Scuola in rivolta. Il fantasma del ’68 agita le notti di Berlusconi…


Gianni Rossi - articolo21.org


La visibilità mediatica “fa male” alla destra neo-con. Ma la storia non si ripete, tranne che nei “contorni”, nelle somiglianze dei movimenti, delle contrapposizioni tra destra e sinistra appunto…


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Scuola in rivolta. Il fantasma del ’68 agita le notti di Berlusconi...

Da destra c’è un gran starnazzare allo spauracchio di un nuovo Sessantotto. Ma la storia non si ripete, tranne che nei “contorni”, nelle somiglianze dei movimenti, delle contrapposizioni tra destra e sinistra appunto; tra chi è al potere e chi vuole cambiarlo; tra gli “oppressi e gli oppressori”. Quaranta anni dopo quei mitici anni, tutto è cambiato, specie nei costumi, nel comunicare tra le persone, nell’invasione della tecnologia dentro la vita quotidiana a tutte l’età e condizioni sociali, ma non nei rapporti di potere. Allora come ora, la sinistra ufficiale, quella rappresentata nelle istituzioni è fuori dai giochi, anche se stavolta è a fianco degli studenti, degli insegnanti e delle famiglie. E qui sta il primo punto di “distacco” dal Sessantotto: è tutto il mondo della scuola, dalle primarie, alle secondarie, fino all’università, in rivolta. Allora, invece, il movimento era iniziato nelle università e si era allargato alle superiori, ma tranne poche eccezioni i docenti si tenevano fuori dalla rivolta e i genitori erano tenacemente contro. Furono gli operai, i metalmeccanici, quelli giovani, a legare con gli studenti anche se agli inizi diffidavano molto di quegli “intellettuali borghesi dai capelli lunghi”!
E c’era la guerra nel Vietnam, la segregazione razziale negli Stati Uniti ( fu l’anno degli assassini di Martin L. King e di Bob Kennedy), i costumi sessuali vivevano nella più grigia repressione. Le destre erano al potere nell’Europa “libera”, mentre in quella “orientale” c’era il “tallone di acciaio” dell’Unione Sovietica che opprimeva interi stati, oggi invece liberi e membri dell’Unione Europea.
Solo una stampa, una tv e una classe di politici e di sedicenti intellettuali “liberal” possono ancora sputare sentenze sul Sessantotto che ritorna, seppure con l’appoggio dei professori.
I giovani d’oggi sono figli di una società multimediale, globalizzata, internettiana, senza ideologie né riferimenti filosofici marxisti. Sono il prodotto di una società dove i media hanno invaso le loro anime con la pubblicità e i programmi scadenti che negli ultimi 25 anni hanno modificato i comportamenti dell’intera popolazione.
La politica odierna si fa con i sondaggi di opinione (per lo più “taroccati”!), sulle “piazze mediatiche”, nei “salotti televisivi, a colpi di battute da cabaret o di insulti che si rincorrono come il cane che si morde la coda. I partiti storici, basati sul sistema organizzativo della fine dell’Ottocento, sono “evaporati”: si va dal partito leggero, liquido, a rete (il PD) al partito-azienda monocratico e di stampo sovietico (Forza Italia), ai vetero-leninisti (Rifondazione e Comunisti italiani), al partito regionale-corporativo-nichilista (Lega Nord). Solo i sindacati confederali sono rimasti fedeli alla loro struttura, perdendo comunque gli stretti legami di partito che un tempo avevano (la CGIL con PCI e PSI, la CISL con la DC e la UIL con PSI e gli altri “laici minori”); mentre le sigle “autonome” , come Cobas, SGL e altri, orbitano nell’area della sinistra radicale. C’è, specie nei servizi e nella galassia del pubblico impiego (4 milioni e passa di dipendenti, dalla scuola, alla sanità, agli enti locali, ai ministeri), un pullulare di sindacati “autonomi”, di categoria che incarnano interessi corporativi, settoriali, a volta di “casta”, che rendono di per sé inefficace l’azione riformatrice del sindacalismo maturo e confederale e di fatto hanno portato alla debolezza contrattuale di queste categorie, alla loro “demonizzazione mediatica” (“sono tutti fannulloni”, “i dipendenti pubblici sono troppi e privilegiati”!) e ai tagli nelle spese che vari governi, di sinistra e di destra, hanno imposto, smantellando le tutele sociali del Welfare State.
