Betlemme, anno nuovo colonie israeliane nuove


Michele Giorgio - Near Neast News Agency


Parla di sviluppo e sogna aiuti internazionali il sindaco di Betlemme Vera Baboun ma il 2013 porterà proprio davanti alla sua città l’espansione delle colonie israeliane.


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Guarda al futuro con ottimismo il sindaco di Betlemme, Vera Baboun, eletta qualche settimana fa grazie ai voti di Fatah e, soprattutto, all’assenza dalle amministrative del movimento islamico Hamas. «Dopo sette anni di boicottaggio internazionale, la sfida per Betlemme è di riuscire a riottenere gli aiuti necessari per rilanciare la città, la sua infrastruttura turistica e l’area industriale», ha dichiarato il sindaco rispondendo alle domande di giornalisti stranieri.

A contribuire a tanto ottimismo c’è anche il Natale che, stando ai dati della Camera di Commercio locale, avrebbe portato nella città della Natività 10-15 mila turisti il 24 e 25 dicembre. Baboun sembra addossare agli islamisti, che controllavano la passata amministrazione, la responsabilità della crisi economica della città e del calo delle donazioni internazionali. Una spiegazione quantomeno ingenerosa nei confronti di chi che l’ha preceduta alla guida della città. Anche le pietre a Betlemme sanno che la città non potrà sfruttare le sue potenzialità finché esisterà il Muro israeliano che la circonda, non terminerà l’occupazione militare e la città potrà ricevere liberamente, senza limitazioni, il flusso di turisti e pellegrini.

Tra qualche tempo il sindaco di Betlemme e delle altre località palestinesi circostanti, in particolare Beit Jala e Beit Sahour, vedranno davanti a loro colonie israeliane ancora più grandi. Dopo la rappresaglia annunciata dal governo Netanyahu in risposta all’ingresso (29 novembre) della Palestina come Stato osservatore nell’Onu che prevede la costruzione di migliaia di case per coloni nel corridoio E1 ad est di Gerusalemme, il premier israeliano ha dato il via ad una colata di cemento ovunque, in particolare a ridosso di Betlemme e dei centri vicini. Dopo aver fatto gli auguri ai cristiani palestinesi per il Natale – ai quali ora vuole strappare terreni (proprietà sia di 58 famiglie e delle Chiese) nella valle tra gli insediamenti colonici di Gilo e Har Gilo – Netanyahu ha dato il via libera alla costruzione di 1200 nuove case, sempre a Gilo. In quella stessa zona si espanderà anche Givat Hamatos. Un progetto di colonizzazione addolcito dal proposito di costruire case anche per i palestinesi a Beit Safafa.

Il premier è stato chiaro nel ribadire qualche giorno fa che le (timide) critiche dei governi europei non lo spaventano e che Israele continuerà a costruire a Gerusalemme e nelle colonie in Cisgiordania, senza freni. Un’intenzione frutto anche della campagna elettorale (in Israele si voterà per le legislative il 22 gennaio) poichè il suo partito, il Likud e l’alleato Yisrael Beitenu, si stanno posizionando ancora più a destra per rispondere ai colpi che subiscono da Naftali Bennett, leader carimastico della lista religiosa ultranazionalista «Bayit Yehudi» (Focolare ebraico) capace in questi ultimi giorni di raggiungere (almeno nei sondaggi) il ruolo di terza forza politica del paese proclamando che lotterà senza sosta contro la nascita di uno Stato palestinese e l’evacuazione anche solo di una colonia.

Temi cari a gran parte dell’opizione pubblica israeliana che – secondo un recente rilevamento svolto dall’istituto Maagar Mohot per conto del giornale Maariv – per un 66% respinge l’idea dello Stato di Palestina anche se smilitarizzato e per un 51% guarda con favore alla costruzione di nuove colonie ebraiche nei Territori occupati. Netanyahu ha reso ancora più roventi i toni di una campagna elettorale che vede (come sempre in passato) una attenzione eccezionale sui temi della sicurezza e della questione palestinese e scarso interesse per i problemi economici e sociali del paese.

Il premier due giorni fa, chiedendo di votare la lista unita Likud-Yisrael Beitenu, ha ribadito che al primo posto del programma del prossimo governo – che formerà ancora lui, sondaggi alla mano – ci sarà l’impegno di fermare i piani nucleari dell’Iran e di rafforzare il controllo israeliano su Gerusalemme e intorno alla Città Santa. I suoi alleati di governo, attuali e futuri, lo spingono inoltre a non tenere conto delle pressioni dell’Unione europea che, stando ad indiscrezioni, vorrebbe un accordo israelo-palestinese entro il 2013.

Toni da battaglia, come quella in corso, che si scontrano con quelli soft usati dal presidente palestinese Mahmud Abbas (Abu Mazen) che crede (non si capisce perchè) ancora in un avvio di trattative serie con questa maggioranza (e quella futura) in Israele. «Facciamo appello – ha detto due giorni fa – affinchè il 2013 sia un anno di pace e di speranza per questa Regione e per il mondo…Noi vogliamo invece tornare ai negoziati, sulla base della legittimità internazionale». Yigal Palmor, portavoce del ministro degli esteri israeliano, gli ha ricordato chi decide tempi e luoghi di tutto ciò che si muove nella regione. Palmor, solo per fare un esempio, ha detto ieri che il segretario della Lega Araba, Nabil Arabi, a Ramallah il 29 dicembre arriverà in elicottero direttamente da Amman solo se Israele darà il permesso di sorvolo (nello spazio aereo palestinese), altrimenti dovrà passare come tutti per il ponte di Allenby.

Fonte: http://nena-news.globalist.it
27 Dicembre 2012

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