La Repubblica italiana ripudia la guerra


Antonio Papisca


Nessuno lo può ignorare. Alla vigilia della giornata del 2 giugno, Antonio Papisca, Direttore del Centro Interdipartimentale sui Diritti della Persona e dei Popoli dell’Università di Padova, commenta l’articolo 11 della Costituzione italiana.


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La Repubblica italiana ripudia la guerra

Dichiarazione Universale dei Diritti Umani

Preambolo:
– “Considerato che il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana, e dei loro diritti, uguali e inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo”.
– “Considerato che gli Stati membri si sono impegnati a perseguire, in cooperazione con le Nazioni Unite, il rispetto e l’osservanza universale dei diritti umani e delle libertà fondamentali”.

Art. 1: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”.

Art. 28: “Ogni individuo ha diritto ad un ordine sociale e internazionale nel quale i diritti e le libertà enunciati in questa Dichiarazione possono essere pienamente realizzati”.

Carta delle Nazioni Unite

Preambolo: “Noi, Popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra (…)”.

Art. 1: “I fini delle Nazioni Unite sono: 1. Mantenere la pace e la sicurezza internazionale (…)”.

Art. 2. 3:
“I Membri devono risolvere le loro controversie internazionali con mezzi pacifici, in maniera che la pace e la sicurezza internazionale, e la giustizia, non siano messe in pericolo. 4. I Membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza (…)”

Art. 4: “Possono diventare Membri delle Nazioni Unite gli Stati amanti della pace che accettino gli obblighi del presente Statuto (…)”.

Patto internazionale sui diritti civili e politici (1966, ratificato dall’Italia nel 1977)

Art. 20: “Qualsiasi propaganda a favore della guerra deve essere vietata dalla legge”.

Costituzione della Repubblica Italiana

Art. 2: “La Repubblioca riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.

Art. 10: “L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute (…)”.