La scuola è il principale obiettivo di questo “colpo di coda” del neo-conservatorismo, impersonato dal regime berlusconiano.
In questa sua terza edizione al potere, Berlusconi sta precipitosamente mettendo in atto tutto il repertorio più dannoso (anche per il suo stesso elettorato popolare di destra) che sia Reagan sia la Thatcher impiegarono per trasformare radicalmente le società americana e britannica.
Ne stiamo pagando ancora oggi i danni! Basti pensare alla politica iperliberista e monetarista alla Friedman, che dalla fine degli anni Settanta in poi ci hanno portato a varie crisi finanziarie, a guerre locali, a crisi energetiche ed ambientali, fino al crack odierno delle banche e delle borse, e alla recessione mondiale, che durerà a lungo e porterà “lacrime e sangue” per tutte le classi sociali.
Berlusconi sta attuando con ostinazione parte del Programma per la Rinascita dell’Italia di “gelliana memoria”: riduzione della spesa dello stato per la pubblica amministrazione, sviluppo dei “servizi privati”, regime mediatico privato con drastico ridimensionamento del servizio pubblico e della tutela del pluralismo, spostamento delle risorse verso la scuola privata di ogni ordine e grado, così come per la sanità e per l’assistenza previdenziale,demonizzazione dei sindacati e dei partiti di opposizione, separazione delle carriere per i magistrati e loro dipendenza dall'esecutivo.
Nel vuoto propositivo e organizzativo della sinistra moderna, esplode così la “galassia scuola”, che rompe il “giocattolo mediatico”, messo in atto da Berlusconi e dai suoi collaboratori al governo per trasformare il nostro paese in un regime neo-conservatore, svuotando di contenuti la Costituzione e portando a termine quel vasto “lavaggio del cervello”, una melassa sociale, iniziato con l’avvento delle TV commerciali e con la creazione ad arte di un’opinione pubblica “virtuale e consumistica” da contrapporre alla gente reale. Insomma, una visione del mondo traslata dalla cinematografia di serie “B” (tanto cara all’attore-presidente degli USA, Reagan) alla più moderna, consumistica e per categorie da “format” della TV.
Berlusconi però non ha fatto i conti con l’innovazione tecnologica: internet, blog, globalizzazione delle comunicazioni, telefonia mobile, abbattimento dei costi, semplificazione e immediatezza dell’uso dei mezzi di comunicazione di massa (foto e telecamere digitali, sistemi integrati di montaggio computerizzati, You-tube e Facebook).
La nuova generazione che guida la rivolta nelle scuole è formata dagli stessi giovani-consumatori delle platee televisive di questo venticinquennio, ma ne è uscita come vaccinata. E insieme a loro, è vero, ci sono genitori e insegnanti che hanno fatto il Sessantotto o che sono vissuti nella memoria “epica” di quel lungo periodo. Ma siamo, purtroppo, tutti usciti centrifugati dal tubo catodico della “rivoluzione mediatica”!
La ribellione, quindi, è contro questo stato delle cose, contro la distruzione del “sapere libero” e il diritto di “sognare un futuro”!
Da qui la maturità degli studenti nell’analizzare i contenuti della “controriforma Gelimini-Tremonti”, nell’indicare le soluzioni, nella loro scelta del pacifismo e dell’imprevedibilità delle azioni, nel criticare i mali storici della scuola senza false ritrosie. Governi di sinistra prima e di destra poi hanno fatto a gara per distruggere un patrimonio di alto livello, invidiato nel resto del mondo occidentale, nonostante lacune e deficienze organizzative, logistiche e finanziarie. Le colpe di questo “sfascio culturale” vanno imputate a due ministri essenzialmente, uno di sinistra, Luigi Berlinguer, e a seguire, l’altro di destra, Letizia Moratti.
