Giallo Dudallah


Emanuele Giordana - Lettera22


Cosa c’è dietro la cattura di Mansoor, fratello del sequestratore di Daniele Mastrogiacomo…


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Giallo Dudallah

Dietro all'arresto e al ferimento di mullah Mansoor Dadullah non c'è soltanto una storia di ordinari operativi militari e di intelligence. Anzi. Forse per il fratello di mullah Dadullah, l'uomo che gli italiani hanno imparato a conoscere dopo il sequestro di Daniele Mastrogiacomo e che è stato ucciso l'anno scorso, c'è un ennesimo imbroglio, forse una trappola. Una spiata che potrebbe essere molto simile a quella che, secondo lo stesso Mansoor, colpì alle spalle suo fratello che, a suoi dire, sarebbe poi stato consegnato alla Nato per nascondere una faida interna ai talebani di mullah Omar.
La cronaca è quella di una normale operazione delle forze di sicurezza pachistane. Il villaggio è Gawal, una cinquantina di chilometri dalla frontiera con l'Afghanistan, nel distretto di Pishin, Belucistan settentrionale a una trentina di chilometri da Quetta, la capitale della provincia. Non lontano dalla strada principale che congiunge Quetta a Chaman, il posto di frontiera attraversato il quale si arriva facilmente a Kandahar e nell'Helmand, la zona operativa affidata a Mansoor Dadullah. Mansoor e altri sette guerriglieri, tra cui ci sarebbe anche un altro fratello della famiglia Dadullah, vengono circondati in un'abitazione segnalata dell'intelligence pachistana. Il capo della polizia del Belucistan Suad Gohar conferma che i talebani hanno reagito e alcuni di loro, tra cui Mansoor, sono rimasti feriti. Uno di loro viene ucciso. E' mattina presto. All'inizio sembra che sia morto anche lui ma poi i pachistani smentiscono. Ma c'è anche un 'altra versione fornita dall'esercito. Mansoor era con altri cinque e si trovava sul confine. Cercava di attraversarlo. Gli avrebbero sparato i ranger del Frontier Corps Baluchistan…
Ma il mistero non è solo in questo incrociarsi di dichiarazioni che sembrano solo una battaglia interna per attribuirsi il merito del pericolo pubblico locale. La verità è ben nascosta. Non di meno, un funzionario afgano spiffera ai media pachistani che a Kabul avrebbero conferma che la cattura di Mansoor ha a che vedere con una guerra interna ai talebani. Ferri corti che risalgono all'uscita dal carcere di Mansoor e altri in cambio di Mastrogiacomo. Com'è noto la cosa sollevò un putiferio soprattutto tra gli americani che accusarono l'Italia di aver fatto pressioni indebite su Karzai e di averlo fatto cedere al ricatto talebano. Ma evidentemente la mossa non era piaciuta nemmeno a mullah Omar. Oppure c'è qualcos'altro: mullah Dadullah è un uomo già potente, il comandante in capo delle operazioni nel Sud. L'affaire Mastrogiacomo lo rende una star che riesce a dettare legge a Karzai. Anche da solo. Troppo scomodo. A suo tempo si dice anche che i qaedisti non lo amino troppo proprio perché, contrariamente a loro, Dadullah è un uomo che si batte sul terreno. Che preferisce l'Ak47 alle bombe a strappo sotto la camicia dei martiri. Fatto sta che a maggio la Nato lo uccide. Il suo corpo viene mostrato in ospedale trafitto dai proiettili. E lì nasce il primo giallo. Qualcuno fa notare che la Nato non sarebbe mai in grado di beccare un capo talebano uccidendolo a pallettoni. Ben che vada gli bombardano la casa o l'intero villaggio. A suo tempo si disse anche che Mastrogiacomo venne seguito dai sistemi di informazione britannici proprio per localizzare qualche capo talebano e poi bombardarlo. Forse fu il motivo che portò alla sua cattura. Ma adesso Dadullah è li su un lettino con tre buchi nel corpo massiccio. Che Guevara locale. Altro che Nato, dicono i maliziosi, quelli sono i segni di un'imboscata. Di un tradimento interno. Regalo avvelenato al nemico per nascondere la faida tra i turbanti.
Mansoor sembra prendere il suo posto ma poi a fine anno Mullah Omar gli dà il ben servito. Avrebbe “disobbedito” agli ordini. Quali non si sa. E' il 30 dicembre. Mansoor nega di essere in rotta con Omar e parla di cospirazione. Qualcuno ce l'ha con lui. E accusa direttamente alcuni capi talebani che avrebbero ucciso il fratello in un'imboscata. Un complotto insomma. Ma il portavoce di Omar, Zabiullah Mujahid, smentisce. L'ordine di Omar c'è eccome. Misteri talebani.
Adesso girano persino speculazioni che legano la cattura di Mansoor agli strani movimenti sotterranei che legherebbero la diplomazia coperta dei servizi britannici all'arruolamento di qualche talebano in cattivi rapporti con Omar. Mansoor era tra questi?
L'unica cosa chiara che emerge dal giallo è che i talebani, una galassia variegata e con diversi attori e ispiratori, non sono più la massa uniforme che negli anni Novanta conquistò l'Afghanistan. Litigano con arabi e qaedisti tant'è che mullah Omar avrebbe appena detto in una delle sue rare dichiarazioni che i talebani ce l'hanno con la Nato ma non sono una minaccia per i paesi da cui provengono i soldati. Una frase che smentisce i vertici Nato ma che sembra anche prendere le distanze da azioni tipo quella all'Hotel Serena il cui target, per la prima volta, furono soprattutto i civili. Qualcuno ha fatto allora il nome del figlio di Haqqani, il braccio destro di Omar da cui però lo differenziano alcune posizioni ideologiche e operative. E' più affine ai qaedisti e all'utilizzo degli uomini bomba. Mullah Omar sembra invece più orientato a una politica da esercito di liberazione e c'è chi giura che sotto sotto starebbe trattando con Karzai. Mansoor rientra in qualche modo in questa strategia sotterranea. Dove è facile morire anche per mano dei propri vecchi amici.

Fonte: Lettera22 e il Manifesto 

12 febbraio 2008 

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