Onu: “No Iran a Ginevra”


NEAR EAST NEWS AGENCY


Dietro front di Ban Ki-Moon dopo le forte pressioni occidentali. Al via i negoziati in Svizzera, la Coalizione Nazionale ci sarà. Quali prospettive?


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Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, non ce l’ha fatta a resistere alle critiche piovutegli addosso dopo che aveva annunciato la presenza dell’Iran agli incontri di pace in Svizzera. Il suo invito a Teheran è durato meno di 24 ore dimostrando, qualora qualcuno avesse ancora dubbi, quanto l’Onu sia un’organizzazione priva di alcuna indipendenza politica.

La motivazione ufficiale del gran rifiuto è che Teheran non appoggia l’accordo firmato nel giugno 2012 (ma non erano presenti allora né Damasco né l’opposizione) secondo cui alla base dei negoziati di Ginevra 2 vi è un governo di transizione (cioè la caduta di Assad). Domenica Ban Ki-Moon aveva invitato (tardivamente) Teheran a partecipare agli incontri di pace senza chiederle se accettava i principi del summit del 2012 (Ginevra 1). Un invito che aveva fatto infuriare Washington, Londra e la Coalizione Nazionale siriana, il principale gruppo di opposizione a Damasco.

Appresa la notizia della presenza dell’Iran, la Coalizione aveva subito minacciato di non presentarsi a Montreux finché Teheran non avesse accettato il governo di transizione. Ban Ki-Moon, intimorito dalle pressioni, aveva provato in un primo momento a giustificarsi timidamente: l’Iran l’aveva rassicurato che avrebbe accettato questo punto. Una dichiarazione francamente difficile da credere considerando la coerenza che Teheran, che piaccia o no, ha avuto nei quasi tre anni di conflitto siriano. Una posizione ribadita anche ieri senza troppi giri di parole quando già le proteste vibranti dei ribelli a libro paga dell’Occidente e dei Paesi del Golfo si facevano via via più dure: “noi non accettiamo precondizioni per le negoziazioni di pace”.

Di fronte all’insistenza degli iraniani e pressato dalle principali cancellerie occidentali, Ban Ki-Moon ha preferito annunciare un clamoroso e imbarazzante dietro front. Martin Nesirky, portavoce di Ban Ki-Moon, ha provato a mettere una pezza: “[Il Segretario Generale dell’Onu, ndr] continua a sollecitare l’Iran ad unirsi al consenso globale sul comunicato di Ginevra [governo di transizione, ndr]. Poiché Teheran ha deciso di rimanere fuori dall’accordo di base, [Ban, ndr] ha stabilito che il raduno di Montreux procederà senza la partecipazione dell’Iran”. “Gli iraniani, nonostante le rassicurazioni date a voce al Segretario Generale – ha aggiunto Nesirky – hanno rilasciato una dichiarazione pubblica deludente”. Pertanto “Ban Ki-Moon sta rivalutando le sue opzioni alla luce della deludente reazione di alcuni dei suoi partecipanti”. E’ interessante notare come nel linguaggio dell’Onu, il termine “globale” sia sinonimo di “governi europei e statunitense” e la “deludente reazione” sia solo l’insistenza del regime degli Ayatollah e non invece i diktat dei “ribelli moderati”.

L’assenza degli iraniani a Montreux ha ringalluzzito la Coalizione nazionale: “apprezziamo che le Nazioni Unite abbiano compreso la nostra posizione. La riteniamo una giusta decisione. Pertanto confermiamo la nostra presenza il 22 gennaio” ha detto alla Reuters Monzer Akbik, capo di stato maggiore della Coalizione Nazionale siriana. Diverso lo stato d’animo di Mosca fedele alleata di Damasco. Lavarov, Ministro degli Esteri russo, ha definito la scelta delle Nazioni Unite “un errore” che avrà conseguenze negative sull’immagine dell’Onu. Lavarov ha ribadito che la presenza dell’Iran sarebbe stata fondamentale per un successo della conferenza di pace.

