotesi da molti ventilata anche se l'opzione tutti a casa sembra la più gettonata. Chissà cose i talebani hanno calcolato.

L'offensiva di primavera annunciata dai talebani sta mirando in effetti proprio a indebolire psicologicamente la Nato nelle giunture della transizione: in questo quadro va vista anche l'azione che ha colpito due giorni fa il governatorato di Taloqan nel Nord, dove si trovavano alti funzionari della Nato (il generale tedesco Kneip) delle forze di sicurezza afgane e del governo. Il periodo è confuso e forse la nuova strategia mira solo ad alzare il prezzo del negoziato politico dai contorni ancora incerti e che la morte di bin Laden ha in un certo senso rilanciato. La cattura della primula rossa adesso andrebbe appaiata con la fine (annunciata dai servizi segreti afgani) di mullah Omar il che farebbe supporre anche un accordo col Pakistan cui preme controllare la possibile pacificazione afgana che Islamabad vorrebbe vedere dipanarsi sotto l'egida del Paese dei puri. Ma è anche vero che la galassia talebana si muove per fazioni e che nemmeno Islamabad è in grado, come spesso si vuol far credere, di controllarla completamente.

Fonte: Lettera22, il Riformista

31 maggio 2011

CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+

Lascia un commento