India, Pakistan e l’attivismo "afgano" degli Stati Uniti


Emanuele Giordana - Lettera22


Perché gli Usa si fanno in quattro per evitare che Islamabad e Delhi precipitino in un nuovo rovinoso conflitto? La risposta sta a Kabul.


CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+
India, Pakistan e l'attivismo "afgano" degli Stati Uniti

Quando sei anni fa, dopo l'attacco al parlamento indiano messo in atto nel 2001 dal gruppo terrorista kashmiro Lashkar-e-Toiba, India e Pakistan furono sul punto di entrare in un nuovo conflitto, l'azione mediatrice della comunità internazionale si fece sentire con una certa debolezza. Se il contenzioso alla fine si risolse in nulla, ciò fu dovuto al pragmatismo e al senso della realtà delle leadership indiana e pachistana che, a una guerra dagli esiti incerti e con l'aggravante del possibile uso dell'arma nucleare, preferirono la via del dialogo, per quanto compromesso da quell'azione eclatante, messa in opera dallo stesso gruppo adesso accusato degli attentati a catena di Mumbai.
Ora però le cose stanno diversamente.
Il viaggio in India e Pakistan di Condoleezza Rice, che pur essendo il ministro degli esteri uscente dell'Amministrazione Bush rappresenta anche le preoccupazioni e i timori del neo eletto Barak Obama, sta a dimostrare con quanta apprensione gli Stati Uniti seguano le vicende del subcontinente indiano e spiegano perché Washington si stia spendendo tanto in quell'area. Il suo viaggio infatti, accompagnato da una copertura mediatica sui fatti di Bombai che racconta tutta l'attenzione dell'America a quella fetta di mondo, è stato organizzato simultaneamente alla visita in Pakistan del capo di stato maggiore americano Mike Mullen, il "soldato" più alto in grado dell'apparato militare americano. Che non ha mancato, mentre Washington faceva di tutto per chiedere agli indiani di reagire con la testa prima che col cuore, di fare pressione sul governo di Islamabad per un maggior impegno nella lotta contro i terroristi che albergano nel Paese dei puri.
A che pro? Solo per evitare un conflitto tra due potenze regionali?
Washington ha in Asia una preoccupazione che si chiama Afghanistan. Come le indiscrezioni e le prime dichiarazioni alla stampa hanno già raccontato, il paese guidato da Karzai è una delle priorità del nuovo presidente e forse la prima nell'agenda di politica estera dell'Amministrazione. Obama ha compreso che, se l'Iraq è stato un errore, un insuccesso in Afghanistan – militare e politico – sarebbe una sconfitta dell'intera strategia planetaria degli Stati Uniti da cui sarebbe davvero difficile riprendersi. Per questo Obama ha fatto un appello al dialogo con Teheran, ribaltando la politica di Bush, e ha deciso di prendere per le corna il diavolo afgano inviando più truppe nel paese e studiando un piano per armare le milizie locali (decisioni su cui per altro è in corso un ampio dibattito). Ma ha anche progettato di aggredire il mostro con un approccio regionale che tenga conto di una guerra interna in cui si agitano diversi attori internazionali: tra cui il Pakistan e l'India.
Per l'India, che ha aperto in Afghanistan diversi consolati e pompato milioni di dollari in cooperazione, il rapporto con l'Afghanistan è un modo per contenere le mire pachistane che, in onore alla teoria militare della "profondità strategica", considerano quelle terre la retrovia necessaria in caso di aggressione indiana.
Washington sa che il Pakistan in particolare è "la chiave" di ogni possibile successo o insuccesso, come ha scritto in un editoriale il Washington Post, e dunque è fondamentale uno stretto rapporto con Islamabad, nelle cui aree di confine con l'Afghanistan si addestrano talebani e qaedisti, miliziani arabi e jihadisti di ogni bandiera. Un conflitto con l'India "distoglierebbe" Islamabad dalla sua frontiera Ovest e questo lo si è ben capito quando, qualche giorno fa – mentre i toni erano molto accessi – il ministro ella Difesa pachistano ha minacciato di spostare i 100mila uomini che Islamabad impiega sui confini occidentali verso quelli orientali: sulla frontiera cioè con l'India. Se ciò avvenisse, come Washington sa bene, sarebbero davvero servite a qualcosa le stragi di Mumbai e i terroristi avrebbero ottenuto più di quanto avrebbero potuto sperare.
Una guerra tra India e Pakistan dunque, non sarebbe solo una disgrazia per questi due paesi e un conflitto gravido di conseguenze imprevedibili per la regione trattandosi di due potenze atomiche, ma sarebbe l'indiretta causa di un insuccesso sul fronte afgano, oggi il più importante per chiunque sieda sulla poltrona di Washington. Ecco perché l'America si sta facendo in quattro. Anche l'Europa si sta muovendo, seppur più in sordina. Forse potrebbe fare meglio perché questo è davvero il momento di dare una mano agli Stati Uniti in una mediazione difficile ma fondamentale. Che allontani lo spettro della guerra e impedisca ai jihadisti di sentirsi al riparo di un conflitto tra le due potenze nucleari dell'Asia meridionale.

Fonte: Lettera22

6 dicembre 2008

CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+

Lascia un commento