La crisi ci ha reso più intolleranti!


Caritas


Il Dossier Caritas Migrantes invita gli italiani a chiedersi “se gli immigrati, che contribuiscono alla produzione del prodotto interno lordo per l’11,1%, siano il problema o non piuttosto un contributo per la soluzione” della crisi economica.


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La crisi ci ha reso più intolleranti!

Presentazione del rapporto

Dossier  Statistico Immigrazione 2010
Teatro Orione, 26 ottobre 2010
Franco Pittau, Coordinatore “Dossier Statistico Immigrazione” Caritas e Migrantes

La presentazione del 20° rapporto sull’immigrazione della Caritas e della Fondazione Migrantes può prendere l’avvio da due constatazioni. Dal 1990, anno al quale si riferiscono i primi dati del “Dossier”, l’immigrazione è cresciuta di 10 volte, arrivando a quasi cinque milioni di presenze regolari. La seconda constatazione è di segno inverso: nel frattempo è cresciuto l’atteggiamento di chiusura nei confronti degli immigrati, sia da parte dei vertici politici sia da parte della base, complice da ultimo anche la crisi economica ed occupazionale.
La contrapposizione “Aumento dell’immigrazione – Aumento della chiusura” può essere uno schema utile per sintetizzare i dati più significativi del nuovo “Dossier”, con una particolare attenzione a quanti sono portati a ritenere gli immigrati un male supplementare per l’Italia, senza rendersi conto che l’avversione nei loro confronti non solo si discosta dalla dottrina sociale della Chiesa cattolica, ma va anche contro gli interessi del paese.
Questa è la tesi che il nuovo “Dossier” consente di argomentare con dati affidabili, partendo dalla insoddisfacente situazione economica e occupazionale per soffermarsi, poi, sull’apporto degli immigrati e sulla gestione delle differenze in una società multiculturale.

La situazione socio-occupazionale dell’Italia non è soddisfacente
Chi ha vissuto la sua gioventù negli anni del dopoguerra, un periodo caratterizzato da un livello più basso di benessere, li ricorda come gli anni della speranza, della creatività, dell’investimento sul futuro, sia quando si continuava ad andare all’estero, sia quando, specialmente a partire degli anni ’70,  si rimpatriava per mettere a frutto l’esperienza fatta e i risparmi messi da parte.
Il 2009 è stato un anno particolarmente difficile, in cui l’andamento economico è stato negativo, è crollata la produzione e sono aumentati i disoccupati (oltre la soglia dei 2 milioni) a seguito dei pesanti effetti della crisi internazionale. Ma l’introduzione al “Dossier” curata dal Comitato di Presidenza della Caritas e della Migrantes sottolinea che, ormai, non si tratta solo di un male congiunturale.
Il nostro sistema economico è da tempo in difficoltà, impossibilitato a ricorrere alle svalutazioni della moneta dopo l’introduzione dell’euro, a esportare nel mondo prodotti a basso costo, così come riescono a fare i paesi emergenti, e a ridurre l’enorme peso della spesa pubblica. Infatti, è andato peggiorando il rapporto tra Pil e debito pubblico, pari al 95,2% nel 1990, al 109,2% nel 2000 e attualmente attorno al 118%, il livello più alto tra tutti gli Stati membri dell’UE. Al contrario, è costante la diminuzione nella crescita del Prodotto interno lordo: 3,8% negli anni ’70, 2,4% negli anni ’80, 1,4% negli anni ’90. Nell’ultimo decennio il tasso medio di crescita è stato dello 0,3%, mentre nel biennio 2008-2009 il Pil è crollato del -6%.
L’Italia non regge il passo degli altri grandi paesi europei per quanto riguarda la modernizzazione del sistema e lo sviluppo tecnologico: nel periodo 1980-2009 l’aumento medio annuo della produttività è stato di appena l’1,2% e ha influito negativamente sulla crescita del Pil, sull’aumento delle retribuzioni e anche sugli investimenti esteri (22 miliardi di euro l’anno in entrata contro 32 in uscita), scoraggiati anche da una pesante burocrazia. Rispetto al passato, è diventata meno brillante anche l’affermazione delle imprese italiane all’estero, senza che questa perdita sia stata compensata dalla delocalizzazione delle produzioni, che rischiano di farci diventare un paese più consumatore che produttore e, quindi, dotato di scarse risorse.
A fronte di questo quadro, tracciato con realismo, bisogna chiedersi se l’immigrazione sia un’opportunità o un ulteriore appesantimento. Il “Dossier” aiuta a sciogliere la riserva in senso positivo.

