F-35: generali, dietrofront!


Alberto Chiara - Famiglia Cristiana


Rifiutano museruole o censure preventive. I parlamentari e i settori della società civile da tempo critici verso le spese militari, a partire dall’acquisto di 90 cacciabombardieri F-35, reagiscono alla presa di posizione del Consiglio Supremo di Difesa.


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Cambiano aggettivi, sfumature e citazioni, ma la sostanza rimane la stessa. I parlamentari e i settori della società civile che da tempo hanno assunto posizioni critiche nei confronti delle spese militari, a partire dall’acquisto di 90 cacciabombardieri F-35 prodotti dalla Lockheed Martin, non accettano bavagli. E reagiscono con fermezza alla nota del Consiglio Supremo di Difesa che in buona sostanza rivendica come competenza esclusiva del Governo e dei vertici delle Forze armate la scelta di quali armi l’Italia debba comprare.

«Nel totale rispetto dell’autonomia e dell’indipendenza del Consiglio Superiore della Difesa, autorevolmente presieduto dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, faccio notare che le decisioni del Parlamento non rappresentano un diritto di veto, ma una scelta libera, consapevole ed indipendente alla quale, credo, tutti debbano attenersi», ha affermato Gero Grassi, vicepresidente del gruppo Pd alla Camera dei deputati. «La necessità dell’ammodernamento delle Forze Armate non può essere in contrasto con la Costituzione e le leggi dello Stato, né tanto meno, aggiungo, con i principi di buon senso che dovrebbero indurre tutti, vista la situazione economica del Paese, a riconsiderare l’enormità delle spese militari. Tutto questo non può ridursi “a decisioni operative”, né a “provvedimenti tecnici”», ha concluso l’esponente Pd.

«Le dichiarazioni del Consiglio Supremo di Difesa che asseriscono che il Parlamento non può mettere “veti” sulle decisioni relative ai sistemi d’arma sono gravi e inaccettabili», ha attaccato Giulio Marcon, deputato indipendente elletto nelle fila di Sel  «Si tratta», ha aggiunto, «di una reazione scomposta e rabbiosa contro la scelta della Camera di occuparsi del programma F-35 e di votare delle mozioni che ne chiedevano l’interruzione. Si tratta di di dichiarazioni intimidatorie e che vengono meno al rispetto verso le istituzioni democratiche e in particolare verso il parlamento che ha il potere di approvare leggi e atti di indirizzo politico come mozioni e risoluzioni. Tra l’altro è stata approvata alla fine del 2012 una legge, la 244, che – anche se in modo ambiguo e contraddittorio – dà al Parlamento la possibilità di esprimersi sugli stanziamenti e le autorizzazioni di investimenti in nuovi sistemi d’arma. Il Parlamento è sovrano e non è sotto tutela dei militari: non siamo in Egitto. Tra l’altro la Camera non ha deciso l’interruzione della partecipazione italiana al programma F-35 ma solo la sospensione di nuove acquisizioni di F-35 in attesa di una nuova decisione del Parlamento. Al Senato si voterà il prossimo 11 luglio una nuova mozione per la sospensione del programma F-35. Il Parlamento», ha terminato l’onorevole Giulio Marcon,  «ha la possibilità di far sentire nuovamente la propria voce e porre fine al programma dei cacciabombardieri F-35».

Dibattito e polemiche anche fuori Montecitorio. «Il Parlamento ribadisca la sua funzione e si opponga alla presa di posizione del Consiglio Supremo di Difesa, cioè che le Camere non hanno nessun diritto di veto o di decisione finale sui programmi di acquisto di armamento», ha puntualizzato la Rete Italiana per il Disarmo un network di oltre trenta organizzazioni che da diversi anni si batte per la costruzione nel nostro Paese di una politica di controllo delle spese militari. «Non si capisce – afferma Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Disarmo – come mai il Senato e la Camera possano definire il livello delle tasse per ciascun contribuente, abbiano il potere di decidere tagli alla Sanità e al sostegno per  anziani e disabili, possano definire le decisioni riguardanti le politiche del lavoro e per i giovani, ma non possano dire nulla di definitivo sull’acquisto di armamenti, in particolare sulla loro cancellazione».

«Il dovere che la Costituzione assegna ad ogni cittadino è quello della difesa della Patria: da nessuna parte c’è però scritto che questo debba essere fatto obbligatoriamente con l’acquisto di armi e con la continua salvaguardia (se non aumento) delle spese militari», dichiara ancora Rete Italiana per il Disarmo che chiede al Governo Letta di esplicitare con chiarezza quali siano le priorità delle sue politiche riguardo al complesso delle spese per il settore militare. Secondo la Rete Italiana per il Disarmo i cittadini e cittadine italiani vengono difesi più efficacemente con l’incremento ed il sostegno alle politiche di welfare, di sanità ed istruzione e non certo da cacciabombardieri, da fregate militari, o da qualsiasi altra arma.

Fonte: http://www.famigliacristiana.it
4 luglio 2013

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