Art. 11:
“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

Commento

La Costituzione va interpretata e applicata in conformità con i principi e le norme generali dell’ordinamento internazionale e con gli obblighi assunti in virtù dei trattati internazionali ratificati dall’Italia.
L’ordinamento giuridico internazionale ha subito una profonda trasformazione a partire dalla Carta delle Nazioni Unite (1945) e dalla Dichiarazione Universale dei diritti umani (1948), successivamente arricchita e sviluppata da specifiche Convenzioni giuridiche in materia (l’ultima è quella riguardante i diritti umani delle persone con disabilità).
Possiamo parlare di mutazione genetica del Diritto internazionale, in ragione del fatto che il principio del rispetto della “dignità di tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti eguali e inviolabili” è formalmente posto a suo fondamento.
L’essenza del ‘vecchio’ Diritto internazionale, costitutivamente statocentrico, si riassume in (pochi) principi che si articolano in funzione della centralità dello Stato – sovrano, nazionale, armato, confinario -: sovrana eguaglianza degli Stati, diritto di questi di fare, a seconda dello ‘interesse nazionale’ dei più forti, la guerra (ius ad bellum) e di fare la pace (ius ad pacem), i ‘patti’ e la ‘consuetudine’ devono essere rispettati (pacta sunt servanda, consuetudo servanda est), ma possono essere disattesi, anche unilateralmente, invocando la clausola “stando così le cose” (rebus sic stantibus). Insomma, un Diritto fatto su misura degli Stati, dove la persona umana è ‘oggetto’ non ‘soggetto’ di diritti, un Diritto-piattforma della Realpolitik.
Con ‘avvento del ‘nuovo’ Diritto internazionale, incentrato sulla soggettività della persona umana e dei popoli, la guerra è proscritta in quanto tale, e costruire la pace attraverso la cooperazione internazionale diventa un obbligo. Cambia anche il concetto di sicurezza: non più ‘sicurezza dello stato’ (state security), da perseguire essenzialmente con mezzi militari, ma ‘sicurezza della gente’ (people security), con contenuto multidimensionale (economica, sociale, ambientale, di ordine pubblico) e da perseguire all’interno di un sistema di ‘sicurezza collettiva’ sotto autorità delle Nazioni Unite. E’ la filosofia-strategia della “sicurezza umana” (human security), ampiamente descritta nei documenti ufficiali delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea soprattutto a partire dalla fine degli anni novanta del secolo scorso.
Pertanto, alla luce del vigente Diritto internazionale l’applicazione del tradizionale principio ‘i patti e la consuetudine devono essere rispettati’ è, deve essere, subordinata al perseguimento del superiore principio ‘la dignità umana deve essere rispettata’ (humana dignitas servanda est), che in concreto significa che la salvaguardia della vita (di ciascuno) e la costruzione della pace (dentro e fuori degli stati) costituiscono un imperativo giuridico sopraordinato a qualsiasi altra norma o interesse.
Se ne deduca che un trattato internazionale in tanto è legittimo in quanto persegua obiettivi compatibili con l’imperativo del binomio indissociabile vita-pace. La proscrizione della guerra e la difesa dei diritti umani costituiscono parte di quel superiore grado di precettività giuridica, oltre che di etica universale, che viene definito di ‘ius cogens’, valido nei confronti di tutti anche a prescindere da formali atti di accettazione.
Soprattutto a partire dalla prima guerra del Golfo (1991), e nonostante i perentori richiami alla legalità lanciati da Boutros-Boutros Ghali (del quale v.”Un’Agenda per la Pace”, 1992), la superpotenza, seguita da altri stati, sta tentando di rimettere in vigore, per via di prassi, il ‘vecchio’ diritto interstatuale delle sovranità armate, con l’obiettivo di riappropriarsi di quel ‘diritto di fare la guerra’ che la Carta delle Nazioni Unite ha, dal punto di vista giuridico-formale, cancellato una volta per tutte. I diritti umani sono stati strumentalizzati nel tentativo di legittimare l’uso della forza militare in violazione flagrante della Carta delle Nazioni Unite. La ‘guerra preventiva’ e la corsa al riarmo (dal 1997 al 2006, la spesa militare nel mondo è mediamente aumentata del 37%) sono gli indicatori di questa dissennata tendenza. La riforma delle Nazioni Unite stenta a decollare, se si eccettua la creazione della ‘Peacebuilding Commission’ e la sostituzione della Commissione dei Diritti Umani con il “Consiglio dei Diritti Umani”, ambedue organi rigorosamente intergovernativi quanto a composizione, come dire sotto controllo degli stati.
Per quanto in particolare riguarda la Costituzione italiana, risulta chiaro dalla lettera dell’articolo 11 il ripudio della guerra, dunque la conformità del nostro ordinamento con la Carta delle Nazioni Unite. Questo comporta che l’Italia debba impegnarsi, primariamente, per fare funzionare il sistema di sicurezza collettiva sotto autorità delle Nazioni Unite. Gli obblighi assunti con la partecipazione ad “organizzazioni regionali” (es. Nato, UE, Osce), con eventuale rinuncia a porzioni di sovranità, devono essere compatibili con l’obbligo primario di rispettare la Carta delle Nazioni Unite.
Più in generale, gli obblighi internazionali assunti per via di trattati, devono essere compatibili con i principi e le norme generali del vigente Diritto internazionale, in particolare con il nucleo duro dello ius cogens incentrato sulla proscrizione della guerra e sul rispetto di tutti i diritti umani per tutti. Questo comporta che la seconda parte dell’articolo 11 deve essere interpretata alla luce della prima parte dell’articolo 10, riguardante il recepimento automatico dei principi generali dell’ordinamento internazionale.
Qualsiasi trattato sottoscritto dall’Italia per fini che contrastano con gli imperativi di ius cogens universale deve essere denunciato, anche unilateralmente.
In particolare i trattati, bilaterali o multilaterali, riguardanti l’installazione o il potenziamento di basi militari devono e possono, in punto di diritto, venire denunciati dall’Italia se l’uso di tali infrastrutture è in contrasto con i principi e i fini della Carta delle Nazioni Unite, per esempio per condurre operazioni di ‘guerra preventiva’ o comunque al di fuori del sistema di sicurezza collettiva sotto sopraordinata autorità delle Nazioni Unite. Come prima accennato, gli stessi impegni assunti in sede di ‘organizzazioni regionali’ che siano in contrasto con i principi generali del vigente Diritto internazionale, sono illegali e devono pertanto essere denunciati. In altri termini, la ‘copertura’ di una organizzazione regionale per la conduzione di operazioni belliche, non rende legittima la partecipazione dell’Italia a tali operazioni: il multilateralismo in quanto tale non è sinonimo di legalità.
La superpotenza, con la connivenza di altri stati, persiste nel depotenziare le Nazioni Unite. In molti casi, è impedito alle Nazioni Unite di intervenire o, quanto meno, di operare tempestivamente. Non per questo si è legittimati a operare per via di surroghe illegali, cioè a ‘compensare’ la forzosa carenza delle Nazioni Unite con azioni illegali di altre organizzazioni.
Non c’è alternativa alla legalità forte dei diritti umani. Questo comporta che occorre potenziare e democratizzare le Nazioni Unite e fare di questo un obiettivo priopritario per il ruolo internazionale dell’Unione Europea, nella consapevolezza che il Diritto internazionale dei diritti umani, nucleo ‘costituzionale’ dell’ordinamento internazionale generale, può essere ferito, ma mai ucciso: esso ha una intrinseca forza di resistenza, alimentata dalla coscienza profonda dell’umanità che si esprime, significativamente, attraverso le organizzazioni e i movimenti transnazionali di società civile globale nonviolenta e solidarista.

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