L’umanità che si sporge sul baratro


Piero Piraccini


Corrono tempi in cui con frequenze impensabili alle nostre latitudini, ché in altre sono quotidiane, si pronuncia la parola “guerra” con la normalità delle cose assodate, fino al punto che il commissario europeo Gentiloni può dire che “la ricostruzione dell’Ucraina costituirà una grande occasione di sviluppo”. (Poteva aggiungere: “Per i sopravvissuti, naturalmente”). Categorie totalizzanti che […]


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Corrono tempi in cui con frequenze impensabili alle nostre latitudini, ché in altre sono quotidiane, si pronuncia la parola “guerra” con la normalità delle cose assodate, fino al punto che il commissario europeo Gentiloni può dire che “la ricostruzione dell’Ucraina costituirà una grande occasione di sviluppo”. (Poteva aggiungere: “Per i sopravvissuti, naturalmente”).

Categorie totalizzanti che non lasciano spazio al pensiero complesso messo all’angolo e ridicolizzato dalle parole “più armi”.

E così conosciamo nomi di missili con gittate fino a 150 km, ma quelli a 300 km sarebbero meglio, e carri armati sempre più sofisticati ed efficaci nel colpire, cioè nell’uccidere, e aerei da combattimento, perché no?, visto che ci siamo. Poi a chi tocca tocca, perché le armi sono fatte così: sono democratiche.

E che dire del fallimento della missione che oltre mezzo secolo fa ha generato l’Europa, visto che i suoi Stati membri hanno orizzonti il cui unico profilo è quello della tragedia ucraina, senza una proposta pur minima di comporre il conflitto?

La guerra è igiene del mondo, sostenevano i futuristi, ben diversamente dalle gravi e pregnanti parole di Eraclito trovate in un frammento di 2500 anni fa: “La guerra è padre di tutte le cose, di tutte re; e gli uni disvela come dei e gli altri come uomini, gli uni fa schiavi, gli altri liberi”. Dunque la guerra come fondamento della storia, assunta quasi come principio antropologico, come dato di natura (Kant).

E’ la vertigine della guerra, una corrente contro cui sarebbe inutile nuotare essendo l’ineluttabile corso del mondo.
Chiedeva Einstein a Freud mentre, a macerie ancora fumanti della prima guerra mondiale, si profilava la minaccia della seconda: perché la guerra, quando una maggioranza di uomini che da essa ha tutto da perdere, financo la vita, si lascia asservire da una minoranza che, invece, ha tutto da guadagnare? Alcune righe tratte dalla sua risposta: “Perché ci indigniamo tanto contro la guerra, Lei ed io e tanti altri? Perché non la prendiamo come una delle molte e penose calamità della vita? La guerra sembra conforme alla natura. (…) Finché esistono stati e nazioni pronti ad annientare senza pietà altri stati e altre nazioni, questi sono necessitati a prepararsi alla guerra”. Il progressivo processo d’incivilimento, concludeva però, farà sì che la guerra sia ripudiata per sempre perché essa non costituisce una fatalità assoluta.

Si può oggi dire che la sua “fatalità” non dipende da passioni distruttive come la pulsione di morte che pur fa parte della nostra natura, ma dipende dalla divisione dell’umanità tra sfruttatori e sfruttati, dalla cupidigia degli uni che accumulano ricchezza a scapito degli altri fino al punto di spingersi alla guerra per far primeggiare un territorio di accumulazione capitalistica rispetto ad altri.

E così, a fronte di persone che non costituiscono risorsa alcuna perché non funzionali a questa economia che uccide c’è chi investe cifre abnormi in armamenti. Perché deve difendersi dalla collera degli esclusi il cui grido salirà fino al cielo se non si dà una prospettiva ai loro diritti, che sono quelli al cibo, all’acqua, al lavoro, alla sanità, alla scuola.

Diritti esigibili solo in un mondo in cui è la pace a farla da padrona. Tristi i tempi in cui questi temi, in un deserto di passioni, sono delegati al magistero di un papa che viene da terre lontane, ormai unico interprete di un mondo sporto sul baratro.

Quattro aspiranti segretari di un partito in crisi d’identità, sul tema della guerra e degli armamenti hanno proferito parole talmente flebili da non essere udite, usate solo per approvarne il ricorso in aiuto all’Ucraina invasa dalla Russia. Temi questi: le armi, la guerra, la pace quasi scomparsi dagli alfabeti della politica, come estranei alla sua visione del mondo.

Fra pochi giorni sarà un anno dall’aggressione russa all’Ucraina, non dall’inizio della guerra essendo iniziata in quei territori anni prima. Fra poche notti, lungo il percorso che da Perugia porta ad Assisi, sfileranno migliaia di persone con torce in mano per illuminare il cammino, perché la pace non è mai impossibile, perché non è folle chi si ostina a crederci, perché l’unica follia è la guerra.

Piero Piraccini
10 febbraio 2023

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