Non è concepibile il futuro dell’Italia senza lavoratori immigrati
Gli immigrati sono stati utili per rimediare alle carenze di manodopera in diversi settori. Si tratta all’incirca di due milioni di persone, che incidono per circa il 10% su tutti gli occupati.
L’inserimento è avvenuto in misura massiccia nel settore familiare, in edilizia e in agricoltura, e in misura comunque consistente in molti altri comparti.
Nel mese di settembre 2009 sono state presentate quasi 300 mila domande per la regolarizzazione delle posizione degli immigrati presso le famiglie, ma il loro contributo è fondamentale su un piano più generale, come ha ricordato alcuni mesi fa il primo sciopero degli immigrati in Italia.
Innanzi tutto, questi lavoratori svolgono una funzione complementare rispetto agli italiani, ai quali indirettamente garantiscono più soddisfacenti opportunità occupazionali. Basti pensare che 4 immigrati su 10 sono occupati a livello inferiore rispetto alla loro formazione, svolgono le prestazioni in orari disagiati (di sera, di notte e di domenica) e percepiscono una retribuzione più ridotta rispetto agli italiani (mediamente al mese 971 euro, -23%).
Il loro apporto alla creazione del Prodotto Interno Lordo è notevolmente superiore alla loro consistenza numerica; essi incidono per il 7% sulla popolazione residente, dichiarano al fisco annualmente 33 miliardi di euro e incidono per più dell’11% sulla produzione della ricchezza.
Il confronto tra spese sociali per gli immigrati e tasse e contributi da loro pagati, va a vantaggio delle casse statali: si tratta in attivo di almeno un miliardo di euro l’anno, sicuramente molto di più se dalla semplice ripartizione delle spese sociali pro-capite si passa alla metodologia di calcolo basata sui costi aggiuntivi o marginali.
I lavoratori immigrati assicurano un grande supporto al sistema pensionistico perché pagano annualmente 7,5 miliardi di contributi previdenziali ed essendo ridotto il flusso degli immigrati che vanno in pensione, gravano in misura minimale sui bilanci previdenziali. Trattandosi di una popolazione giovane, con appena il 2,2% di ultrasessantacinquenni (tra l’insieme della popolazione residente 20,2%), questi benefici, seppure non nella stessa misura, sono destinati a durare: attualmente è pensionato 1 immigrato su 30 (tra gli italiani 1 su 4), mentre nel 2025 sarà pensionato 1 immigrato ogni 12 (e tra gli italiani 1 su 3).
Gli immigrati non solo occupano i posti loro offerti dagli italiani ma essi stessi ne creano con le loro imprese (213.267 a maggio 2010, con un tasso di crescita del 13,8% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente). Tra titolari, soci, figure societarie e dipendenti, l’imprenditoria degli immigrati coinvolge più di mezzo milione di persone.
Gli immigrati potrebbero essere di maggior supporto al “sistema Italia” ma in parte ne sono impediti da una rigidità normativa disfunzionale. La difficoltà nell’acquisire un titolo di soggiorno stabile pregiudica la concessione dei mutui, nel quale la quota degli immigrati dal 10% di alcuni anni fa è scesa al 6,6%, e incide negativamente sulla possibilità di costituire nuove imprese o di inserirsi nel mercato della compravendita degli immobili. Il periodo di sei mesi, concesso ai disoccupati per trovare un nuovo posto di lavoro, è eccessivamente ristretto nella patria del lavoro nero (che secondo l’Istat incide per il 12,2% sul totale del lavoro in Italia), anche in considerazione degli ulteriori effetti negativi recati dalla crisi occupazionale.
Servono passi in avanti non solo a livello legislativo ma anche a livello di mentalità per inquadrare in maniera adeguata la nuova società multiculturale, portatrice di differenze e, soprattutto, di possibili nuove sinergie.