Per questo il movimento è autonomo, solido e non ideologizzato; per questo, i docenti hanno preso coscienza di liberarsi degli stereotipi loro affibbiati dai media e dal mondo politico; per questo Berlusconi va in “tilt” mediatico contraddicendosi con dichiarazioni ora minacciose, ora moderate, ora demonizzanti contro la sinistra politica, sindacale e la libera informazione, responsabili di tutti i mali del mondo.
La crisi del berlusconismo nasce proprio da questa sua incapacità a rinnovarsi da parte dell’uomo più esperto nell’utilizzare i media tradizionali che l’Occidente abbia mai avuto ( ma prima di lui ci fu proprio il precursore e suo simbolo, Reagan). Come la sua azienda, Berlusconi cerca di ottimizzare, di strizzare tutte le risorse dai media tradizionali, dai prodotti pensati e mercificati negli anni Ottanta-Novanta, superato però dalla digitalizzazione del sistema e quindi dalla rapidità, dall’interconnessione globale dei messaggi, dagli interscambi deicomportamenti, dalla libertà creativa, con costi abbattuti che corrono sulla “Rete”.
Da qui deriva il suo incubo comportamentale di vedere riprodotti sui media le manifestazioni di piazza; da qui la sua dura opposizione (amplificata dai suoi collaboratori e dai media “fiancheggiatori”) contro quei media che amplierebbero questo fenomeno e che soffierebbero sul fuoco; da qui il suo sproloquiare sulle cause, i rimedi, le soluzione fantasiose sulla crisi economica e finanziaria mondiale, che lo ha visto ancora una volta come il primo dei “venditori di piazza”, ma stonato, fuori dal mercato moderno e con mercanzie inadeguate; da qui, infine, la sua linea politica di contrapposizione senza mediazioni del tipo “muoia Sansone con tutti i filistei!”, pur di non essere contraddetto nel suo nuovo look da “lider maximo”. Ma la recessione economica e la rivolta della scuola  stanno mettendo in crisi di consenso trasversale proprio la base stessa dell’opinione pubblica che ha premiato con il voto di primavera il sistema di potere berlusconiano.
Tornare a pensare in grande, liberando l’immaginazione, perché l’impossibile è alla portata di mano: così il movimento spontaneo, non violento, concreto e fantasioso potrà imporsi alla vasta platea mediatica e attirare consensi sociali e politici anche dalle categorie lavorative, che la crisi metterà ben presto davanti a scelte dolorose.
Il Sessantotto è lontano ormai! E’ storia!
Ma quello spirito aleggia ancora dentro la società che noi, figli e protagonisti di quel tempo, non abbiamo saputo consegnare migliore ai nostri figli.
Che sia questo il modo per ricucire uno strappo tra le generazione e consegnare alle nuove un mondo migliore, libero, con valori etici reali e non preda di tendenze consumistiche e virtuali, che hanno ottenebrato le coscienze e reso la società un immenso supermercato, una fiera delle vanità?
Comunque, sarà una grande sfida per l’intera sinistra, culturale, politica e sindacale, che implicherà anche mutamenti nelle classi dirigenti, nelle leadership e nelle organizzazioni. Dall’altra parte della fine del tunnel non c’è più il “Sol dell’avvenire” per un’unica classe con la sua “dittatura del proletariato”, ma una società nuova, solidale, plurale, culturalmente libera e a dimensione umana.
Il Sessantotto è morto, ma forse il messaggio sessantottesco di Herbert Marcuse contenuto nei suoi saggi “Eros e civiltà” e “L’uomo a una dimensione” è ancora vivo. Leggete ragazzi! Leggete!

Fonte: Articolo21

26 ottobre 2008

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