La solitudine di un ragazzo che chiede aiuto ai giornalisti


Claudio Lazzaro


Intolleranza e individualismo. "So che un giornalista da solo può fare ben poco. Purtroppo a dargli le risposte è la realtà di questo Paese".


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La solitudine di un ragazzo che chiede aiuto ai giornalisti

Oggi, sabato 17 maggio, ho ricevuto questa e-mail, che vi giro, perché credo che parli di un sentimento diffuso tra i giovani (ne sto ascoltando tanti, in tutta Italia, nei miei giri per presentare Nazirock). “Gentile signor Lazzaro”, mi scrive Francesco Vincini. “Ho di recente avuto l'occasione di vedere il suo documentario intitolato Nazirock. Non le scrivo per farle i miei complimenti per lo splendido lavoro o per il suo coraggio e la costanza nel tentare di rendere evidente un problema che da qualche anno a questa parte si sta ingrossando in modo spaventoso. 
Le dico spaventoso perchè forse è l'aggettivo con cui meglio potrei riuscire a descrivere questa situazione. Che inizia proprio a spaventarmi. Per questo sento il bisogno di scriverle. Questo è il mio sfogo, non le chiedo di rispondermi, solo di leggerlo.
Io vivo in una piccola città di provincia, Piacenza. Come può ben immaginare qui i giovani più o meno si conoscono tutti, almeno di vista, ed è facile aver modo di parlare in diverse occasioni. Lei, citando Pasolini, diceva che bisogna parlare ai giovani di destra, non identificarli come un male irrimediabile. Nel suo immenso genio Pasolini certo diceva una sacrosanta verità, ma l'incomunicabilità tra diversi pensieri politici, portata allo stremo dalla figura di Berlusconi, ha scavalcato i muri del mondo politico e sta drammaticamente coinvolgendo anche il mondo dei cittadini, delle persone. 
Oggi non è più possibile avere una civile e normale discussione nemmeno tra noi giovani (io ho 21 anni). Ognuno se ne sta rintanato nel proprio gruppo facendo finta che l'altro non esista, che sia una incarnazione irrimediabile del male, e lo evita come la peste. Molti altri, semplicemente, se ne fregano proprio. 
Persino i movimenti politici dei giovani di sinistra sono troppo occupati o a piangersi addosso o a mantenere quella loro aria da intellettualoidi pieni di sè e della loro cultura. Non si stanno accorgendo che il fascismo in Italia è tutt'altro che scomparso e non basta a combatterlo un concerto in una cooperativa o un corteo all'uscita di scuola. 
Troppo intenti a difendersi da attacchi e insulti del centrodestra e a litigare tra di loro, quelli di sinistra hanno perso la capacità di parlare con la gente e soprattutto di rendere le persone consapevoli, dare loro occhi con cui orientarsi e orecchie per comprendere questa società. 
Io credo che il suo film e quello precedente, Camicie Verdi, riassumano perfettamente il mio modo di vedere e di pensare e credo che siano essenziali ed indispensabili per dare una speranza a giovani che, come me, non ne hanno quasi più. 
Gruppi politici come Forza Nuova esisteranno sempre, non è compito suo risolvere il problema, ma come giornalista e regista il suo compito è quello di fare vedere le cose e parlare con la gente. Un tempo la sinistra era vicina al popolo, ora lo siete voi, rari giornalisti, malgrado molte difficoltà. 
Quindi a noi non resta che fare un appello a lei e a tanti altri uomini che svolgono un lavoro come il suo. Non smettete mai di parlarci, nonostante le paure, le querele, le diffamazioni, gli insulti. Siete forse l'unica speranza che noi giovani abbiamo per credere di poter un giorno cambiare qualcosa. Abbiamo dimenticato i modi in cui si può comunicare, dovete insegnarceli di nuovo, con costanza e pazienza. 
Potrei dire molte altre cose riguardo al problema di questi partiti di estrema destra, ma sarebbe inutile dato che molte le ho intuite e comprese con il suo film e attraverso gli ideali trasmessi dalla mia famiglia. Credo che la sola vera identità nazionale, che questi neofascisti dicono di voler difendere, sarebbe l'essere veramente consapevoli della storia del proprio paese, custodirla dentro ognuno di noi senza dimenticarla, senza permettere al tempo e alla mala fede di insinuare dubbi su verità tragiche come le lotte di liberazione e la Resistenza.
Per concludere, mi auguro che un giorno lei possa venire qui a Piacenza per parlare del suo lavoro e continuare ad insegnarci come usare l'arma più potente del mondo: la comunicazione. Grazie per l'attenzione e scusi per essere stato prolisso e qua e là confuso”.
Francesco Vincini

A Francesco non so cosa rispondere. So che un giornalista da solo può fare ben poco.
Purtroppo a dargli le risposte è la realtà di questo Paese. Leggo i giornali di oggi.
L’Unità a pagina 4 dà notizia che a Monreale, accanto ai souvenir, vendono le mazze e i manganelli con lo stemma del Duce. Le stesse mazze con cui a Figline, pochi giorni dopo il pestaggio omicida di Verona, una banda di cinque ragazzi ha percossa a sangue due kossovari, rischiando di fare un’altra vittima in pochi giorni (la stampa nazionale non ha nemmeno dato la notizia).
Tre notizie le prendo da Repubblica. Cronaca di Roma: uno studente ferito a San Giovanni. Lo fermano per strada, gli chiedono se fa parte dei collettivi di sinistra. Risposta affermativa. Lo riempiono di botte colpendolo in faccia coi caschi.
Sempre in cronaca di Roma, oggi, la lettera di Alessandro Loppi: “Mia madre è uscita piangente dall’Ufficio per la contestazione delle multe. C’è stato un litigio, è arrivato un agente, ma quelli che aspettavano in coda lo hanno accolto a braccio teso, urlando slogan fascisti. Mia madre non credeva ai propri occhi”.
In cronaca nazionale, a Verona, Roberto Bianchini intervista una testa rasata. “Nicola Tommasoli è morto per sbaglio”, spiega uno di quei ragazzi che fanno le ronde per ripulire il centro storico da immigrati e diversi (proprio come i cinque che hanno pestato a morte il povero Nicola). “E’ stato un incidente, non volevano ucciderlo, solo dargli una lezione. Il nazifascismo non c’entra”.
Uno dei cinque di Verona si era candidato con Forza Nuova, un altro volantinava in difesa di Luigi Ciavardini, condannato per la strage di Bologna e per l’assassinio di un magistrato, militante di Terza Posizione, l’organizzane neofascista fondata da Roberto Fiore, leader di Forza Nuova.
Il simbolo di Terza Posizione assomiglia a una svastica. I pestaggi continuano. Le cronache nazionali non ne danno conto. Qualcuno avrà esito mortale. “E’ stato un incidente. Il nazifascismo non c’entra”.

Fonte: Articolo21

17 maggio 2008

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