Una società multiculturale trova coesione nell’integrazione

L’Italia è indubbiamente una società fortemente multiculturale, con più della metà degli immigrati che vengono dall’Europa (53,6%) e gli altri dai restanti paesi del mondo (Africa 22%, Asia 16,2%, America 8,1% e Oceania 0,1%). Gli immigrati hanno assunto nella nostra società una forte visibilità, in maniera più accentuata in diverse regioni del Nord (61,6%) e del Centro (25,3%), ma in maniera non trascurabile anche nel Meridione (13,1%). Nel complesso, essi incidono per il 3,5% sulle imprese (ma il doppio su quelle artigiane e con una forte presenza anche in quelle cooperative), per il 7% sui residenti, per il 7,5% sugli iscritti a scuola, per il 10% sugli occupati (con 147 mila nuovi assunti nel 2009), per il 13% sulle nascite, per il 15% sui matrimoni.
I numeri devono indurci maggiormente alla riflessione. Gli immigrati iscritti come residenti nelle anagrafi comunali sono 4 milioni e 235 mila, ai quali ne vanno aggiunti altri 686 mila che verranno registrati in ritardo, inclusi i regolarizzandi. I minori sono quasi un milione (932.675), più di mezzo milione sono i cittadini stranieri nati in Italia (572.720) e poco meno gli immigrati diventati cittadini italiani nel corso del tempo. Ogni giorno 70 italiani si sposano con un cittadino straniero, 163 stranieri diventano cittadini italiani, nascono 211 figli da genitori stranieri e, quotidianamente, è di origine immigrata 1 abitante ogni 14 e un disoccupato ogni 10.
È una constatazione, quindi, che l’Italia sia una società multiculturale. Anche nel biennio 2007-2009 gli immigrati, nonostante la crisi, sono cresciuti di quasi un milione di unità. Tuttavia, il fatto che l’aumento sia intervenuto in un ristretto spazio di tempo (all’inizio del 1990 non erano neppure mezzo milione), ha generato in diversi senso di timore e in altri una sindrome da invasione.
Per di più, andando al di là della realtà statistica, comunemente si è arrivati a pensare che gli immigrati siano 15 milioni e per lo più irregolari (Ricerca “Transatlantic Trends 2009”): non è così, anche se i trafficanti di manodopera imperversano con un volume d’affari che, secondo l’Onu, raggiunge i 2,5 miliardi di dollari.
È necessario correggere le informazioni sbagliate o parziali e superare i pregiudizi per vincere le riserve nei confronti della società multiculturale nell’ottica della interculturalità. Le tendenze centrifughe possono essere composte attraverso la strategia dell’integrazione o dell’interazione o dell’inclusione (i termini sono meno importanti rispetto al concetto). Gli immigrati sono chiamati a non isolarsi e a partecipare alla vita della società che li ha accolti, condividendone regole e obiettivi (come, a dire il vero, fa la stragrande maggioranza), ma hanno anche diritto a essere accolti, rispettati e valorizzati su un piano di uguaglianza.
Manca ancora in Italia questa decisa volontà di accoglienza, quella che chiedevamo quando eravamo un popolo di emigranti. Significativo è il riferimento della Germania che, a partire dal 2005, superando il modello di una immigrazione temporanea, ha varato un impegnativo piano di integrazione supportato da consistenti risorse, che riserva ad ogni nuovo venuto 900 ore di insegnamento gratuito della lingua tedesca.
Anche in Italia, nel mese di giugno 2010, è stato varato un piano interministeriale per l’integrazione (denominato “Identità e incontro”), che presenta diversi spunti di interesse ma che non è stato preceduto da un ampio coinvolgimento delle forze sociali, come è accaduto nella Repubblica Federale, ed è dotato di minori risorse. Giustamente si insiste, tra le altre cose, sull’apprendimento dell’italiano. Nel comune di Roma, secondo uno studio della Rete Scuole Migranti, a studiare l’italiano sono annualmente circa 15 mila persone, di cui quasi la metà presso strutture del privato sociale, bisognose – come è intuibile – di un maggiore supporto; altri 5 mila
immigrati aspettano, per inserirsi in questi corsi, di ulteriori possibilità. Tra le difficoltà supplementari bisogna menzionare, a livello economico, la certificazione del livello di apprendimento richiesta nel sistema del permesso di soggiorno a punti (che non sembrerebbe equo addossare agli interessati) e, a livello di mentalità, il rischio che l’apprendimento dell’italiano venga sentito dagli immigrati più come una minaccia che un’opportunità. Nel passato, a livello nazionale, si era arrivati ad assegnare fino a 100 milioni di euro per l’integrazione degli immigrati, mentre attualmente lo stesso importo caratterizza solo l’ammontare delle tasse che gli immigrati annualmente pagano per i permessi di soggiorno e le pratiche di cittadinanza (nel primo caso, sopportando notevoli lentezze burocratiche, e nel secondo caso senza la garanzia che la pratica vada a buon fine).
Nel documento interministeriale sull’integrazione, anche in questo caso giustamente, si ipotizza la necessità di superare il divieto che impedisce ai cittadini stranieri di accedere ai posti pubblici, superando la contraddizione per cui chiediamo loro di identificarsi con la società italiana ma li teniamo lontani dalla realtà pubblica. Si innesta qui il discorso fondamentale della necessità di una loro partecipazione più ampia e anche del riconoscimento del diritto al voto amministrativo.
Nel documento interministeriale viene sollevata anche la questione delle pari opportunità da attribuire agli immigrati, rispetto alla quale i rappresentanti degli immigrati lamentano dei ritardi.
Ad esempio, il cosiddetto “bonus bebé” è stato ripetutamente limitato alle famiglie italiane, mentre le famiglie degli immigrati devono sostenere da sé i 9.000 euro annui mediamente necessari per la crescita di un figlio. Anche l’accesso all’edilizia residenziale pubblica viene sottoposto a un numero così elevato di anni di residenza da restringere sostanzialmente la cerchia dei possibili beneficiari immigrati. Ancora più significativo è il caso dei rom, per principio considerati nomadi (ma spesso sedentari) e destinati ai campi. A Milano, ad esempio, non è andato in porto il piano, con così grande impegno preparato dalla Curia ambrosiana e dal mondo sociale, di assegnare loro 25 case comunali.

In conclusione, serve una mentalità rinnovata.
L’obiettivo dell’integrazione è difficile ma irrinunciabile, richiede l’impiego di maggiori risorse e, ancora di più, è necessario un atteggiamento più aperto verso gli immigrati nella consapevolezza che essi sono indispensabili per sostenere l’andamento demografico negativo dell’Italia.
Nell’ultimo decennio, a fronte di un aumento di 2 milioni degli ultrasessantacinquenni, le persone in età lavorativa sono cresciute di solo 1 milione di unità e i minori fino a 14 anni solo di mezzo milione di unità. A metà secolo, secondo le previsioni di Istat e di Eurostat, con l’ipotesi di “immigrazione zero” l’Italia perderebbe un sesto della sua popolazione. Continuando i ritmi riscontrati in questo decennio, nel 2050 gli immigrati supereranno i 12 milioni e incideranno per il 18%. Questo aumento non sarà una minaccia bensì una garanzia per la popolazione italiana, di cui un terzo avrà superato i 65 anni. In moltissimi comuni i figli degli immigrati incideranno sulla popolazione scolastica per il 30% o più, come già avviene in diversi Stati membri dell’UEe, a quel punto, bisognerà aggiornare le strategie per il mondo della scuola. Gli africani, che ora sono poco meno di 1 milione, a seguito dell’esplosione demografica del loro continente raggiungeranno i tre milioni, come la Caritas e la Migrantes hanno posto in evidenza in un recente volume pubblicato dal Fondo Europeo per l’Integrazione, che fa capo in Italia al Ministero dell’Interno.
La parola d’ordine è “inclusione”. Il vantaggio sarà reciproco in Italia e, inoltre, gli effetti positivi si riverseranno anche sui paesi di provenienza tramite le rimesse (6 miliardi e 753 milioni di euro nel 2009). In Italia, attualmente i fondi vengono utilizzati in gran parte per le azioni di contrasto: secondo una stima riportata nel “Dossier” si tratta circa mezzo miliardo di euro a carico del Ministero dell’Interno e 2 miliardi di euro a carico del Ministero della Giustizia. Servono più risorse sia per l’inserimento dei quasi 5 milioni di immigrati in posizione regolare, sia per i richiedenti asilo (17.670 nel 2009, meno della metà rispetto ad altri grandi paesi europei), rendendo più incentivanti le vie legali dell’immigrazione legale e i percorsi di integrazione.
Il “Dossier Statistico Immigrazione” della Caritas e della Fondazione Migrantes da 20 anni si batte per diffondere questa cultura dell’altro: l’ampliamento di questa campagna di sensibilizzazione sarà una maniera molto concreta per preparare l’Italia del futuro.

