Cosa fa l’Europa?


il Manifesto


Polonia-Bielorussia. Intervista l’anti-Orbán europeo, il ministro degli Esteri del Lussemburgo, Jean Asselborn: Ma sulla crisi di confine Bieorussia-Polonia la responsabilità è di Lukashenko, un gangster che non ha vergogna di arricchirsi con il traffico di esseri umani


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Crisi al confine tra Polonia e Bielorussia, emergenza umanitaria in Afghanistan, erosione dello stato di diritto. Si preannuncia un autunno caldo per l’Europa. Ne abbiamo parlato con l’anti-Orbán europeo, il ministro degli Esteri del Lussemburgo, Jean Asselborn.

Crisi tra Polonia e Bielorussia. Dove finiscono le responsabilità di Lukashenko e dove iniziano quelle dell’Europa?
Non bisogna confondere le responsabilità: la responsabilità è di Lukashenko, un gangster che non ha vergogna ad arricchirsi dal traffico di esseri umani che ha organizzato. Queste persone sono state sfruttate e ingannate da sedicenti agenzie di viaggio, ma le immagini che abbiamo visto, la miseria in cui sono costretti a vivere i bambini con le loro famiglie, sono insostenibili.

La Polonia ha anche approvato una legge per legalizzare i respingimenti.
È una legge contraria ai trattati e la Commissione deve reagire a tutto ciò che non è conforme ad essi. La stessa Convenzione sui rifugiati è un requisito per divenire membro dell’Ue. Per Orbán, Le Pen, Salvini è tutto semplice: se la Convenzione non piace più, la possiamo modificare. No, le regole delle dichiarazioni internazionali vanno rispettate.

Varsavia ha anche impedito l’accesso a giornalisti e ong nell’area prossima al confine.
Proibire l’accesso a giornalisti e ong equivale a proibire la trasparenza. La Polonia avrebbe fatto meglio ad accettare l’aiuto dell’Ue, avremmo evitato quelle immagini atroci, quelle recinzioni, quella dimostrazione di forza.

La cancelliera Angela Merkel, è stata criticata per aver telefonato a Lukashenko.
In una situazione in cui è necessario salvare delle vite umane, tutto è permesso, anche parlare a un dittatore.

Chi ha vinto?
L’Europa no, non ha vinto. L’umanesimo che dovremmo difendere non ha vinto. Ed è davvero triste vedere uomini e donne vittime di questa manipolazione. Vincono solo gli sciacalli che profittano da queste situazioni.

Che lezioni possiamo trarre?
In casi come questi, l’Ue deve reagire immediatamente. La settimana scorsa ho incontrato i miei colleghi di Emirati e Giordania e la prima cosa che mi hanno chiesto è stata perché l’Ue abbia aspettato quattro mesi prima di spiegar loro il problema. Poi dobbiamo evitare azioni unilaterali: se è vero, come sostiene il premier polacco, che è un problema dell’Europa, allora bisogna usare i mezzi a disposizione dell’Ue, cosa che non è stata fatta. Ma soprattutto bisogna risolvere il problema alla radice, lavorando a una legge europea sull’immigrazione.

Una missione impossibile…
Abbiamo sempre trovato un accordo, pensi alla crisi finanziaria o al Next Generation Eu, una cosa impensabile fino a poco tempo fa, ma sull’immigrazione non siamo riusciti ad agire come Unione. La Commissione ha fatto il suo lavoro, non perfetto forse, ma l’Ue non è a Bruxelles, è nella volontà degli Stati membri, soprattutto in questa materia. E negli ultimi anni le cose sono andate in direzione sbagliata: dalla crisi del 2015 la posizione di Orbán, allora minoritaria, è diventata quella di un gruppo significativo di Stati membri. E se continuiamo così, l’Europa resterà, sì, ma sarà solo un agglomerato di Stati che vivono uno accanto all’altro, senza condividere un’idea di Unione.

Vede margini di avanzamento?
Il nuovo governo tedesco sembra avere la volontà di andare avanti su questo dossier. La Francia avrà la presidenza del Consiglio Ue da gennaio, ma sarà alle prese con le elezioni. In questa fase molto dipenderà dall’Italia.

E l’impegno dell’Ue verso gli afghani in fuga dal Paese dopo il ritorno dei talebani al potere?
Questo è un tema che mi rende nervoso. Alla riunione informale dei ministri degli Esteri Ue ci sono stati dei colleghi che hanno rifiutato l’espressione ‘persons in need’ (persone in necessità, ndr), nella dichiarazione sull’Afghanistan. Un’espressione adottata dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu, senza l’opposizione di Cina e Russia, non è stata accettata da alcuni paesi dell’Ue. Non mi riconosco in questa Europa.

Cosa dovrebbe fare l’Ue?
C’è bisogno di una presenza europea a Kabul per dirigere gli aiuti umanitari e per far uscire le persone che non hanno alcuna possibilità di sopravvivere. La crisi umanitaria è atroce, non possiamo voltare le spalle né ai bambini malnutriti che rischiano la vita, né a chi si è esposto con coraggio per fare ciò che noi abbiamo chiesto loro di fare.

Ma sembra che l’Ue fatichi a garantire i diritti umani e la democrazia anche al proprio interno.
Sono ministro da 17 anni e mai avrei immaginato che in alcuni Stati membri la stampa e la giustizia non sarebbero state più indipendenti. A dicembre abbiamo approvato il meccanismo di condizionalità che lega l’erogazione dei fondi Ue al rispetto dello Stato di diritto e di nuovo, mai avrei immaginato che avremmo preservato l’Europa con i soldi, è una follia! Persino le decisioni della Corte europea di giustizia non vengono più rispettate e qui è in ballo la stessa costruzione dell’Ue: l’uniformità dell’applicazione del diritto europeo è la colonna vertebrale dell’Ue. Rotta quella, sarà la fine.

Alessandra Briganti

26 novembre 2021

Il Manifesto

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