Clima ultima chiamata!


La redazione


Cop26. Senza azioni decisive il pianeta per come l’abbiamo vissuto finora non esisterà più!


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glasgow

Con un anno di ritardo a causa della pandemia, il 31 ottobre è stata inaugurata a Glasgow, in Scozia, la ventiseiesima Conferenza internazionale sul clima (COP26) delle Nazioni Unite. La Conferenza si concluderà il 12 novembre (ma non è esclusa un’estensione di un paio di giorni per raggiungere un accordo globale su un testo definitivo, come accaduto anche all’ultima conferenza di Madrid nel 2019) e vedrà la partecipazione di oltre 120 leader mondiali, ministri dell’Ambiente e negoziatori sul clima.

Dal 1992, infatti, secondo la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) del 1992, ogni paese della Terra è vincolato da un trattato a “evitare pericolosi cambiamenti climatici” e a trovare modi per ridurre le emissioni di gas serra a livello globale in modo equo.

Da allora ci sono state 25 conferenze mondiali sul clima, molte delle quali interlocutorie, con occasionali momenti storici (l’accordo di Parigi nel 2015) e altri fallimentari (Copenaghen nel 2009).

Un articolo del Guardian spiega perché le decisioni che saranno prese durante questa Conferenza potrebbero decidere le sorti della lotta globale per limitare il riscaldamento globale e i suoi effetti sul pianeta.

I paesi di tutto il mondo si stanno incontrando, infatti, in una serie parallela di colloqui su come arginare la perdita di biodiversità, ripristinare gli ecosistemi naturali e proteggere gli oceani. Questi colloqui avrebbero dovuto essere ospitati dal governo cinese a Kunming lo scorso ottobre, ma sono stati rinviati ad aprile 2022.

In questo round-up cerchiamo di capire cosa aspettarci dalla COP26.

Perché COP26 è così importante? Non era già stato risolto tutto con l’accordo di Parigi nel 2015?

L’accordo di Parigi del 2015 è stato definito storico perché sottoscritto da 195 paesi che si sono impegnate mantenere l’aumento della temperatura globale entro gli 1,5° C e “ben al di sotto” di 2° C rispetto ai livelli preindustriali. Per raggiungere questi obiettivi, giuridicamente vincolanti e sanciti dal trattato, i paesi firmatari hanno concordato obiettivi nazionali non vincolanti – noti come contributi determinati a livello nazionale, o NDC – per ridurre o, nel caso dei paesi in via di sviluppo, frenare la crescita delle emissioni di gas serra entro il 2030. A Parigi gli Stati si sono accordati per fare il punto ogni cinque anni e adottare nuovi impegni nazionali. Ogni paese avrebbe dovuto rivedere gli NDC entro dicembre 2020, ma la pandemia ha costretto a rinviare tutto di un anno. Secondo un rapporto dell’ONU, le emissioni devono essere ridotte del 45% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2010 e da lì a zero emissioni nette entro il 2050 per avere buone possibilità di limitare il riscaldamento globale.

Questa conferenza è importante anche per altre tre questioni: finanza climatica, graduale eliminazione del carbone e soluzioni basate sulla natura.

I finanziamenti per il clima sono i soldi ai paesi più poveri per aiutarli a ridurre le emissioni e far fronte agli impatti delle condizioni meteorologiche estreme. Durante la COP di Copenhagen, era stato stabilito un finanziamento di 100 miliardi di dollari entro il 2020, ma un rapporto dell’OCSE dello scorso settembre ha mostrato che sono stati dati circa 20 miliardi di dollari in meno. I paesi in via di sviluppo vogliono rassicurazioni sul fatto che i soldi arriveranno il prima possibile e puntano a un nuovo accordo finanziario che amplierà notevolmente i fondi disponibili oltre il 2025.

L’eliminazione graduale del carbone è essenziale per rimanere entro 1,5° C. I paesi si sono mossi in questa direzione: la Cina, il più grande consumatore di carbone del mondo, smetterà di finanziare nuove centrali elettriche a carbone all’estero, per esempio. Ma molto resta ancora da fare considerato che Cina, India, Indonesia, Messico, Australia e molti altri paesi sono ancora i principali produttori e consumatori di carbone.