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Il punto di vista degli immigrati

Dossier  Statistico 1mmigrazione 2010
Teatro Orione, 26 ottobre 2010
Radwan Khawatmi, Hirux International S.p.A. Milano 
Carissimi amici,
sono profondamente lieto del vostro invito e delle attenzioni che mi avete riservato e sono qui per testimoniare la solida amicizia che mi lega alla Caritas e alla Migrantes ed a tutti i loro operatori.
Desidero trasmettere la gratitudine di tutti i “nuovi italiani” per quello che avete dato al mondo dell’immigrazione e continuate a dare con generosità.

Storia personale

La mia storia di immigrante che ha avuto la fortuna di farcela e di emergere con tutte le difficoltà oggettive potrà essere un motivo di riflessione per milioni di immigranti che hanno scelto l’Italia come unica ed ultima spiaggia di speranza.
Ho finito i miei studi universitari e sono entrato in una grande impresa salendo la china un passo dopo l’altro fino al vertice. Erano necessarie marce in più rispetto ai miei colleghi per emergere, ma questa condizione non spaventi un immigrante che deve emergere da solo e senza l’aiuto di nessuno. Sono stato contagiato dai fratelli italiani che mi hanno insegnato la volontà di fondare un’azienda che oggi conta più di 500 lavoratori e fattura oltre 50 milioni di euro, lanciando nel mondo il vero made in Italy,  non solo lo slogan, ma fatti concreti.
Passando da un successo all’altro l’ultimo “trofeo”, se mi consentite il termine, è di aver portato in Italia il marchio Thomson, gemma di prestigio nella corona francese. La mia società viene osservata e rispettata da molti colossi multinazionali quale esempio di innovazione e laboriosità, e di questo sono orgoglioso grazie ad una squadra multietnica che collabora al mio fianco.

Situazione attuale dell’immigrazione

Ma non sono qui per raccontare la mia personale storia. Sono venuto per illustrarvi realmente la situazione del mondo dell’immigrazione raccontato dalla parte reale e non come la descrivono certe forze politiche. Vi illustrerò 3 aspetti fondamentali – quelli economici, sociali e politici senza mezzi termini ma con profonda onestà intellettuale.

Dal punto di vista economico gli immigrati regolari sono oltre 5 milioni a cui si aggiungono gli irregolari, arriviamo cosi’ a rappresentare circa il 10% della popolazione italiana. Vivono in tutta la penisola con concentrazione nel triangolo del nord dove vivono oltre il 60%. Cerco di sfatare un falso mito, quello che noi occupiamo i posti ai lavoratori italiani, noi abbiamo occupato posti abbandonati dai lavoratori italiani. Nelle concerie siamo l’80% della forza lavoro, nelle acciaierie quasi il 60%, nell’edilizia il 55%, nelle raccolte stagionali siamo la maggioranza assoluta. Le cascine abbandonate dai contadini in Emilia Romagna oggi sono fiorenti aziende agricole grazie ai lavoratori indiani, i carpentieri bergamaschi andati in pensione sono stati sostituiti da bravi albanesi. La maggioranza delle società di servizi sono di nuovi italiani; i lavori artigianali sono in forte fase di espansione dopo anni di abbandono.
I nostri lavoratori secondo le statistiche ufficiali Censis ed Istat hanno prodotto lo scorso
anno l’11% del Pil italiano pari a 130 milioni di euro ( circa 250 mila miliardi delle vecchie lire).
Se pensate che la Grecia e l’Irlanda erano vicini alla bancarotta per la metà di quello che abbiamo prodotto noi in Italia potete capire che immigrazione non è questione di lavavetri, o di qualche delinquente come lo dipingono certe forze politiche che ci offendono profondamente.

