Sri Lanka: Colombo canta vittoria


Junko Terao


Festeggiamenti per le strade di Colombo: dopo 26 anni di guerra civile le Tigri Tamil sono state annientate insieme al loro leader Prabhakaran. Un successo pagato a caro prezzo dai civili Tamil. Adesso al nord è emergenza umanitaria. L’Ue chiede un’inchiesta sulle due parti per crimini contro i diritti umani.


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Sri Lanka: Colombo canta vittoria

Si è inginocchiato con le mani giunte e il capo chino appena sbarcato dall’aereo che lo ha riportato in patria da eroe. Il presidente srilankese Mahinda Rajapakse, di ritorno dalla Giordania, ieri ha ufficialmente dichiarato la disfatta delle Tigri Tamil: “dopo ventisei anni il paese è finalmente libero dal terrore”. Cortei festanti, fuochi d’artificio e un unico coro: Jeyawewa, vittoria. Nella capitale Colombo si grida di gioia, mentre al nord, teatro negli ultimi sei mesi dell’offensiva finale contro i ribelli separatisti che il governo ha ancora il coraggio di definire “missione umanitaria”, si contano i morti e gli sfollati. Negli ultimi due giorni le operazioni militari, nei pochi chilometri quadrati di giungla dove le Tigri e i civili erano assediati, hanno avuto un’accelerazione e ieri il capo dell’esercito, Generale Sarath Fonseka, ha fatto l’annuncio ufficiale in diretta tv: “oggi abbiamo terminato il compito affidatoci dal presidente di liberare il paese dalle Tigri Tamil”. Uccisi 250 ribelli, dicono fonti dell’esercito, capi compresi, e primo fra tutti lui, la primula rossa Velupillai Prabhakaran, leader e fondatore dell’Ltte (Tigri per la liberazione del Tamil Eelam). Morti anche Soosai, capo della marina dell’Ltte, e Pottu Amman, capo dei servizi segreti. Pare che si trovassero tutti e tre a bordo di un’ambulanza con cui tentavano di fuggire quando sono stati colpiti. La morte di Prabhakaran è la ciliegina sulla torta di un successo dell’esercito e del governo che i civili Tamil hanno pagato a carissimo prezzo. Oltre 7mila per ora è il bilancio delle vittime da gennaio ad oggi, e più di 250mila sono gli sfollati che si trovano adesso nei campi allestiti dall’esecrito, dove la situazione è allo stremo. Lì lavorano in condizioni disperate il personale sanitario locale, gli operatori del Comitato internazionale della Croce rossa (Cicr) e quelli di Medici senza frontiere, le uniche due organizzazioni umanitarie ammesse nel nord dell’isola da quando, mesi fa, il governo di Colombo ha cacciato tutti, compresi i giornalisti indipendenti. Come si comporterà il governo nella delicata fase dei soccorsi è tutto da vedere. Il divieto di accesso all’area non è ancora stato revocato, nonostante l’urgenza di far arrivare al più presto gli aiuti. Addirittura l’ufficio Onu per la coordinazione degli affari umanitari (Ocha) ha denunciato ieri “nuove restrizioni” all’accesso ai civili. Gli fa eco la il Cicr, che da nove giorni tenta invano di far arrivare aiuti via mare alla popolazione. Venerdì il Segretario generale dell'Onu Ban ki Moon volerà a Colombo e ieri l’appello a permettere l’ingresso delle organizzazioni umanitarie, delle agenzie dell’Onu e della Croce rossa internazionale è arrivato anche dall’Unione europea. A Bruxelles i 27 ministri degli Esteri hanno anche chiesto una “inchiesta indipendente” sulle violazioni dei diritti umani da entrambe le parti. Se l’inchiesta ci sarà, il presidente Rajapakse, suo fratello Gothabaya, ministro della Difesa, e i capi dell’esercito, dovranno rendere conto degli attacchi scellerati e indiscriminati contro i civili, delle bombe lanciate ripetutamente sugli ospedali zeppi di feriti, di un vero e proprio massacro che i sostenitori dell’Ltte hanno definito “pulizia etnica”. Senza esagerare con le parole, e tenendo conto che dall’altra parte c’erano dei ribelli altrettanto pronti a sacrificare i civili usandoli come scudi umani – secondo le denunce degli umanitari -, l’intento del governo è parso quello di farla finita non solo con le Tigri, ma anche con la minoranza Tamil residente nel Nord, quindi presumibilmente la più vicina all’Ltte che fino a gennaio controllava la regione. Il principio per cui dietro ogni Tamil, specie se maschio e giovane, c’è una potenziale Tigre, negli anni ha portato a episodi di violenza inimmaginabile da parte dei militari nei confronti della minoranza. Adesso, quel che resta dei Tamil nel nord dell’isola cerca di sopravvivere nei campi sfollati. Malnutriti, feriti, molti con gli arti amputati, non potranno più costituire una minaccia per Colombo. Ma che con la fine dell’offensiva e la morte di Prabhakaran siano terminate anche le rivendicazioni della minoranza Tamil, discriminata e bistrattata dai governi nazionalisti con il supporto della potente elite buddhista, è tutt’altro che certo. Nei 26 anni di lotta inseguendo il sogno del Tamil Eelam, la patria Tamil indipendente, l’Ltte ha potuto contare infatti sull’appoggio finanziario della diaspora. Ancora oggi circa il 90 percento degli espatriati manda le rimesse direttamente nelle casse delle Tigri, un po’per sostenere la causa, un po’ perchè obbligati: per chi viveva nel Nord controllato dall’Ltte, il permesso di lasciare il paese arrivava in cambio di una parte del futuro stipendio mensile. Ma tra gli espatriati c’è ancora chi i ribelli li chiama “i ragazzi”. Se la disfatta delle Tigri oggi appare totale, non è da escludere una futura resurrezione. Perlomeno finché in Sri Lanka continuerà ad esistere una “questione Tamil”.

Fonte: Lettera22 e il Manifesto

19 aprile 2009

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