Le soluzioni basate sulla natura sono progetti come la conservazione e il ripristino di foreste, torbiere, zone umide e altri serbatoi naturali di carbonio esistenti e la coltivazione di più alberi.

Infine, durante la COP26 dovranno rivedere il sistema di scambio delle quote di carbonio, introdotto nel 1997 a Kyoto. Funziona così: una tonnellata di anidride carbonica ha lo stesso impatto sull’atmosfera ovunque venga emessa, quindi se è più economico tagliare una tonnellata di anidride carbonica in India che in Italia, il governo o le aziende italiane possono pagare progetti volti alla riduzione delle emissioni – realizzazione di pannelli solari o di un parco eolico – in India e acquisirebbe “crediti di carbonio” da conteggiare nei propri obiettivi di riduzione delle emissioni. In questo modo, i paesi poveri ottengono l’accesso ai finanziamenti tanto necessari per gli sforzi di riduzione delle emissioni e i paesi ricchi devono affrontare un onere economico inferiore nel taglio del carbonio.

Tuttavia, in alcuni casi questo sistema è stato aggirato ed è in ogni caso inadeguato considerato che tutti i paesi sono chiamati a ridurre le emissioni e anche velocemente. È stato questo uno dei nodi irrisolti dell’ultima Conferenza di Madrid.

A che punto siamo?

Gli attuali NDC, presentati recentemente da oltre 100 paesi, sono insufficienti. Secondo quanto riferito da un recente rapporto dell’ONU si tradurrebbero in un aumento del 16% delle emissioni, lontano dal taglio del 45% necessario. In molti guardano agli obiettivi indicati dalla Cina, il paese che produce più emissioni al mondo. La Cina punta a raggiungere il picco delle emissioni entro il 2030 e a raggiungere le emissioni nette zero entro il 2060, riducendo la quantità di carbonio prodotto per unità di PIL del 65%. Gli NDC presentati pochi giorni prima dell’inizio della COP26 non si discostano molto da questi obiettivi annunciati già lo scorso anno e per questo gli analisti sono rimasti delusi. Secondo uno studio di Climate Action Tracker l’NDC cinese si tradurrebbero in una traiettoria che porta a un aumento delle temperature di 2,4° C. Il presidente Xi Jinping non parteciperà alla Conferenza di Glasgow ma questo non implica un fallimento dei negoziati.

“Dobbiamo essere più ambiziosi”, ha dichiarato il vice presidente della Commissione Europea, Frans Timmermans, capo-negoziatore dell’Unione Europea alla COP26. “I leader mondiali si sono lanciati in dichiarazioni audaci negli ultimi due mesi. Vediamo cosa succede. Sono gli impegni che contano, più che la presenza di questo o quel leader”.

Secondo un rapporto presentato dal Nazioni Unite il 26 ottobre, se gli Stati impegnati nella lotta contro la crisi climatica non cambieranno rotta, il pianeta vedrà un aumento delle temperature di almeno 2,7 °C.

Il pianeta segna l’allarme rosso, ma le leadership mondiali sono spente, ha affermato il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, commentando il rapporto che analizza il divario tra le intenzioni dei paesi e le azioni necessarie contro il riscaldamento globale. Molti degli impegni verso la neutralità carbonica sono risultati vaghi e, a meno di un taglio rigoroso alle emissioni nei prossimi dieci anni, gli Stati ci stanno conducendo dritti verso una potenziale catastrofe climatica.

“I paesi stanno sprecando un’enorme opportunità di investire le risorse fiscali e i finanziamenti post-COVID in modi sostenibili, economici e per il pianeta. Questo rapporto è un altro tonante campanello d’allarme. Di quanti altri ne abbiamo bisogno?”, ha aggiunto Guterres.

“Il cambiamento climatico non è più un problema futuro. È ora. Per avere una possibilità di limitare il riscaldamento globale entro 1,5°C, abbiamo otto anni per dimezzare quasi le emissioni di gas serra: otto anni per fare i piani, mettere in atto le politiche, implementarle e infine realizzare i tagli. Il tempo scorre e il ticchettio dell’orologio è forte”, ha commentato Inger Andersen, direttore esecutivo del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep), che ha realizzato il rapporto.

