Fuoco su Gaza


Paola Caridi - invisiblearabs.com


La tensione di queste settimane, tra raid israeliani e razzi palestinesi, sta sfociando nell’escalation militare. Proprio quando si ri-parla, stavolta seriamente, di riconciliazione tra Fatah e Hamas. Chi non la vuole?


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Fuoco su Gaza

E’ da ieri sera che i raid israeliani continuano a colpire senza sosta la Striscia di Gaza. A sud, al centro, al nord, di una stricia di quaranta chilometri per dieci. L’escalation militare fa seguito al lancio del missile anticarro sparato ieri pomeriggio da Gaza verso Israele. Colpito uno scuolabus, ferito gravemente un ragazzo, di 16 anni, praticamente in fin di vita: l’unico rimasto ancora sull’autobus che faceva il giro per riaccompagnare gli studenti a casa, lungo la frontiera con Gaza. Ferito leggermente anche l’autista. Sono state le brigate Ezzedin al Qassam, il braccio armato di Hamas, a rivendicare l’attacco, a sua volta in risposta del raid aereo in cui, sabato scorso, erano stati uccisi tre suoi membri, tra cui una ex guardia del corpo di Abdel Aziz al Rantisi.

Subito dopo l’attacco allo scuolabus, sono cominciati i raid israeliani, che non si sono fermati neanche dopo che Hamas ha dichiarato di aver concordato una tregua con le fazioni della Striscia, in vigore dalle 11 di ieri sera. Oggi, sono partiti da Gaza altri colpi di mortaio verso Israele.  Il bilancio delle vittime dei raid israeliani è parziale: almeno dieci morti, decine e decine di feriti, mentre anche le autorità di Tel Aviv avvertono che tra le vittime ci potrebbero essere dei civili. I civili, nella lista di morti e feriti, sembrano già essere molti….

Il rischio di una escalation è sempre più alto, dopo la tensione delle ultime settimane. Perché è da settimane che i fuochi sono ricominciati, a sud. Tra raid aerei israeliani e i lanci di razzi da Gaza. A pesare però, se non soprattutto, sono anche gli ultimi sviluppi politici. Anzitutto, la ripresa dei colloqui sulla riconciliazione tra Fatah e Hamas, ancora una volta al Cairo. Abu Mazen si è recato in Egitto, alcuni giorni dopo che una delegazione di alto livello della leadership di Hamas a Gaza (compreso Mahmoud az-Zahhar che, ricordiamolo, è di madre egiziana) era andato a incontrare Nabil el Arabi, Amr Moussa, addirittura (ed è un mistero come mai) la dirigenza del partito liberale del Wafd. Oggi è invece in calendario l’incontro tra Nabil Shaath e Khaled Meshaal, mentre anche i turchi sono di nuovo scesi in campo. Il regime di Hosni Mubarak ha sempre accuratamente evitato che la Turchia di Recep Tayyep Erdogan potesse avere un ruolo nel dossier della riconciliazione. Ora, Ankara prova nuovamente a entrare nella partita più importante per il futuro della politica palestinese, e cioè la condivisione del potere.

Contro la riconciliazione, però, sono tanti gli attori a giocare. Anzitutto Israele, che non ha mai fatto mistero di osteggiare quanti altri mai una Palestina unita dal punto di vista istituzionale e politico, con Fatah e Hamas insieme. E poi anche, e questa è la mia ipotesi, l’ala più radicale (e anche militare) di Hamas, che ha assunto un vero e proprio ruolo politico proprio quando, con atti eclatanti come il rapimento di Gilad Shalit, ha bloccato il processo di riconciliazione che era arrivato a un passo dall’accordo, nel 2006. Anche ora, che la riconciliazione sembra finalmente su binari seri, la fazione armata rientra in gioco. Se veramente riprendesse la guerra guerreggiata a Gaza, la riconciliazione subirebbe un nuovo stop, un nuovo rinvio, in attesa degli eventi.

A pesare sulla tensione, certo, c’è anche la parziale ritrattazione del Rapporto Onu sull’Operazione Piombo Fuso, fatta dal suo autore, Richard Goldstone, con un articolo sul Washington Post.

La foto, presa da Facebook, ritrae i manifestanti che da Tahrir si dirigono verso la vicinissima ambasciata americana al Cairo, per dimostrare contro i raid israeliani su Gaza. Oggi Tahrir era piena come ai tempi delle tre settimane di rivoluzione. Un segnale al Consiglio Militare Supremo. La rivoluzione c’è stata, e indietro non si torna, dicono gli egiziani.

Piccolo aggiornamento: Alle 18 e 30 ora del Cairo (e di Gerusalemme), il più liberal tra gli storici blogger egiziani, Mahmoud Salem alias Sandmonkey, mandava in rete questo tweep: “Dear Israeli government, not the best time to attack ghaza. There are now huge demos heading the way of ur cairo embassy. #jan25“. Tradotto: migliaia di persone, da piazza Tahrir, si sono mosse verso l’ambasciata israeliana a Giza, proprio vicino all’ingresso dello zoo e a poche centinaia di metri dall’università del Cairo. Chiedono che venga rimossa la bandiera israeliana. Le cose si muovono nella regione: i governanti dovranno – dentro e fuori questo pezzo di mondo – si dovranno rendere conto che sono gli stessi parametri a essere cambiati.

Fonte: http://invisiblearabs.com/

8 aprile 2011

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