Il genocidio del popolo migrante ai tempi del Covid19


il Manifesto


Sterminio e sparizioni di massa del popolo migrante sulle frontiere degli stati occidentali in una crescente omertà Covid-19. In un criminale connubio si sommano tutte le “assenze”: della coscienza, dei fallimenti del diritto nazionale, regionale e internazionale.


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sbarchi-migranti

 

«La crescente miseria dei rifugiati rappresenta il prodotto finale della crisi mondiale del capitalismo, che giunto al collasso sotto il peso delle proprie contraddizioni interne ed esterne, produce letteralmente una “umanità superflua”».(Tomasz Konicz*)

 

Esseri umani in fuga nell’oblio. Profughi scaraventati dall’emergenza Covid-19, pure con il suo peso di vittime, in un buco nero; da dove nemmeno i rari giornalisti rimasti a indagare non riescono fino in fondo a sottrarre, tanto è fitto il segreto che ormai circonda la questione migrante. Nemmeno gli attivisti che lavorano senza pausa,  riescono a ridare un nome, un’identità e una dignità a tutte le vittime ignote,  visto il complesso apparato di difesa dei confini. Come se la cosiddetta emergenza sanitaria strumentalizzata dagli Stati , avesse ulteriormente contribuito a legittimare la retorica della politica migratoria, di fatto necropolitica. In realtà, le tendenze mortifere sono chiare da anni, ma ormai in un passaggio all’atto, pianificato e organico, diventate : “crimini contro l’umanità” come illustrato sia nella sentenza di Palermo del Tribunale Permanente dei Popoli (2017),  sia nell’esposto inviato da avvocati internazionali alla Corte Penale Internazionale (2018),  rimasta silenziosa e complice degli Stati e autori europei (Commissione, Frontex, missioni militari…).

In questi tre ultimi mesi, tutte le reti di monitoraggio civile hanno riportato un incremento di partenze e decine di chiamate di soccorso suonate a vuoto. L’accelerazione dello schema operativo – omissioni di soccorso e respingimenti – quando non misteriosi attacchi, speronamenti, e minacce  a mare è ormai oliato e accelerato (Alarm-Phone). 

 

Denunciati da anni: respingimenti collettivi, omissioni di soccorso, sparizioni forzate, detenzioni e torture nei lager libici, attacchi e aggressioni a mare, flotte di pescherecci fantasmi manovrate per respingimenti  illegali (Avvenire e Alarm-Phone), si aggiungono  ora “porti chiusi”, esseri umani come  pacchi su “hotspot galleggianti”, il più al largo possibile dalle coste maltese e italiane, come se, con quel deleterio provvedimento simbolico e razzista del decreto italiano del 7 aprile sui “porti chiusi”, l’unico piano fosse trattenere il più lontano il “corpo degli altri”, impedendo di toccare la bianca banchina… Navi-prigioni e pontili di navi turistiche dove rendere “invisibili” i corpi e soprattutto le voci dei testimoni della tortura e dello sterminio in Libia e sui confini esternalizzati. Come se l’unico spazio ormai culturalmente assegnato a queste non-persone, fosse l’anomia o il non-spazio tra gli Stati. Un’ipotetico buco simbolico dove gettare gli indeserati delle periferie del capitale: quelli in movimento,   ridotti in un regime ormai di semi-apartheid istituzionale e culturale con  la Convenzione di Ginevra costantemente violata e  semplicemente archiviata di fatto.

Col terrore ossessivo della propria mortalità occidentale, vite “più vite degli altri”, hanno cancellato il diritto alla salute e alla vita degli “altri”.

 

In realtà, se il nostro sguardo – ma ormai il Covid-19 ha magicamente fatto sparire interi popoli e il loro destino – fosse capace di spostarsi un solo istante su quelle barche sovraccariche di centinaia profughi Rohingya, in maggioranza bambini e adolescenti, da più di due mesi in agonia alla deriva – prima nel golfo del Bengala, rifiutati dalla Malesia e poi alcuni costretti su isole deserte disabitate del Bangladesh (The Guardian) – coglierebbe forse l’unica stessa logica delle politiche migratorie al livello mondiale. Nel caso dei Rohingya, persino in fuga da un genocidio, sancito come “inequivocabile”  dal TPP (2017) e denunciato dalla comunità internazionale, vengono espulsi a mare come fossero mai esisti. (Unica stessa logica ferrea e letale al livello globale. L’annullamento di questi esseri umani).