Cosa fare per raggiungere le emissioni zero nette?

Per limitare l’aumento delle temperature entro 1,5°C, dobbiamo smettere di emettere anidride carbonica e altri gas serra – dalla combustione di combustibili fossili, dall’agricoltura e dalla zootecnia, dall’abbattimento degli alberi e da alcuni processi industriali – quasi completamente entro la metà del secolo. Eventuali emissioni residue entro il 2050 devono essere compensate aumentando foreste, torbiere e zone umide, che fungono da vasti depositi di carbonio. Questo saldo è noto come zero netto.

Tuttavia, accanto a questi obiettivi a lungo termine, vanno presi impegni a breve termine, altrimenti si corre il rischio di continuare a rilasciare emissioni e far sì che la scadenza del 2050 sia insufficiente. Per questo motivo climatologi e politici spingono affinché si raggiunga il prima possibile il picco delle emissioni per poi ridurle rapidamente.

Perché la soglia di 1,5°C è così importante?

Come riportato in uno studio dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) del 2018, l’aumento delle temperature di 1,5°C comporterebbe l’innalzamento del livello del livello del mare, il danneggiamento delle barriere coralline e un aumento di ondate di calore, siccità, inondazioni, tempeste più violente e altri eventi estremi.

Ad agosto 2021, l’IPCC ha presentato un nuovo rapporto in cui ha detto che c’è ancora una possibilità per il mondo per rimanere entro la soglia di 1,5°C, ma il raggiungimento di questo obiettivo richiede sforzi concertati.

Attualmente le temperature globali sono di oltre 1°C al di sopra dei livelli preindustriali e le emissioni di gas serra sono ancora in aumento. Per rimanere entro 1,5°C, le emissioni globali devono diminuire di circa il 7% all’anno in questo decennio.

Cosa succede se COP26 fallisce?

Nazioni Unite, Regno Unito, Stati Uniti hanno già ammesso che probabilmente la COP26 non raggiungerà tutto quello che si sperava all’inizio. Come spiega Alok Sharma, il ministro del governo britannico responsabile dei colloqui ospitati nel Regno Unito, raggiungere un accordo globale sul clima a Glasgow sarà molto più complicato rispetto a Parigi nel 2015. “Quello che stiamo cercando di fare qui a Glasgow è in realtà davvero difficile”, ha detto. “È stato fantastico quello che hanno fatto a Parigi, è stato un accordo quadro, [ma] molte regole dettagliate sono rimaste per il futuro. È come se fossimo arrivati alla fine del compito in classe e ci siamo lasciati le domande più difficili alla fine, quando il tempo sta per scadere. L’esame finisce tra mezz’ora e tu ti chiedi: ‘Come risponderemo a queste domande’”, spiega Sharma.

L’obiettivo più realistico è garantire che ci siano progressi sufficienti sui tagli alle emissioni per il 2030 per far sì che l’obiettivo dell’1,5° C resti concreto. Una delle questioni chiave è garantire che i colloqui stessi si svolgano senza intoppi in modo tale da lasciare una speranza per i passi da fare dal 12 novembre in poi.

“Nessuno alla fine di questo processo vorrà avere il dito puntato contro per dire: ‘Voi, paese A, B, C o D, siete quelli che alla fine avete fatto in modo che a Glasgow non si raggiungesse un risultato credibile’”, aggiunge Sharma che, pensando a lungo termine, dice di non avere dubbi sul raggiungimento della neutralità carbonica: “Se qualcuno mi chiedesse: ‘Pensi che ci sarà mai un giorno in cui avremo un’economia globale netta pari a zero?’, la mia risposta è ‘Sì, sono abbastanza sicuro che lo faremo’. Il problema è… saremo abbastanza veloci da affrontare le sfide che abbiamo di fronte in questo momento?”

Greta Thunberg: “Non ci sono ancora veri leader del clima. Chi si farà avanti alla COP26?”