I nostri lavoratori versano i contributi mensili all’Inps pari a 750 milioni al mese (circa 8,5 miliardi all’anno) ricevendo in cambio poco in quanto l’età media dei nostri lavoratori è di circa 25/30 anni quindi non sono in età pensionabile.
Un dirigente dell’Inps ha dichiarato che grazie ai nostri contributi stiamo risanando i conti dell’Inps.
Negli ultimi anni abbiamo creato oltre 230 mila nuove imprese (il popolo delle partite Iva), abbiamo contratto oltre 150.000 mutui per l’acquisto di nuove case. In altre parole posso assicurarvi che stiamo diventando una colonna portante dell’economia italiana.
Durante l’ultima crisi abbiamo pagato un duro prezzo, i primi licenziamenti hanno toccato noi con gravissime conseguenze, grazie a rigide ed insensate normative che ha introdotto questo governo. Vi cito un esempio: Se un nostro lavoratore viene licenziato anche se risiede e lavora da 10-15 anni in Italia ha pochi mesi di tempo per trovare un altro lavoro, altrimenti scade il suo permesso di soggiorno e deve rientrare in patria distruggendo una famiglia, i suoi equilibri, e la sua nuova storia, vi assicuro che è un dramma di vaste dimensioni, ma per questo governo è un trofeo da esibire in quanto cercano di picchiare duro sulla parte sana del mondo dell’emigrazione lanciando statistiche di riduzione del numero degli immigranti.
E’ necessario valorizzare l’impegno del lavoro di milioni di nuovi italiani studiando nuove regole che corrispondano alla realtà. Ormai la legge Bossi – Fini non è più adeguata. La nostra intenzione è di stringere le fila incrementando il nostro impegno a fianco dei nostri fratelli lavoratori per dare il nostro contributo al superamento della crisi e poter veramente contare su di noi.
A tale proposito abbiamo lanciato al governo la proposta di creare un alto commissariato per l’immigrazione, cosi’ come è stato fatto in diversi paesi europei con il compito di gestire correttamente questo fenomeno dal punto di vista economico, sociale e politico, non si possono lasciare 5 milioni di esseri umani alla mercè di qualche partito politico che ha come primo obiettivo terrorizzare la popolazione italiana con lo slogan “ straniero immigrante = criminale”.

Gli aspetti sociali sono molteplici: pensate che 800.000 studenti nuovi italiani sono iscritti all’anno scolastico del 2010 – 2011 vivono e studiano con i loro compagni italiani. Guai alla politica che inquina questo mondo cosi’ pulito, cosi’ fragile con leggi a sfondo razziale  e di visione discriminatoria.
Vi ricordate le proposte di certi sindaci che vietavano le scuole ai figli dei non regolari? Cosa si può dire ad un bambino quando chiede a sua mamma: “perché non posso andare a scuola con i miei compagni?” La nostra umanità trema davanti a questi scenari.

Culto

La nostra attenzione dovrà concentrarsi sull’esercizio del culto garantito dalla costituzione italiana. Dobbiamo sottrarla a coloro che cercano di speculare da una parte e dall’altra. Io preferisco vedere i fedeli raccolti in preghiera in un luogo sicuro piuttosto che in fatiscenti garage irregolari o sui marciapiedi come accade a Milano. Dobbiamo emanare delle norme che regolano il ruolo degli Imam nelle moschee promuovendo iniziative per l’integrazione delle religioni nel rispetto della fede del paese che ci ospita. Anche su questo aspetto abbiamo finora avuto provocazioni da parte di certe forze politiche (vedi i maiali davanti alle moschee e le dichiarazioni esplosive di certi esponenti politici con lo scopo di permettere a certi estremisti di reagire di conseguenza come è accaduto tristemente in Inghilterra).
Ho donato al comune di Parma una copia rara del corano che risale al 1600, ed è stata esposta ultimamente con un versetto del corano dedicato alla verginità di Maria e la nascita di Cristo miracolo di Dio. Questo è l’Islam che vorremmo illustrarvi, basato sulla pace e fratellanza, e, sono sicuro che il dialogo interreligioso continuerà il suo cammino come ha dichiarato Sua Santità il Papa.

Esperienza personale

Vi racconto una mia personale esperienza dovendomi sposare molti anni fa dove non c’era alcuna moschea. Chiesi al Gran Mufti se potevo celebrare il mio matrimonio in Chiesa, la sua fu una secca risposta: “ è una domanda da fare? Certo che si, la Chiesa è la casa di dio”. Il vescovo della mia città celebrò il mio matrimonio in un clima di grande commozione con le lacrime.
Questa è la religione cristiana che rispettiamo e davanti ad essa ci inginocchiamo con profondo rispetto e con essa intendiamo proseguire un lungo cammino di fede in Dio Cristo e Mosè. Nessuna torbida forza ci dividerà, saremo capaci di isolare l’estremismo di coloro che cercano di dividere la nostra strada.

