Medio Oriente e democrazia: il ruolo della società civile


Tiziana Guerrisi


Il seminario Ipalmo-Undp "Parlamento e processo di riforma" ha riunito a Roma delegazioni istituzionali di Libano, Iraq e Giordania per discutere di democratizzazione in Medio Oriente. Con un occhio di riguardo al ruolo della società civile.


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Medio Oriente e democrazia: il ruolo della società civile

Si è concluso a Roma il seminario "Il Parlamento e il processo di riforma. Le esperienze dei Paesi del Mashreq e dell'Italia", che l'Isituto per le relazioni tra l'Italia e Africa, America latima, Medio ed Estremo Oriente (Ipalmo) ha organizzato nella capitale insieme all'Undp. Al centro del progetto pilota – che dopo la prima fase a Beirut ha portato nei giorni scorsi a Roma parlamentari e studiosi di Libano, Giordania e Iraq – la volontà di promuovere i processi democratici nel Mediterraneo puntando "al rafforzamento delle istituzioni parlamentari che ne costituiscono un pilastro", come spiega il presidente di Ipalmo Gianni De Michelis.
Oltre al dibattito su decentramento, meccanismi di rappresentanza e lotta alla corruzione ampio spazio è stato dedicato al ruolo che la società civile è chiamata a svolgere nei processi di democratizzazione. Un ruolo che molte associazioni nei paesi del mediterraneo già ricoprono da tempo, tanto più necessario in contesti attraversati da una profonda crisi politica, come in Libano. "Nel nostro paese – racconta Toni Atallah, ricercatore universitario a Beirut – la libertà di associazione è stata introdotta all'inizio del secolo scorso con una legge molto liberale per l'epoca". Nel periodo tra il 1975 e il 1990, in uno dei periodi più neri della storia libanese, la società civile – ricorda Atallah – ha saputo svolgere un ruolo di difesa delle istituzioni e dei diritti dei cittadini. "La resistenza della società civile è una delle vie alla pacificazione del paese: negli ultimi due anni, infatti, le ong hanno saputo opporre – prosegue Atallah – il dialogo alla volontà di quanti volevano esasperare ulteriormente lo scontro. Ma adesso il rischio è che la rassegnazione prenda il sopravvento".

Spostandoci a oriente nell'Iraq contraddittorio del dopo-Saddam l'associazionismo sembra diffondersi con estrema rapidità e non senza qualche rischio. Nonostante la difficoltà di contare su dati esatti, sembra che dal 2003 il numero di associazioni e ong sia cresciuto esponenzialmente: tra il 2003 e il 2005, racconta Asmar Hussein Ahamd (membro della commissione per la società civile in Iraq) ne sarebbero nate oltre 3 000, e oggi il numero si aggirerebbe intorno alle 11 mila realtà associative, di cui circa 5 mila registrate. Realtà evidentemente molto diverse tra loro: accanto a ong impegnate per la tutela ambientale, l'accesso a cure mediche e istruzione di base, ma ancora tutela di donne e minori, non mancano le associazioni di categoria. Sarebbero però anche molte le associazioni impegnate in attività la cui utilità sociale, a giudicare dalle parole di alcuni ospiti iracheni, sarebbe molto difficile da accertare. Un fenomeno imponente che avrebbe portato non pochi problemi, soprattutto in termini di trasparenza perché – come sottolineano diversi delegati – non mancano zone d'ombra, soprattutto circa i meccanismi di finanziamento e il legame diretto con il governo. "Molte ong – racconta senza mezzi termini Haidar Jaseim Muthana Al-Saaide, funzionario del parlamento iracheno – sono solo pretesti per sottrarre fondi pubblici che dovrebbero servire alla ricostruzione del paese. A partire dal 2003 infatti abbiamo assistito a una proliferazione selvaggia di queste realtà". Anche per questo in molti, oggi, chiedono al governo di Baghdad di introdurre una separazione netta tra esecutivo e ong, sciogliere l'attuale ministero per la Società Civile e stabilire un fondo per l'associazionismo che sia sotto il controllo diretto del parlamento. La speranza è che si arrivi il prima possibile a una legge sulla trasparenza delle ong, come si augura un ricercatore di Baghdad, e che magari si apra la strada a un maggiore coordinamento tra le ong irachene e gli organismi di cooperazione internazionale.

Fonte: Lettera22

09 febbraio 2008 

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