A cosa servono trentamila soldati in più?


Emanuele Giordana - Lettera22


Riflessioni di Emanuele Giordana sulla strategia di Obama e sulla decisione di inviare nuove truppe nel teatro afgano.


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A cosa servono trentamila soldati in più?

Visto da Kabul, l'atteso pronunciamento di Obama sull'invio di nuove truppe nel teatro afgano dev'essere sembrato soprattutto un esercizio matematico. Non tanto alla comunità dei diplomatici internazionali, degli ufficiali della Nato o dei funzionari del governo Karzai, quanto per il popolino della capitale o delle centinaia di villaggi sperduti dove è tanto se arrivano le onde corte della radio. Già edotti sulla nuova strategia statunitense, sia dalle indiscrezioni diplomatiche, sia dalle numerose anticipazioni uscite sulla stampa americana e non, i primi già sapevano. Gli ultimi invece non devono aver capito cosa esattamente ci fosse dietro questa “melina” durata tre mesi che aveva come oggetto le cifre del nuovo surge militare: 30mila soldati, come alla fine Barack Obama ha deciso, 40mila come il generale McChrystal aveva consigliato e chiesto, 20mila se non meno come sembrava che il presidente e alcuni suoi consiglieri avrebbero preferito. L'espressione del suo viso – quella si giunta via televisione nelle case dei molti che dal 2001 l'hanno comperata e che oggi offre mille canali – appariva contratta, come se nemmeno lui fosse tanto convinto di una scelta che lancia un indubbio segnale: ossia soprattutto e ancora opzione militare. Pur se con una scadenza.

Ma qui a Kabul, in questa città sospesa sulla guerra, l'aumento dei soldati stranieri non è un argomento di grande appeal. Anche chi non vuole che la Nato faccia le valige – e i sondaggi dicono che si tratta ancora della maggioranza, benché sempre più risicata, degli afgani – non sa che farsene di più truppe. A cosa servono, si chiedono, nuovi soldati? E quanto costeranno? (30 miliardi l'anno, a quanto pare).

“Questi – mi dice un cittadino mentre facciamo a piedi una lunga arteria della capitale afgana – pensano solo alla loro sicurezza”, e indica le camionette verdi a pick up di cui è dotata da due anni la polizia nazionale. A parte lo scontato apprezzamento di Karzai e dei suoi ministri ancora in carica, un parlamentare uscito sconfitto dalle elezioni presidenziali – Ramazan Bashardost qualificatosi al terzo posto – si fa la domanda retorica: “A cosa servono più truppe, più militari? A nulla. I soldati americani sono i benvenuti ma non quando uccidono afgani innocenti”. Anziché aumentarne il numero, sembra intendere l'uomo che rappresentava forse l'unica vera alternativa a Karzai (ha preso il 10% del voto e senza brogli) sarebbe meglio ragionare con più attenzione – come del resto lo stesso generale McChrystal sostiene – sulla sicurezza degli afgani. Degli afgani appunto, non la nostra.

Ma se la notizia dell'aumento dei soldati era nell'aria, ce n'è un'altra che gira sotto traccia a Kabul. Nulla di ufficiale ma pare che la vecchia strategia del generale David Petraeus, l'ex comandante e in capo della forze armate americane in Iraq e poi passato a guidare il Comando centrale (Centcom) negli Stati Uniti, stia per risorgere. Ma questa volta il piano di armare le milizie tribali -un esperimento già tentato e poi abbandonato nel gennaio scorso nell'area di Wardak a pochi chilometri dalla capitale – non sarebbe una sola idea americana: ci sarebbe la Nato a preparare, in collaborazione col ministero dell'Interno, questa nuova riedizione di un esercito tribale filogovernativo e dal governo e dall'Alleanza sostenuto e finanziato. Sarebbe il quarto dopo quello della Nato, l'esercito nazionale e l'immensa e difficilmente quantificabile macchina da guerra dei contractor, le milizie private sorte come funghi, con capitali nazionali e afgani e che conta almeno 30mila uomini. Ma che, dicono le indiscrezioni, potrebbero a salire a 70mila soprattutto per proteggere caserme e logistica degli americani a cui i talebani, poche ore dopo il discorso di Obama, hanno promesso nuovi e crescenti attacchi. Ai contractor, sembra di capire, sarebbe affidato il compito di coprire il ritiro, tra 18mesi, dei primi reparti americani. Un rientro da completare prima che Obama si ripresenti nuovamente, nel 2012, ai suoi un po' più scettici elettori.
Ma tornando al discorso del presidente, anche un altro fatto va notato.

Aver puntato tutto sull'opzione militare può servire a due cose: accompagnare una strategia negoziale mostrando il pugno duro e cercando di negoziare da una posizione di forza. Oppure che il presidente pensa davvero che 40mila soldati in più potranno sconfiggere i talebani “cattivi” consentendo ai “buoni” di lasciare la lotta armata reintegrandosi nei ranghi della società civile. Ma non è chiaro qual è o quale sarà il legame tra questa scelta del presidente americano e il pronunciamento, appena una settimana fa, di Hamid Karzi, il giorno del suo insediamento. Al primo posto c'era proprio una mano tesa al negoziato con la guerriglia. Una strada che, nel discorso di Obama, non è stata neppure vagamente indicata.

Fonte: Lettera22 e Blog di Emanuele Giordana

3 dicembre 2009

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