Veltroni scrive alla Tavola della pace


Walter Veltroni


Pubblichiamo la lettera che Walter Veltroni ha inviato oggi sabato 1 marzo 2008 ai coordinatori nazionali della Tavola della pace.


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Veltroni scrive alla Tavola della pace

Cara Grazia, Caro Flavio,

in questi anni la Tavola della Pace ha saputo trovare nelle contraddizioni e nelle pieghe della società il bisogno senza voce di giustizia e diritti ed ha suggerito il confronto per rispondere al conflitto, il dialogo per superare lo scontro.
Per tutto questo a voi e alla Tavola della Pace rivolgo la mia stima e la mia gratitudine per il lavoro che portate avanti, come ebbi a dirvi nel nostro incontro in Campidoglio lo scorso settembre.

Accolgo la sollecitazione che viene dalla vostra lettera, che ieri avete discusso nel vostro seminario con Lapo Pistelli, e condivido l'appello ad un rinnovato impegno della politica per la pace. L'urto cieco delle opinioni non trova altro modo per esprimersi se non la violenza. Ecco perchè la "comunità aperta" che sognava Aldo Capitini non è soltanto possibile, ma è urgente.

Io credo che il nodo cruciale del nostro secolo sia lo scontro non tra civiltà, ma tra tolleranza e fanatismo. E questo è vero per le grandi tensioni che attraversano il mondo come anche per le vicende gridate del nostro Paese: spesso la distanza incolmabile non è tanto tra chi è portatore di questa o quella identità, ma tra chi sceglie di stare in trincea e chi discute, tra chi ha messo l'elmetto e chi cerca sintesi virtuose. Amos Oz scrive che il compromesso è considerato da alcuni come una mancanza di dirittura morale, ma che nel suo mondo – quella parte di mondo segnata da troppe cicatrici aperte che anche in queste ore continuano a sanguinare – la parola compromesso è sinonimo di vita. L'impegno per la pace se non vuole restare enunciazione parte da queste considerazioni. E così è per l'impegno che la politica deve prendere nei confronti delle donne e degli uomini che aspirano a vivere serenamente.

Avete fatto bene in questi anni a richiamare più volte al realismo, avete fato bene a pretendere più della retorica e chiedere una politica che abbia forza. Ma per dimostrare di essere forte la politica deve ritrovare la propria credibilità. E sono convinto che per essere credibile la politica deve farsi carico di responsabilità che non restino eluse. Non è una posizione di comodo: il ritiro dei nostri militari dall'Iraq, la battaglia per la moratoria della pena di morte e l'impegno di pace in Medio Oriente sono ad esempio tra le responsabilità che il centrosinistra al governo ha scelto di assumersi e che oggi noi rivendichiamo con orgoglio.

Abbiamo dimostrato di credere che l'impegno per la pace si dimostra con il coraggio delle proprie scelte, incontrando accordi e disaccordi. Ma nuovi fronti si aprono ogni giorno, dal Darfur al Kenya, dalla Somalia ai Balcani, e la politica non può e non deve restare cieca e sorda. Vedete, anche in questa campagna elettorale che mi porta in giro per il Paese ad incontrare le straordinarie risorse e gli entusiasmi sinceri dell'Italia, non stiamo eludendo questi temi. E vedo una comunità che non vuole restarsene chiusa in se stessa, ma che si interessa, che si vuole occupare della società e del mondo in cui vive.

La politica deve parlare a questa comunità con chiarezza, deve ascoltare e poi deve saper offire risposte ma anche partecipazione. Non possiamo sottrarci: fin dalla sua nascita il Partito Democratico si è proposto come offerta di partecipazione ed oggi con il contributo di tutte e tutti è pronto a dare risposte efficaci a chi pone una domanda di futuro per sè e per gli altri.

Il movimento per la pace deve continuare a far sentire la propria voce. Deve continuare a marciare da Perugia ad Assisi e anche noi lo faremo come abbiamo fatto in questi anni. Verso chi ci pone domande sulla pace e la giustizia, verso chi chiede risorse per i diritti umani e la lotta alla povertà, l'impegno del Partito Democratico comincia camminando insieme fino ad Assisi e proseguirà nella pratica politica, nella volontà sincera di superare l'abitudine al litigio della politica italiana per affrontare con serietà le questioni reali che interessano davvero la nostra società.

Con affetto
Walter Veltroni

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