Diritto voto

Infine vorrei parlare degli aspetti politici ed anche qui mi chiedo: quando un immigrato regolare lavora,  versa i contributi e paga le tasse, rispetta la legge e la costituzione, manda i suoi figli a scuola e parla italiano, avendo adempiuto a tutti i suoi doveri non pensate che abbia qualche diritto?
Uno di essi è il diritto al voto amministrativo per cui il nostro movimento è impegnato da oltre 10 anni. L’Italia ha recepito una direttiva europea in tal senso e fu il primo firmatario di questa legge ma quando è arrivata in Italia, apriti cielo, iniziarono i problemi, e certe forze politiche arrivarono a minacciare il Presidente del Consiglio di uscire dalla coalizione governativa aprendo la crisi.
Nell’ultimo congresso del mio movimento a Parma, il Presidente del Consiglio mi promise solennemente, davanti a migliaia di partecipanti, che avrebbe fatto tutto il possibile per approvare tale proposta, peccato che i risultati  furono deludenti, anzi il Presidente iniziò un atteggiamento molto negativo ed in certi casi anche offensivo.
Noi ricordiamo le sue affermazioni circa la superiorità della sua civiltà rispetto alla nostra e l’infelice frase” “vedo molte facce di colore nella mia città di Milano e mi disturba parecchio”, per finire con frecciate velenose al mondo dell’immigrazione.
Noi comprendiamo le difficoltà del Presidente e non accettiamo che sia ostaggio di un partito politico per la questione emigrazione, noi gli tendiamo una mano sincera quali cittadini esemplari che hanno dimostrato l’attaccamento all’Italia ma desideriamo essere riconosciuti come cittadini e non più offesi.
Il nostro mondo è deluso, umiliato e demoralizzato; abbiamo accolto la sfida dell’integrazione e la stiamo portando a termine con successo, ma l’integrazione è un processo irreversibile che si fa da entrambe le parti. Oggi nel parlamento giace la proposta del voto agli emigranti dove essa ha  una
maggioranza qualificata, ma questo governo sta facendo di tutto per non metterla in discussione.
Non so cosa temano, e perché sono preoccupati per un esercizio democratico quale è il diritto al voto dei cittadini residenti, cosi’ come accade già in Germania, in Francia ed in altri paesi europei.
Se passa questa legge avremo oltre 2 milioni di nuovi voti, e certamente saranno determinanti nella scelta di diversi consigli comunali e provinciali. Noi siamo grati al Presidente della Camera On. Gianfranco Fini per il suo sostegno al nostro diritto al voto.
Dateci fiducia e vi dimostreremo che saremo meritevoli ed all’altezza di essi, noi proseguiremo il nostro cammino al vostro fianco con lealtà, fedeli compagni di un lungo viaggio.
Dio benedica questo paese e la sua comunità. Viva l’Italia.

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Il punto di vista del mondo ecclesiale 

Dossier  Statistico 1mmigrazione 2010
Teatro Orione, 26 ottobre 2010
Mons. Guerino Di Tora, Vescovo ausiliare della diocesi di Roma,
e Presidente della Commissione Migrazioni della Conferenza Episcopale del Lazio


L’immigrazione, una sollecitazione per tutti

Svolgo queste considerazioni come vescovo cattolico con compiti specifici nel settore delle migrazioni nell’area romano-laziale, quella a più alta concentrazione di immigrati. Sul fenomeno migratorio proporrò l’autenticità del messaggio della chiesa, che per i cattolici è vincolante ma che spero susciti non solo la loro adesione.
Perciò, mi rivolgo anche ai credenti di altre religioni, tra i quali molti, in maniera positiva e apprezzabile, intervengono sui temi della convivenza sociale. Per noi essi sono dei fratelli, in forza della condivisione del riferimento a Dio, e non dei competitori e tanto meno dei nemici.
E, infine, mi indirizzo a tutte le persone di buona volontà che, seppure con motivazioni laiche, condividono i valori della solidarietà umana, una base solida sulla quale radicare la comune collaborazione.
Commentando da un punto di vista ecclesiale i dati di questo nuovo rapporto sull’immigrazione, e specialmente lo slogan che ne racchiude il messaggio (“Per una cultura dell’altro”), voglio ribadire che l’immigrazione è una realtà che ci interpella e ci sollecita a una presa in considerazione che vada nell’ottica del bene comune, superando la superficialità e i calcoli interessati, personali o di altro tipo.
La mia riflessione si articola in tre punti per i quali ho attinto abbondantemente ai dati del nuovo “Dossier Statistico Immigrazione”:
– primo punto: l’attenzione all’immigrazione è dovuta per coerenza storica
– secondo punto: la società multiculturale è chiamata a diventare una società interculturale;
– terzo punto: bisogna aggiornare l’agenda degli impegni pubblici e dei comportamenti
personali.
Cercherò di parlare con semplicità ed estrema chiarezza, riprendendo diversi spunti offerti dai relatori che mi hanno preceduto, e chiuderò in maniera molto concreta.

L’attenzione all’immigrazione è dovuta per coerenza storica.