Per non menzionare le isole-detenzione nel Nord dell’Australia. Ma senza attraversare mari cosi lontani, se lo sguardo si fermasse più vicino, nell’Egeo dove siriani, pachistani e afghani, approdati nelle isole greche – e quindi il territorio Ue- , sono reimbarcati di notte verso la Turchia da anonime ronde fasciste, polizie di porto e guardie costiere su zattere e persino tende galleggianti e deportate in mezzo all’Egeo dove rischiano di annegare (ultimo Agean Boat Report). Torturare deportare espellere, lungo tutti confini dal Balcani al muro del Messico. Se non addirittura: uccidere sulle frontiere.

Mentre nella faglia beante nel nostro Mediterraneo si spingono nelle fosse interi popoli scappati alle bombe, schiacciati a tenaglia dai nostri respingimenti, oltre che  dalle “nostre” torture delegate a guardie della costiera libica e aguzzini dei campi libici (e varie milizie innominabili),  la nostra  “civiltà” non è nemmeno più capace di ideare e adempiere al soccorso e all’evidenza: l’evacuazione umanitaria dei migranti dalla Libia, che anzi, ostacola con tutti i mezzi aerei, navi e droni militari.  Come chiamarla allora quella non civiltà se non genocidaria?

Il paradigma (se non fosse caso non isolato) è l’inumano weekend di Pasqua, quando varie imbarcazioni in pericolo sono state lasciate alla deriva nella zona europea di Ricerca e Soccorso (SAR), mentre tutti gli Stati di competenze hanno sorvegliato via aerea, anche Frontex, senza intervenire per soccorrere la barca in difficoltà con 51 persone a bordo. Diversi profughi dalla Libia sono stati lasciati morire di sete o annegare, in diretta e poi il resto dei sopravvissuti respinti a Tripoli in mezzo ai cadaveri dei loro compagni. Attesa agonizzante e tortura che non ha scaturita nessuna reazione politica.

Come chiamarla questa se non strage intenzionale di massa? 

Davanti ai tanti fatti, il giudizio morale – che non si può non dare –  deve essere il primo ed il più importante: sottolinearne  la indicibilità  e nello stesso tempo la intollerabilità. In realtà, il trattamento fatto ai profughi a livello mondiale, sembra la riproduzione su vasta scala della decisione presa a suo tempo dalla  dittatura argentina di far immaginare un ‘buco nero’, fatto di mistero, in cui scaraventare quelle ritenute vite “altre”. 

Ma quando è quel silenzio solo a parlare, ci vogliono anche le cifre e le parole degli esperti, esponiamo alcuni dati degli ultimi mesi:

Il portavoce dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR), si è dichiarato «profondamente preoccupato» per « le recenti segnalazioni circa la mancata assistenza e per i respingimenti coordinati di imbarcazioni dei migranti nel Mediterraneo centrale, che continua ad essere una delle rotte migratorie più letali al mondo». Nella nota alla stampa, l’Ohchr ha chiesto agli Stati «una moratoria su tutte le intercettazioni e ritorni in Libia».

Persino l’OIM, che si è dichiarata preoccupata dal fatto che siano “cresciuti i rischi di naufragi invisibili lontani dalla percezione della comunità internazionale”. “Stiamo assistendo a un aumento costante del numero di navi su quella rotta e l’assenza di operazioni di ricerca e salvataggio statali e guidate da ONG rende difficile sapere tutto ciò che sta accadendo in mare”, ha affermato Frank Laczko, direttore del Global Data Migration Data and Analysis Center di IOM. “La risposta a COVID-19 ha avuto un impatto decisivo sulla nostra capacità di raccogliere dati precisi.

Certo le rotte migratorie non si sono magicamente fermate in tempo di pandemia Covid-19; Anzi, secondo AFP, sulle rotte migratorie attraverso il deserto sub-sahariano, centinaia di persone continuano a tentare la pericolosa traversata del deserto.

