La prigione segreta di Bagram


Emanuele Giordana - Lettera22


A Bagram, da Kabul, si arriva in poco tempo. La base americana sta in fondo a un paese che si è allungato attraverso decine di agenzie di servizio logistico e costituiscono l’insolito prolungamento urbano di una della basi militare per eccellenza in Asia.


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La prigione segreta di Bagram

Bagram non ha una bella fama ed è nell'occhio del ciclone da tempo anche se l'Amministrazione Obama, che pure ha promesso la chiusura di Guantanamo, ha sempre preferito evitare l'argomento. Ma adesso un nuovo dossier sulle prigioni segrete della base, corredato dalle testimonianze di prigionieri afgani trattati come bestie, riaccende la polemica. Che arriva in un momento delicato e mentre il generale David Petraeus, che comandare le truppe americane e la Nato in Afghanistan, si trova proprio in Italia. E che, dopo gli incontri di ieri con i  responsabili della Difesa italiana (il ministro La Russa e il Capo di stato maggiore Vincenzo Camporini), oggi parteciperà  alla riunione degli inviati speciali per la regione che si svolge a Roma  su iniziativa del ministro Franco Frattini e alla presenza, tra gli altri, dell'inviato speciale americano per l'AfPak  Richard Holbrooke e del ministro degli esteri afgano  Zalmay Rassul.
La riunione prepara la svolta che l'Alleanza dovrebbe annunciare a Lisbona tra qualche settimana ("La Nato vede di buon occhio la riconciliazione fra governo afgano e talebani – ha detto ieri Petraeus –  ma questi  devono rispettare alcune condizioni: deporre le armi, tagliare con Al Qaeda e  accettare la Costituzione”) ma è difficile che in quella sede si parli di Bagram. Le attese sono tante soprattutto per quel che riguarda una sorta di scadenzario del ritiro, ma l'argomento “Black Jail” non è in agenda. Ci ha pensato, in un momento delicato, la Fondazione Open Society (fondata da George Soros) con un dossier pieno di testimonianze di una brutalità spesso supposta, tenuta segreta e subito smentita dal Pentagono. Ma il rapporto redatto dal ricercatore  Jonathan Horowitz sembra tutt'altro che pieno di sentito dire: gli ex detenuti intervistati non provenivanoinfatti dalla  prigione (aumentata di capienza di recente in un apposito sito attaccato alla base) cui hanno avuto accesso Croce rossa e telecamere, ma in una sorta di “classified detention”, detenzione segreta, in apposti locali lontani da occhi indiscreti e dove gli standard della Convenzione di Ginevra sono un sogno. Come  le regole delle prigioni americane e gli stessi manuali di detenzione in uso ai militari statunitensi. A uso di  squadre speciali e agenti dell'intelligence.

“Confinement Conditions at a U.S. Screening Facility on Bagram Air Base”, secondo Open Society, è il primo racconto dettagliato di queste condizioni: celle isolate e freddissime nei rigidi inverni afgani con poco  cibo e coperte insufficienti, divieto dell'ora d'aria e di poter vedere la luce del sole, impossibilità di svolgere  i propri riti religiosi o di fare esercizio fisico. Divieto infine di poter parlare con gli inviati del Comitato della Croce rossa (Icrc). Roba vecchia? No, alcuni detenuti raccontano fatti del 2010.
Giornataccia insomma e proprio mentre Washington tenta di tappare qualche falla in un momento in cui in Afghanistan la fiducia nella Nato e negli Stati uniti è sempre più in calo, unita a una sempre maggior sfiducia anche nell'esecutivo Karzai, considerato poco autonomo dalle scelte americane. Proprio ieri si è saputo che il primo di dodici soldati americani accusati di una strage di civili sta per finire davanti alla corte marziale col rischio di un verdetto che prevede la pena capitale. La data del processo non è ancora nota ma Jeremy Morlock ci andrà con l'accusa infamante di aver fatto il tiro a segno con granate e mitragliatrici  su un gruppo di afgani innocenti senza che vi fosse il minimo pericolo di assalto. I morti furono tre, quest'anno, nella provincia di Kandahar. Un modo per dimostrare che certe azioni non restano impunite.

Fonte: Lettera22

17 ottobre 2010

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