Sono consapevole che l’immigrazione, alla pari di altri fenomeni sociali, comporta innumerevoli problemi, anche di difficile soluzione, che perciò non vanno banalizzati. Gli operatori pastorali lo sanno bene. La Chiesa ha formulato i suoi insegnamenti non a tavolino e per sentito dire, bensì raccogliendo le sollecitazioni di migliaia di persone che quotidianamente, e non da oggi, sono impegnati sul campo.
La Fondazione Migrantes ci ricorda che il magistero della chiesa cattolica è maturato tenendo conto di più di un secolo e mezzo di assistenza agli emigrati italiani a partire dall’unità d’Italia. Sacerdoti, suore e laici impegnati nelle missioni cattoliche e nelle chiese locali si sono prodigati per assistere una moltitudine di persone, costrette all’esodo in condizioni veramente penose, e ancora oggi continuano farlo a beneficio dei quattro milioni di cittadini italiani che vivono all’estero.
La Caritas, a sua volta, tramite i centri di ascolto è a conoscenza dei bisogni delle persone più sfavorite e si fa carico di promuovere iniziative e strutture per rispondere a queste necessità ma specialmente, cosa ben più importante, diffonde l’idea della solidarietà perché il senso della vita non consiste nel cavarsela da soli, dimenticando di aiutare chi è più debole, in momentanea difficoltà o sfavorito per il fatto di trovarsi in un paese che non è il suo.
Non si può prescindere dalla necessità di chi ci sta vicino. Tutti ci dobbiamo attenere a questa consegna in un contesto sociale che, a dire il vero, diventa sempre meno sensibile a questo richiamo, ma specialmente lo devono fare i cristiani, memori dell’insegnamento del Vangelo, assolutamente chiaro su questo punto.
Partendo da questi presupposti, veniamo ora all’immigrazione. Nel 1990, anno della prima conferenza nazionale dell’immigrazione, mons. Silvano Ridolfi, allora direttore dell’Ucei (così allora si chiamava la Fondazione Migrantes), intervenendo alla prima conferenza nazionale dell’immigrazione a nome delle associazioni che si occupavano dei connazionali all’estero, faceva questa affermazione: “Se abbiamo chiesto per gli italiani giustizia e rispetto, altrettanto dobbiamo fare per gli immigrati nel nostro paese”.
Questo ventesimo anniversario ci ricorda che, sempre nel 1990, mons. Luigi Di Liegro, direttore della Caritas diocesana di Roma, seguendo un disegno lungimirante dava l’avvio alla pubblicazione del “Dossier Statistico Immigrazione”. Da allora ad oggi abbiamo avuto a disposizione una preziosa fonte conoscitiva, dalla quale sono derivati stimoli a operare meglio e, specialmente, con maggiore prossimità agli immigrati. Questo grande sacerdote era un convinto sostenitore della convivenza rispettosa dei diversi e dei più bisognosi, dalla quale dipende il livello qualitativo della nostra società.

La società multiculturale deve diventare una società interculturale
Quasi cinque milioni di presenze regolari sollecitano prioritariamente la nostra attenzione, senza dover trovare la scappatoia di parlare, sempre e comunque, degli irregolari e di dimenticare il dovere d’accoglienza nei confronti dei richiedenti asilo. La presenza regolare e ben visibile e ci colloca tra i primi paesi di immigrazione in Europa, subito dopo la Germania. Il ritmo d’aumento è stato sostenuto anche in questi anni di crisi. Le previsioni lasciano intendere che l’Italia, a metà secolo, potrà collocarsi al vertice europeo per numero per numero di immigrati.
Questi sono, realisticamente, gli scenari che si prefigurano. Tuttavia, seppure con diverse motivazioni, sono forti le resistenze a prendere coscienza che l’Italia è diventata una società multiculturale, quasi che la stessa sia per definizione ingovernabile e non possa diventare una società interculturale.
Ritengo che, in prevalenza, le resistenze siano dovute al timore che le differenze culturali, di cui gli immigrati sono portatori, possano radicarsi come un cune di estraneità, senza accordarsi con la cultura che le accoglie. Questo è il vecchio “modello di integrazione multiculturale”, del quale si continuano a vedere gli strascichi, ma che possiamo ritenere superato, sia concettualmente che nella sua concreta attuazione. Ma non è questa l’unica via possibile. Possiamo fare alcune precisazioni al riguardo, ispirandoci a mons. Luigi Di Liegro che oggi commemoriamo e che denominò il suo programma di intervento “Forum per l’intercultura”. Le culture si devono incontrare: multicultura è solo un dato di fatto, mentre intercultura è una strategia imperniata sul confronto, sul dialogo e sulla mediazione.
Se così stanno le cose, la società multiculturale non comporta per noi italiani la rinuncia alle nostre tradizioni. Abbiamo una storia, una lingua, una cultura, un orientamento costituzionale, un passato religioso. Secondo l’orientamento della chiesa, i nuovi venuti hanno diritto a essere accolti ma anche il dovere di rispettare il paese che li accoglie.
L’apertura alle altre culture non comporta la rinuncia alla giustizia penale, lasciando che gli immigrati infrangano le nostre leggi. Nessuna persona di buon senso può accettare un’impostazione simile. Devianza, tanto nel caso degli italiani che in quello degli immigrati, significa scostamento dalla strada maestra. Servono vigilanza e costanza per evitare le degenerazioni, ma, serve il buon senso per non equiparare immigrazione e delinquenza. Anche quest’ultimo “Dossier” si è adoperato, con i dati, per sconfessare questa equazione, che alimenta un’aria di sospetto e pregiudica la convivenza.
La società multiculturale neppure comporta la rinuncia alla nostra religione, anche se al riguardo si dicono le cose più inesatte. La chiesa cattolica rimane attaccata al messaggio cristiano, cercando di testimoniarlo e di proporlo, senza per questo trascurare il rispetto dei fedeli di altre religioni, come anche il rispetto dei cristiani che vivono all’estero. Il fenomeno migratorio può essere un’occasione provvidenziale a dimensione planetaria per diffondere una impostazione di
tolleranza e di collaborazione mentre – mi sia consentito di dirlo – non mi sembra che il compito principale, in questo contesto, sia l’eliminazione del crocifisso dalle pareti delle scuole…
Superati gli equivoci sui concetti di multi cultura e di intercultura, possiamo riconoscere che nell’immigrazione sono numerosi gli aspetti positivi. In particolare, constatiamo che a seguito di questi flussi milioni di persone hanno potuto conoscere e amare il nostro paese, imparare la lingua, apprezzare la popolazione, contribuire al benessere del paese, parlare bene di noi nel mondo e, naturalmente, ricavarne loro stessi dei benefici.
Ogni immigrato è un moltiplicatore della realtà italiana, una garanzia per la sua sopravvivenza e non una minaccia di estinzione. Da soli non siamo più sufficienti e per costruire la società del futuro abbiamo bisogno anche  degli immigrati, da valorizzare nelle loro differenze pur sempre indirizzate verso gli obiettivi comuni in una prospettiva di interazione e di integrazione.
Solo inquadrando da vicino gli immigrati si possono scoprire questi aspetti positivi. Il “Dossier Statistico Immigrazione” della Caritas e della Migrantes lo fa da 20 anni con i numeri, ma non è questa l’unica maniera. Qui presenti sono molti mediatori culturali, che al tempo in cui nasceva il “Dossier”, insieme a mons. Luigi Di Liegro diedero vita al “Forum dell’intercultura” e all’interno di quel progetto, che personalmente ho seguito per un decennio, continuano a valorizzare le differenze degli immigrati per il bene della società italiana.

