“Nel nostro futuro ci sono sfide titaniche”


Michele Giorgio, Il Manifesto


Nei giorni della rivoluzione, al Caffè Rish su Piazza Talat Harb, parlano gli intellettuali.


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"Nel nostro futuro ci sono sfide titaniche"

Il Cafè Rish, su Piazza Talat Harb, è stato fino a pochi anni fa un ritrovo per intellettuali, artisti e uomini politici, specie quelli schierati a sinistra. Un laboratorio che hanno frequentato in tanti. Ha perduto parecchio dello splendore di un tempo, eppure resta un locale di riferimento nella capitale. Soprattutto ora che l’Egitto vive una nuova rivoluzione. Ieri l’anziano proprietario non aveva voglia di esprimersi su quanto accade nella vicina Piazza Tahrir, ma nel suo locale i pochi presenti erano impegnati in un acceso dibattito sul futuro dell’Egitto. Mubarak è giunto al capolinea, e ora chi guiderà il paese? Anche al Cafè Rish aleggia questo interrogativo, di fronte a un movimento che ha costretto Mubarak all’angolo anche senza avere una testa politica e tenendo in disparte tutti i partiti.
Lo scrittore Ibrahim Abdel Meguid, autore di saggi e romanzi venduti in centinaia di migliaia di copie, sottolinea che la nuova leadership «avrà il compito arduo di restituire agli egiziani le risorse immense che il regime ha fatto accumulare nelle mani di pochi, in modo da redistribuire la ricchezza». Meguid è convinto che il popolo stesso farà emergere nuovi dirigenti politici. «La nostra gente ha realizzato una seconda rivoluzione (dopo quella del 1952, ndr) e quindi è in grado di scegliere i suoi leader futuri – spiega – tutti i partiti, anche dell’opposizione, dovranno rinascere su nuove basi».
Meno idealista è un altro frequentatore abituale del Cafè Rish il giudice Zakaria Abdel Aziz, presidente dell’Associazione nazionale magistrati. «Sono fiducioso ma il futuro presenta sfide di eccezionale importanza – afferma – al momento non c’è una leadership politica gradita alla popolazione ma a un certo punto dovranno essere fatte delle scelte». Gli chiediamo se l’oppositore del regime più noto all’estero, Mohammed ElBaradei, sia in grado di guidare la transizione democratica. «In verità non lo credo – dice categorico il giudice – ElBaradei non è popolare e il nostro popolo ha bisogno di un leader carismatico capace di avviare il paese su di un sentiero colmo di insidie». Abdel Aziz esclude anche che i Fratelli musulmani, ufficialmente illegali ma ritenuti la principale forza di opposizione, possano giocare un ruolo da protagonisti nella futura vita politica del paese. «Si parla molto della loro popolarità, specie tra i più poveri, ma nei sondaggi non hanno più del 10-15% dei consensi». Per altri i Fratelli sono effettivamente la forza politica più organizzata e popolare in Egitto perché tanti egiziani evitano di sostenerla in pubblico per paura della polizia politica. Gli islamisti continuano a mantenere un basso profilo. Preferiscono seguire l’evoluzione e poi scenderanno in campo. Ieri uno dei loro leader più noti, Abdel Monem Abdel Fotuh, intervistato da al Jazeera ha detto che il suo movimento «è pronto a partecipare a un governo di unità nazionale senza porre condizioni» e ha rimarcato più volte che i Fratelli non aspirano alla presidenza dell’Egitto.
Una cosa comunque è certa. Ieri ha avuto termine la dinastia politica dei Mubarak. Il passaggio dello scettro presidenziale da Mubarak padre a Mubarak figlio non ci sarà. La nomina del capo dell’intelligence Omar Suleiman a vicepresidente esclude che Gamal Mubarak possa presentarsi alle presidenziali come candidato del Partito nazionale-democratico (sino ad oggi al potere). Ammesso che il giorno del voto il Pnd esista ancora. Le sedi del partito vengono attaccate ovunque e molti dei suoi dirigenti abbandonano la nave che cola a picco. L’ultimo in ordine di tempo è Ahmad Ezz, ricco imprenditore e, soprattutto, alleato strettissimo di Gamal Mubarak. Intanto proseguono le consultazioni tra apparati militari egiziani e statunitensi, lo riferiscono fonti dell’opposizione, e non è da escludere che la nomina a vicepresidente di Suleiman sia il risultato proprio di questi colloqui al massimo livello. Suleiman è un uomo molto gradito a Washington e Tel Aviv dove, forse, ora lo considerano l’unico in grado di salvare la baracca e di mantenere in piedi i rapporti «speciali» dell’Egitto con Usa e Israele. Però è sconosciuto alla maggioranza degli egiziani e non ha fatto una buona politica mediando inutilmente per anni tra Israele e Anp.

Fonte:  www.nena-news.com, Il Manifesto

30 gennaio 2011

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