Vincent Cochetel, inviato speciale dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), per il Mediterraneo centrale, ha detto che le partenze dalla costa libica erano quasi quadruplicate rispetto allo stesso periodo di un anno fa, con 6.629 tentativi di raggiungere l’Europa tra gennaio e la fine di aprile. “Che a mare ci siano o meno la presenza di navi di salvataggio, non ha alcuna influenza sulle partenze. Questo periodo di coronavirus l’ha ampiamente dimostrato” ha sottolineato Cochetel (Euractiv).

Al 30 Aprile, secondo UNHCR Libia, la guardia costiera libica aveva intercettato e respinto 1.126 migranti e rifugiati. 

Antonio Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite, con un dossier al Consiglio di Sicurezza segnala come dal 15 gennaio al 5 maggio 2020 siano stati intercettati in mare e respinti in Libia  3.115 «tra migranti e rifugiati». Ma circa «1400 sono detenuti nelle prigioni sotto il controllo del ministero dell’Interno» (11 centri di detenzione ufficiali). Altri vengono portati in strutture o centri di detenzione non ufficiali a cui la comunità umanitaria non ha accesso.

La risposta la accenna diplomaticamente l’OIM Libia in un aggiornamento del 8 maggio del tweet in cui riferiva del bombardamento del porto di Tripoli:  i 25 sopravvissuti “sono stati sbarcati la scorsa notte e portati in un centro di detenzione non sotto la responsabilità del Dipartimento per il contrasto all’immigrazione illegale (Dcim). L’OIM ha già segnalato sparizioni in questa struttura». Sparizioni forzate, quindi già note da anni, ma nemmeno indagate nei campi di detenzione libici.

E per dare un’idea delle cifre di cui parliamo arriva la notizia da IOM che dichiara che in un solo week-end del 23-24 maggio, la guardia costiera libica ha intercettato e respinto circa 400 persone, di cui 317 in una sola notte, dirette verso l’Europa nel Mediterraneao, ora rinchiusi in un centro di detenzione.

Parentesi di deontologia giornalistica: incollati alla cronaca, rari giornalisti fanno i nessi, ma la maggioranza è indisponibile a fare un lavoro di memoria e a dare visibilità alle vittime di eventi appena accaduti e già superati, che invece andrebbero letti nella loro continuità, ripetizione, e intenzionalità – sugli ultimi dieci anni almeno, per aver la vera immagine mostruosa del nostro continente.

Sarebbe cecità anch’essa intenzionale, continuare a rimuovere che quest’estate 2020 l’accelerazione del genocidio dei migranti nel Mediterraneo sia ad una svolta storica. La Libia e altri conflitti  si rovesciano nel mare, mentre l’Europa è letteralmente diventata  “scudo” armato. Sterminio e sparizioni di massa del popolo migrante sulle frontiere degli stati occidentali, in una crescente omertà Covid-19. In un criminale connubio dunque si sommano quindi tutte le “assenze”: della coscienza, dei fallimenti del diritto nazionale, regionale, internazionale, che rendono mute le alternative. 

Il Tribunale Permanente dei Popoli d’altronde aveva già avvertito, di nuovo, a marzo 2020**:

«La politica dell’Ue esprime e determina inevitabilmente anche i comportamenti e la cultura di fondo della società civile europea, al di là dei governi degli Stati membri. L’attuale acuta attenzione, più che giustificata e con tutte le sue contraddizioni, all’emergenza Covid-19 sta concorrendo, insieme alle logiche delle politiche economiche neoliberiste, a fare del “problema della migrazione” non già l’indicatore imprescindibile della capacità della nostra civiltà di essere umana, ma l’espressione manifesta di un’Europa che condanna allo ‘scarto’ e cancella tutti gli umani che non rientrano nelle logiche dei propri modelli di sviluppo.

L’impunità di questa cancellazione attribuisce al crimine di sistema l’eco di un “ongoing genocide” di cui l’umanità futura ci chiederà conto.»

* Tomasz Konicz, Nel mezzo di una guerra civile mondiale, Konkret, 08/2014. 

** Tribunale Permanente dei Popoli, Dichiarazione del 23 marzo 2020, “I crimini contro l’umanità lungo le rotte dell’Egeo e dei Balcani. Le responsabilità della Turchia, Grecia e Unione Europea”.

 

Sara Maar

27 maggio 2020

Il Manifesto

 

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