Se queste righe saranno lette in cinque minuti…


Piero Pieraccini


Le foto d’epoca


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Se queste righe saranno lette in cinque minuti…

 

 

 

 

 

 

 

 

Le parole di Terracini -che si vogliono retoriche ma che, invece, rendono bene la differenza fra la sua statura politica e morale e quella di tanti che appaiono nei teatrini della politica – sono di rammarico per una missione compiuta solo in parte. Infatti: “Noi abbiamo assolto il compito amarissimo di dare avallo ai patti di pace che hanno chiuso l’ultimo tragico e rovinoso capitolo del ventennio di umiliazioni e di colpe”. Tuttavia “Coloro che conoscono la vana attesa estenuante di un lavoro in cui prodigare le proprie forze creatrici e da cui trarre i mezzi di vita (…) si attendevano che l’Assemblea esaudisse le loro ardenti ispirazioni (…) Ma noi sappiamo di avere posto, nella Costituzione, altre parole che impegnano inderogabilmente la Repubblica a non ignorare più quelle attese ed ad apprestare gli strumenti giuridici per soddisfarle”.
Le parole d’allora confrontate con i fatti d’oggi ci restituiscono una Costituzione non ancora applicata e indicano alla politica priorità diverse.
“L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Così l’art. 1. Cioè la democrazia colloca il lavoro, non il mercato, a fondamento della Repubblica, mentre si sancisce l’appartenenza della sovranità al popolo e il diritto ai cittadini di concorrere alla politica associandosi in partiti. (Che sono in crisi, è vero, ma perché molti non svolgono più la funzione ad essi assegnata dalla Costituzione se è vero che la collettività, a ragione, li percepisce per quel che costano più che per quel che fanno). Ciò impedisce che la democrazia decada a regime elettivo del capo e dei suoi fedeli, e che il diritto alla rappresentanza sia compresso. Dunque, la rappresentanza corrisponda il più possibile alla composizione politica del popolo senza farsi schiacciare dalla governabilità.
Ma ore di televisione ci descrivono un’Italia fondata sulla furbizia di chi evade ogni legge, a partire da quelle d’ordine morale. Trasmissioni che formano il senso comune con filmati che ci dicono tutto su papi e padri Pii, su medici ed avvocati, su (ex) famosi dispersi su improbabili isole e fratelli grandi per la loro voglia di apparire, ignorano il mondo del lavoro, delle fabbriche, dei cantieri edili. Per cui il TG1 può aprire con l’intervista ai vip presenti alla Scala di Milano, mentre poche ore prima, a Torino, il fuoco si è preso le vite d’altri operai aggiungendo quelle morti (sette, a questo momento) al migliaio d’altre, in una spirale infinita di tragedie.
Ma il problema, si dice, è il terrorismo, soprattutto di natura islamica. (Sono di questi giorni i manifesti sui muri di Cesena che rivendicano una Romagna cristiana paventandone una musulmana: non stupisce il razzismo della Lega Nord, quanto il silenzio, sino ad ora, di chi ha il dovere della risposta). Fa niente se ormai da decenni nessun attentato, piccolo o grande, per fortuna o per prevenzione, colpisce l’Italia. Fa niente se omicidi e violenze, furti e rapine sono in costante diminuzione: quel che conta è l’idea che ognuno si fa per le informazioni che ha, di solito dalla comoda tv. Il rischio è che si legiferi di conseguenza. Non per i dati veri ma per quelli immaginati, oggi si dice “percepiti”.
Che in altre parti del mondo, purtroppo, coincidono nella loro efferatezza. Prendiamo il dopo 11 settembre, quando si vuole che inizi la nostra storia. Guerre ed attentati là dove (Iraq, Afghanistan, Pakistan,…) c’erano situazioni critiche sì ma imparagonabili con quello che succede oggi a seguito della lotta al terrorismo condotta dagli USA. E con l’Italia al seguito, se è vero che sono quasi 8000 i militari italiani impegnati in missioni all’estero. Certo, per far fede ad impegni politici assunti. Allora perché mai nella Costituzione è scritto che “l’Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzioni delle controversie internazionali”? Si dice che occorre leggere anche la seconda parte dell’articolo 11, che consente di cedere la sovranità alla Nato o all’ONU per assicurare la pace. Come se la perentorietà della prima parte fosse aggirabile da una lettura interessata ad affossarne il contenuto, prescindendo dalle regole che sottendono la cessione di sovranità. Il problema che consegue, si badi bene, non ha risvolti solo di natura giuridica/accademica, oltre la tragedia che ha colpito tanti militari italiani sui vari fronti di guerra. Perchè riguarda tutti. Perché il militarismo rischia di militarizzare la vita civile per cui chi preferisce la vita umana e quella del pianeta alle richieste del mercato e delle armi, è un potenziale “nemico” che va eliminato riducendone, come prima cosa, i diritti. Perché la spesa militare toglie risorse ai servizi. Sono ridotti gli insegnanti di sostegno nelle scuole (non i finanziamenti per le paritarie private), mentre la legge finanziaria prevede una spesa militare superiore dell’11% rispetto l’anno precedente. Ossia 23,5 miliardi d’euro. Ogni F34, nuovo aereo da combattimento, costerà 110 milioni d’euro. Ne sono previsti 45 entro il 2012.
Se queste righe saranno lette in 5 minuti, nel frattempo saranno morti per fame (ma il cibo ci sarebbe) o malattie (ma le medicine per curarle esistono) circa 1000 bambini al di sotto dei 5 anni.
Buon anno, comunque.

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