La scienza ci mostra gli scenari che ci si presenteranno davanti nei prossimi anni a seconda delle strade che i governi intraprenderanno ma in assenza di azioni decise e decisive il pianeta per come l’abbiamo vissuto finora non esisterà più, scrive l’attivista svedese Greta Thunberg sul Guardian.

Ci rifiutiamo di riconoscere che siamo davanti a una scelta tra salvare il pianeta o salvare il nostro insostenibile modo di vivere, spiega Thunberg. Perché vogliamo entrambi. L’ultimo rapporto dell’IPCC ha lasciato ancora un margine di speranza, ma se vogliamo coltivare questa speranza, abbiamo bisogno di onestà, solidarietà, coraggio e leadership.

Ma la verità, osserva Thunberg, “è che non ci sono leader del clima. Non ancora. Almeno non tra le nazioni ad alto reddito. Il livello di consapevolezza pubblica e la pressione senza precedenti da parte dei media che sarebbero necessarie per far apparire una vera leadership è ancora sostanzialmente inesistente.

La scienza non mente, né ci dice cosa fare. Ci prefigura uno scenario di ciò che deve essere fatto. Siamo ovviamente liberi di ignorare quello scenario e rimanere nella negazione. O continuare a nasconderci dietro abili conti, scappatoie e statistiche incomplete. Come se l’atmosfera si preoccupasse delle nostre strutture. Come se potessimo discutere con le leggi della fisica. […]

L’emergenza climatica ed ecologica è, ovviamente, solo un sintomo di una crisi di sostenibilità molto più ampia. Una crisi sociale. Una crisi di disuguaglianza che risale al colonialismo e oltre. Una crisi basata sull’idea che alcune persone valgono più di altre e, quindi, hanno il diritto di sfruttare e rubare la terra e le risorse di altre persone. È tutto interconnesso. È una crisi di sostenibilità che tutti trarrebbero vantaggio dall’affrontare. Ma è ingenuo pensare di poter risolvere questa crisi senza affrontarne le radici.

Le cose possono sembrare molto oscure e senza speranza e, dato il torrente di rapporti e incidenti crescenti, la sensazione di disperazione è più che comprensibile. Ma dobbiamo ricordare a noi stessi che possiamo ancora ribaltare la situazione. È del tutto possibile se siamo pronti a cambiare.

La speranza è tutta intorno a noi. Perché tutto ciò di cui abbiamo davvero bisogno è un leader mondiale (o una nazione ad alto reddito o una grande stazione televisiva o una testata giornalistica leader) che decide di essere onesto, per trattare veramente la crisi climatica per quella che è. Un leader che tiene conto di tutti i dati e poi intraprende azioni coraggiose per ridurre le emissioni al ritmo e accogliere le richieste della scienza. Allora tutto potrebbe essere messo in moto verso l’azione, la speranza, gli obiettivi e il significato.

Intanto il tempo continua a scorrere. I vertici continuano a susseguirsi. Le emissioni continuano a crescere. Chi sarà quel leader?”

I pellegrini della COP26, arrivati a Glasgow dopo aver percorso oltre 500 chilometri a piedi

Decine e decine di pellegrini del gruppo religioso femminile “Camino to COP26” hanno percorso oltre 500 chilometri in quasi due mesi per raggiungere Glasgow da Londra a piedi. Il loro è solo uno dei tanti pellegrinaggi verso Glasgow, dove sono attese circa 250 persone provenienti dalla Polonia e dalla Germania e dalla Svezia. Extinction Rebellion Scotland ha affermato che il loro arrivo segnerà la “cerimonia di apertura” delle proteste nonviolente pianificate nella città scozzese e in tutto il mondo durante i colloqui sul clima delle Nazioni Unite. Gli abitanti dei centri attraversati dal gruppo di camminanti hanno applaudito i pellegrini mentre passavano: “Siamo stati ringraziati dagli operai edili, dalle persone ai cancelli delle scuole. Abbiamo dato risonanza alle tematiche climatiche”, hanno dichiarato al Guardian alcuni pellegrini.

Lunedì 1 novembre

www.valigiablu.it

 

 

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