Archiviata la pratica Iran, dunque, resta ora da capire cosa accadrà a Ginevra. Il fallimento è scontato: Damasco pone come priorità “la lotta al terrorismo” (nel linguaggio di Assad l’opposizione) e rifiuta categoricamente l’idea di un governo di transizione. I ribelli della Coalizione guidati da Ahmad Jarba – che solo sabato a Istanbul in un voto boicottato da un terzo dei loro membri hanno rotto gli indugi scegliendo Ginevra 2 – pongono invece la caduta del Presidente siriano come condizione imprescindibile per l’avvio di qualunque dialogo.

In questo contesto di differenze sostanziali tra le parti, le prospettive di “pace” sono complicate dalle pressioni (interessi) degli “sponsor”: da un lato Washington, Parigi, Londra e Riyad per i ribelli, e dall’altro Mosca per Assad. Alleati che poco hanno a cuore le sofferenze del popolo siriano che paga quotidianamente con un tributo di sangue inaccettabile le manfrine della politica internazionale. L’amara realtà è che nessuno ha realmente intenzione e volontà di porre fine a questa mattanza.

Il regime di Damasco vive un momento “positivo”: recupera lentamente terreno dal punto di vista militare, si rafforza grazie alla lotta interna tra l’Opposizione e i jihadisti. Pur non avendo la forza per riprendere possesso dell’intero territorio siriano, si può “rallegrare” di riuscire a mantenere il suo dominio nella capitale (ma non alla sua periferia), nella fascia centrale del paese e lungo la costa del Mediterraneo. D’altro canto anche la Coalizione sa bene che essere presente a Ginevra può solo farle perdere quel poco di credibilità che i gruppi anti-Assad siriani ormai le conferiscono. Brigate dai nomi vari che vedono (non a torto) nella Coalizione un gruppo diretto dall’Occidente e la cui leadership risiede nei comodi salotti di Istanbul e di Parigi e non nei campi di battaglia siriani. L’uscita dalla Coalizione di diverse frange dei ribelli e la successiva nascita del Fronte Islamico pochi mesi fa deve essere letta all’intero di questo quadro.

Una situazione drammatica quella siriana che non potrà mai migliorare fintanto che il flusso di armi per Assad e l’Opposizione continuerà a scorrere. Accanto ai 130.000 morti, ai milioni di rifugiati interni e al di fuori del Paese, ci sono i terribili dati sui costi della guerra. Intervistato domenica dal quotidiano locale al-Watan, l’ex Premier ad interim, Omar Ghalawanji, ha parlato di più di 22 miliardi di dollari. Una cifra a ribasso perché una stima precisa e completa dei danni è impossibile da fare ora. Il Ministro del Turismo Reyad al-Yazji a settembre aveva parlato di un crollo del settore turistico che supera i due miliardi di dollari. Kamal Toma, Ministro dell’Industria, invece aveva valutato le perdite nel settore industriale in oltre 2 miliardi di dollari.

Accanto alle macerie materiali ci sono quelle umane che nessuno mai potrà lenire. Ieri tre noti procuratori dei tribunali internazionali dell’ex Yugoslavia, Sierra Leone e Liberia hanno denunciato in un report di 31 pagine (commissionato dal Qatar) i crimini di guerra di cui si sarebbe macchiato il regime di Damasco. Desmond de Silva, Geoffrey Nice e Davide Crane hanno esaminato migliaia di foto di detenuti morti nelle celle del regime dal marzo 2011 allo scorso agosto.

Molte vittime erano giovani uomini e tanti cadaveri mostravano evidenti segni di tortura. Alcuni prigionieri non avevano più gli occhi, altri presentavano sul collo chiari segni di strangolamento. “Una sistematica uccisione di almeno 11.000 detenuti” hanno scritto i tre importanti giudici. Crimini inaccettabili di cui non si è macchiato solo il regime.

L’Onu e gruppi indipendenti dei diritti umani, infatti, hanno documentato abusi e crimini anche da parte dei “ribelli”, dove con questo termine si intendono anche quei “moderati” che le cancellerie europee degli “Amici della Siria” si vantano di sostenere. Perché nella personalissima guerra a suon di documenti, di prove e contro prove tra i partigiani irriducibili del Presidente “laico” e quelli che ritengono che nella Coalizione Nazionale ci siano i “liberatori” ci si dimentica sempre chi sta veramente perdendo: il popolo siriano.

Fonte: Nena News

21 gennaio 2014

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