Più fame e più immigrazione, crescono i guasti da febbre del pianeta


Cristina Pulcinelli


I cambiamenti climatici minacciano l’agricoltura, in molti casi unico sostentamento di popolazioni in miseria. E’ il tema scelto dalla Fao per celebrare la giornata dell’alimentazione che si svolge domani.


CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+
Più fame e più immigrazione, crescono i guasti da febbre del pianeta

Oggi si calcola che siano 923 milioni gli esseri umani che soffrono di malnutrizione nel mondo, ma il loro numero è destinato ad aumentare. Gli affamati della Terra vivono per lo più in aree rurali e i loro scarsissimi guadagni vengono dall’agricoltura. Ma proprio l’agricoltura è in forte sofferenza e i motivi sono principalmente due. Da un lato il diffondersi delle coltivazioni di piante da cui ricavare combustibile si sta allargando a scapito delle coltivazioni da cui ricavare cibo. Dall’altro i cambiamenti climatici minacciano di colpire drammaticamente le capacità di approvvigionamento di cibo e acqua pulita di una larga fetta della popolazione mondiale. E addirittura potrebbero far sparire molti piccoli contadini e pescatori. Per questo la Fao ha scelto come temi caldi per celebrare la giornata dell’alimentazione che si svolge domani proprio i cambiamenti climatici e i biocombustibili.
In un seminario preparatorio che si è svolto ieri a Roma, organizzato dalla Fao insieme alla sezione europea della Organizzazione Mondiale della sanità e alla Efsa (l’autorità europea per la sicurezza alimentare) sono stati messi sul piatto i dati riguardo all’impatto del cambiamento del clima sulla salute, in particolare per quanto riguarda la disponibilità di cibo e acqua. Non sono rassicuranti per nessuno, nemmeno per i paesi ricchi. Nella Regione Europea, ad esempio, si prevede una diminuzione della produttività agricola nell’area Mediterranea, nell’Europa sud-orientale e in Asia centrale. I raccolti potrebbero ridursi fino al 30% in Asia centrale entro la metà del ventunesimo secolo. Il cambiamento climatico pone anche delle questioni di sicurezza alimentare. Temperature più alte favoriscono la crescita di batteri negli alimenti, come la salmonella. Il caldo rende più problematico mantenere la catena del freddo per garantire la sicurezza dei cibi oltre a favorire la comparsa di mosche ed altri insetti pericolosi per la salute.
Per quanto riguarda la mancanza d’acqua, si prevede che al centro e al sud d’Europa e in Asia centrale colpirà un numero variabile tra 16 e 44 milioni di persone in più entro il 2080. La diminuzione della portata dei corsi d’acqua, che in estate arriverà fino all’80%, determinerà una riduzione delle acque dolci ed un potenziale incremento della contaminazione delle acque.
Il Mediterraneo è riconosciuto come “zona calda” per il cambiamento climatico. La regione è già caratterizzata da scarse risorse idriche che sono per di più non equamente distribuite all’interno dei paese. Il cambiamento climatico potrebbe ridurre del 25% le piogge invernali in quest’area. L’intero territorio italiano, in particolare, è già stato colpito da una diminuzione del 14% delle precipitazioni negli ultimi 50 anni. Mentre uno studio NASA-Goddard Institute for Space Studies ha evidenziato che circa 4.500 chilometri quadrati delle aree costiere sono a rischio di inondazione. I dati più preoccupanti riguardano comunque i paesi poveri del mondo, dove l’agricoltura potrebbe subire i danni maggiori a causa da un lato della siccità, dall’altro dell’aumento di intensità delle alluvioni e dell’erosione delle coste. Ma le conseguenze, anche in questo caso, sarebbero globali. In particolare, dovremo fare i conti con ondate migratorie senza precedenti, hanno affermato gli esperti che si sono riuniti domenica scorsa a Bonn per la conferenza indetta dalle Nazioni Unite su emigrazione e ambiente. Qualche anno fa il biologo Norman Myers aveva previsto che nel 2050 il numero dei rifugiati per cause ambientali raggiungerà il numero di 200 milioni di persone. Una cifra che ancora rimane un valore guida per chi si occupa di questi temi.
Già oggi il fenomeno è cominciato, dicono alcuni studiosi. «In molti casi – ha affermato Tamer Afifi dell’università delle nazioni Unite – l’emigrazione ha come causa un fenomeno ambientale anche se gli emigranti non la riconoscono. Dicono che sono andati via perché non c’era lavoro, ma i motivi che ci sono dietro sono la desertificazione e l’erosione del suolo».

Fonte: L’Unità

15 ottobre 2008

CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+

Lascia un commento