In Israele torna la lotta di classe


Michele Giorgio - Near Neast News Agency


La più grade manifestazione sociale della storia di Israele. Decine di migliaia di persone ieri sera sono scese in strada a Gerusalemme, Tel Aviv e altre città. Chiedono un’altra politica economica, parlano di giustizia sociale.


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In Israele torna la lotta di classe

«I risultati della nostra lotta li vedremo solo tra qualche mese, forse nei prossimi due anni. Ma non importa, perché ora è cambiato qualcosa di importante nella testa della gente. Gli israeliani ora non parlano solo di sicurezza come vorrebbe il governo ma sempre di più di economia, ricchezza, povertà, di classi sociali. E' il nostro primo importante successo». Urla per farsi sentire Aviha Cohen, studente 24enne, rispondendo alle nostre domande tra la folla. E' uno delle centinaia di migliaia di israeliani che ieri hanno inondato Kikar Hamedina, Marmorek, Ibn Gvirol, Jabotinsky e Kikar Habima a Tel Aviv, il centro di Gerusalemme Ovest, Haifa, Eilat e Kiryat Shmona e di un'altra dozzina di città.
Giovani, anziani, attivisti politici, pensionati, famiglie intere, nonni e nipoti per la manifestazione sociale più imponente della storia di Israele. Una massa enorme che ha indossato le magliette con la casetta simbolo della lotta contro il caro alloggi, e che ha ballato, cantato e scandito slogan per ore. Oggi questo movimento reclama case e affitti a basso costo, lavoro, un costo della vita sotto controllo, aumenti salariali ma un giorno, è questo l'auspicio, potrebbe anche chiedere una pace giusta per i palestinesi e uno Stato per tutti, senza più discriminazioni tra ebrei e arabi. Un sogno? Al momento sì, osservando lo sconfortante panorama politico israeliano che sterza sempre di più a destra. «Ma non impossibile» ci dice Avinoam Edry, 22 anni, «se sapremo lavorare bene nelle strade del paese ma anche all'interno dei partiti politici per cambiare i programmi dei nostri leader politici». Previsioni che, con parole e toni diversi, hanno ripetuto i tanti invitati a parlare a Tel Aviv: come Motti Ashkenazi, un veterano che avviò le proteste dopo la guerra del Kippur, o Vicki Knafo, leader della marcia delle madri single nel 2003, la dottoressa Shiri Tenenbaum in rappresentanza dei medici di famiglia in lotta per salvare la sanità pubblica e il romanziere Eshkol Nevo.
Il successo della manifestazione, ben oltre i numeri ufficiali, non sorprende. Al Boulevard Rotschild di Tel Aviv, simbolo della protesta, e in altri attendamenti in questi ultimi giorni sono stati moltiplicati gli sforzi organizzativi. E sono tornati in primo piano i due volti più noti della contestazione: la regista di corti e video musicali Daphni Leef, 25 anni, e Itzhik Shmuli, 31 anni, dell'Unione degli studenti universitari. Leef è l'anima di sinistra degli «indignados». Shmuli invece è un centrista disponibile a intavolare la trattativa con il governo Netanyahu, nonostante la piazza continui ad esprimere profondo scetticismo verso le scelte del premier che sino a oggi ha deciso ben poco su caro alloggi, istruzione e servizi.
Leef, nata e cresciuta a Gerusalemme ma da anni residente a Tel Aviv, nel 2002 firmò una lettera pubblica con altre decine di studenti israeliani «refusnik» del servizio di leva nei Territori palestinesi sotto occupazione. «Lo scorso giugno – racconta Leef – sono stata costretta a lasciare l'appartamento nel quale vivevo da lungo tempo e cercardone un altro ho scoperto con sgomento il costo degli affitti negli ultimi cinque anni è raddoppiato in tutta Tel Aviv». La giovane regista perciò fu una delle prime persone a montare una tenda al Boulevard Rotschild (dove però non ha sempre dormito), a due passi dal teatro Habima, e cominciò ad invitare altri israeliani «indignati» a fare altrettanto.
La destra è stata rapida nell'accusare Leef di avere in realtà una agenda politica e non economica, in poche parole di voler far cadere il governo Netanyahu. «Siamo stati accusati di tutto – ha replicato la giovane leader in una intervista – hanno detto che siamo ragazzi viziati e estremisti, ma i fatti dimostrano che la nostra protesta è la protesta di tutti gli israeliani».
«Im Tirtzu», un'organizzazione studentesca di estrema destra, ha proclamato guerra aperta alla regista, accusandola di essere una collaboratrice del «New Israel Fund», fondazione di sinistra che finanzia ed assiste centri per i diritti umani, associazioni ed Ong ebraiche ed arabe che lavorano per la giustizia sociale e per la fine dell'occupazione dei Territori palestinesi. E anche di aver dato il via libera ad organizzazioni non sioniste come «Anarchici contro il muro», e di accamparsi al Boulevard Rotschild allo scopo di allargare il dibattito alla questione palestinese.
Ben diverso è Itzhik Shmuli, moderato leader degli studenti universitari che fa di tutto per frenare la caratterizzazione politica della protesta. Nelle interviste Shmuli è abile ad aggirare le domande su argomenti spinosi come la sperequazione delle risorse del bilancio statale in favore di Difesa, coloni nei Territori occupati e degli ultrareligiosi. Diversi per estrazione e carattere, tra i due non sono mancati gli attriti in queste settimane. Leef e Shmuli tuttavia in questi ultimi giorni sono apparsi sempre insieme davanti alle telecamere, per manifestare piena unità d'intenti e rilanciare la piattaforma sociale. La linea di Shmuli in ogni caso è quella più seguita dagli «indignados». «Prima o poi il movimento dovrà abbandonare la sua pretesa di "apoliticità" – ha scritto qualche giorno fa l'intellettuale di sinistra Michael Warshawsky – destra e sinistra sono direzioni opposte, una diretta verso maggiori povertà e discriminazioni sociali, l'altra verso una migliore distribuzione della ricchezza».

Fonte: Il Manifesto

05 settembre 2011

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