Aspettando la mediazione di Annan


Enzo Nucci


Arriva a Nairobi, martedì 22 gennaio, Kofi Annan che guiderà una delegazione di "eminenti personalità" africane impegnate nella diffcile opera di mediazione tra il leader dell’opposizione Raila Odinga ed il presidente Mwai Kibaki.


CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+
Aspettando la mediazione di Annan

E' una settimana decisiva per il kenya. Domani, martedì, arriva a Nairobi Kofi Annan che guiderà una delegazione di "eminenti personalità" africane impegnate nella diffcile opera di mediazione tra il leader dell'opposizione Raila Odinga ed il presidente Mwai Kibaki. L'ex segretario generale dell'Onu dovrà dirimere una questione  che in tre settimane ha già causato piu' di mille morti e 250 mila sfollati: le contestate elezioni del 27 dicembre scorso che hanno riconfermato Kibaki alla presidenza della repubblica per altri cinque anni. Una vittoria conseguita con i brogli elettorali, come hanno confermato gli osservatori dell' Unione Europea ed il ministero degli esteri britannico. Annan non può fallire: non può consentirsi un nulla di fatto come è già avvenuto per la diplomazia statunitense, inglese, dell'Unione Europea, e quella "parallela" del premio Nobel della Pace monsignor Desmon Tutu. Le premesse non sono delle migliori.  Annan ha già dovuto rimandare una visita la settimana scorsa accampando una malattia "diplomatica" dopo le dichiarazioni di un portavoce di Kibaki che, riconfermando la necessità di trovare una soluzione in loco senza ricorrere a mediatori internazionali, affermava che il presidente sarebbe stato ben contento di invitare Annan a prendere "un tè insieme", depotenziando di fatto il senso della missione. Qualche analista lega le sorti del Kenya alle vicende elettorali statunitensi: una eventuale vittoria di Hillary Clinton alla Casa Bianca cambierebbe la politica estera statunitense spostando l'asse dell'interesse dal medio oriente all'Africa, piu' di un ipotetico successo di Obama, che è anche di padre kenyano. Ma novembre è lontano, troppo lontano. Il Kenya nello scacchiere internazionale è sempre stato – pur tra mille traversie e difficoltà – saldamente schierato con l'occidente. Un caposaldo, la vetrina privilegiata del capitalismo africano, sostenuta da Stati Uniti e Inghilterra, da contrapporre -durante gli anni della guerra fredda – agli altri paesi africani dove Usa e Urss si combattevano indirettamente attraverso i vari gruppi di liberazione. Finita la guerra fredda, il Kenya resta un alleato del mondo occidentale nella lotta al terrorismo jahaidista che si diffonde invece nei paesi limitrofi. E' l'unico paese stabile in un'area dove le guerre o i rischi di conflitti sono altissimi: Corno d'Africa (Somalia in guerra civile da 17 anni, Etiopia ed Eritrea in conflitto storico), Sudan in continua ebollizione (e non soltanto Darfur), Uganda dove il cammino di pace deve ancora consolidarsi. La crisi che sta paralizzando il Kenya si riflette anche sull' Uganda, a corto di carburanti e rifornimenti per il blocco del porto di Mombasa. Le prospettive economiche sono disastrose: per marzo si prevede il licenziamento 120 mila impiegati nel settore turistico, una delle voci di maggiori entrate, un numero enorme su una popolazione complessiva di 36 milioni di abitanti. Ma e' ferma anche l'industria, l'agricoltura e la floricoltura. Il paese e' già in ginocchio e risollevarsi sarà difficile: il ricordo degli anni bui seguiti all'attacco terroristico del 1998 all'ambasciata staunitense a Nairobi (che provocò più di 200 morti) è ancora vivo. Gli scontri di questi giorni, causati da rivendicazioni politiche, rischiano però di tracimare in conflitti etnici. Troppi gruppi stanno approfittando di questi giorni di incertezza per regolare antichi conti lasciati in sospeso, anche di carattere malavitoso. Nella Rift Valley (cuore dell'umanità dove furono ritrovati i resti di Lucy, l'esemplare umano più antico) e' ripreso l'antica a mai sopita guerra tra Masai e Kikuyu, gruppi etnici in guerra da sempre per il controllo dei pascoli e dell'acqua. La povertà e la sopravvivenza sono all'origine di guerre che troppo spesso la stampa internazionale banalizza come razziali. Bisogna che la comunità internazionale si impegni per una soluzione di uno scontro che rischia di destabilizzare un'area ma anche di mettere fortemente in discussione la presenza a Nairobi delle Nazioni Unite, che proprio qui ha una delle piu' importanti sedi al mondo. Un eventuale fallimento delle mediazioni, oltre a portare il paese sul baratro di una guerra civile, rischierebbe di riportare indietro l'orologio della storia condannando ancora una volta l'Africa all'isolamento politico ed economico.

Fonte: Articolo21

21 gennaio 2008 

CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+

Lascia un commento