Bisogna aggiornare l’agenda degli impegni pubblici e dei comportamenti personali
All’inizio degli anni ’90, al tempo delle prime edizioni del “Dossier”, il messaggio che derivava dalla lettura dei dati statistici invitava al ridimensionamento del fenomeno a fronte della paura di una invasione.
A 20 anni di distanza il messaggio è diverso. L’Italia è già diventata un paese di immigrazione e bisogna pervenire a una conoscenza meno superficiale e acquisire una sensibilità più adatta al nuovo contesto. Dalla dottrina sociale della Chiesa, della quale ho esposto alcuni punti essenziali, non derivano meccanicamente le scelte tecniche di politica migratoria. Questo compito spetta alla responsabilità degli amministratori, dei parlamentari, degli uomini di governo, a loro volta tenuti ad ascoltare le esigenze della società.
Mi preme però sottolineare che non può essere accettata una sorta di doppia verità, per cui sul piano ideale si dicono delle cose e sul piano pratico se ne fanno delle altre. Qualcosa di simile avviene effettivamente. Anche se usiamo tante belle parole per giustificarci, onestamente dobbiamo riconoscere che ci può essere in noi un fondo di razzismo. Voglio porre alcuni interrogativi che ci aiutino a riflettere.
Perché trattiamo peggio le persone che hanno un diverso colore della pelle? Perché siamo diffidenti nei confronti di chi professa, con onestà e apertura a quanti professano un’altra religione? Perché siamo portati a considerare di dignità inferiore chi viene dai paesi più poveri? Perché non riteniamo i nuovi venuti meritevoli di ottenere senza discriminazioni le misure di sostegno sociale? Perché, pur a fronte di un insediamento stabile, non concediamo spazi di partecipazione effettiva e facilitiamo l’accesso alla cittadinanza a chi è nato in Italia? Perché riteniamo che nei confronti dei rom è sempre giustificato il nostro atteggiamento negativo, mentre quanto è avvenuto a Milano e in altri contesti ci invitano a essere più prudenti?

L’immigrazione comporta anche dei problemi, come ho riconosciuto, ma fondamentalmente è un’opportunità e può aiutarci a riappropriarci di quella dalla voglia di riuscire, che nel passato è stata la principale risorsa del paese: con gli immigrati l’Italia potrà conoscere una nuova fase dibenessere, e questa avrà un riverbero anche sui paesi di origine.
Le difficoltà che oggi incontriamo si superano attraverso le vie virtuose della tolleranza, della mutua accettazione e della collaborazione. Non basta fermarsi al contrasto della irregolarità e agli aspetti penali, ma bisogna fare di più per mettere l’immigrazione nell’agenda del paese con l’obiettivo prioritario di una vera integrazione, sostenuta con mezzi adeguati.

Un riferimento personale e un invito a tutti

Voglio chiudere con due annotazioni, una personale e l’altra dottrinale. Sono stato il successore di mons. Luigi Di Liegro e come direttore della Caritas diocesana di Roma ho seguito il “Dossier Statistico Immigrazione” dal mese di ottobre 1997 fino al 2008. In questo periodo il “Dossier” è diventato un sussidio culturale ufficiale di Caritas Italiana e della Fondazione Migrantes, i due organismi pastorali della Conferenza Episcopale Italiana che hanno competenze specifiche nel settore delle migrazioni, nella cui sede i carissimi redattori si sono trasferiti dopo essere stati per quasi 15 anni nel palazzo del Vicariato di Roma.
La dottrina sociale della Chiesa magistralmente proposta da Papa Benedetto XVI, i messaggi che la Santa Sede predispone per le Giornata Mondiale delle Migrazioni che si svolge nel mese di gennaio di ogni anno, il luminoso esempio di mons. Di Liegro, l’impegno dei redattori del “Dossier”, la lezione dei dati statistici: questi molteplici stimoli invitano a considerare l’immigrazione una risorsa aggiuntiva e a comportarsi di conseguenza.
L’immigrazione è un segno dei tempi, ed è anche tempo di trarne delle conseguenze concrete. A opporsi all’immigrazione si possono anche trovare delle convenienze, ma non si fa il bene dell’Italia, per il cui futuro tutti, italiani e immigrati, in questo 150° anniversario dell’unità vogliamo collaborare.
Grazie.

Fonte: http://www.caritasitaliana.it/

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