“E’ terrorismo, ci difenderemo”


Michele Giorgio, Il Manifesto


Con un’azione di commando che uccide otto persone, gli Stati Uniti colpiscono per la prima volta il paese arabo. Bush rivendica: "Attacco per fermare Al Qaeda". Ma dietro la mossa di Washington c’è un avvertimento a tutto il Medio Oriente "non allineato".


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“E’ terrorismo, ci difenderemo”

La Siria ha definito ieri “criminale e terroristica” l’aggressione subita domenica nel villaggio di Sukkariyya da parte di un commando americano entrato nel suo territorio lungo la frontiera con l’Iraq (almeno otto le persone uccise). “Abbiamo bisogno di sapere perché hanno compiuto questa aggressione”, ha detto il ministro degli esteri britannico David Miliband. “Gli americani sappiano che stiamo facendo del nostro meglio”, ha aggiunto, in riferimento alle attività della sicurezza siriana per impedire le infiltrazioni di miliziani islamici diretti in Iraq. Washington, dopo essere rimasta in silenzio per molte ore, ieri ha rivendicato la paternità del raid aereo in territorio siriano. Una fonte governativa anonima ha descritto l’attacco come “un successo” nella lotta contro al Qaida. “Quando si è di fronte ad un’occasione importante, bisogna coglierla. E’ esattamente quanto le truppe americane aspettavano, in particolare quando si tratta di combattere contro stranieri che entrano in Iraq”, ha aggiunto la fonte lasciando intendere che le persone uccise, o almeno una parte di esse, erano un obiettivo di grande importanza. La Cnn da parte sua ha riferito dell’uccisione di un presunto trafficante di armi, Abu Ghaduya. La Siria invece parla di civili morti. Versioni sulle quali probabilmente non verrà fatta mai piena luce. L’attenzione si concentra perciò sul significato politico dell’aggressione e i suoi risvolti sullo scacchiere mediorientale. Un quotidiano siriano, al Thawra, ha denunciato il silenzio arabo sulla vicenda – condanne ufficiali sono arrivate solo da Teheran e da Beirut – domandandosi se esso non “incoraggi le forze di occupazione a commettere qualcosa di più grave”. Certo, nelle ore successive al raid, il segretario generale della Lega Araba Amr Moussa ha condannato l’attacco statunitense e denunciato la “violazione della sovranità siriana”, ma l’Arabia Saudita è rimasta in silenzio, come le altre petromonarchie. Hanno taciuto anche Giordania ed Egitto, segnalando che i principali alleati di Washington in Medio Oriente hanno gradito la “lezione” data dall’Amministrazione Usa uscente alla Siria. A parziale sostegno di Damasco è invece scesa la Francia, presidente di turno dell’Unione Europea, chiedendo che venga fatta “piena luce” sull’attacco. Mosca ha condannato apertamente il raid americano. “Crediamo che attacchi che sono da condannare non dovrebbero essere lanciati sul territorio di Stati sovrani”, ha detto il ministero degli esteri russo. Non deve essere sottovalutato anche l’appoggio che il governo iracheno ha dato al raid. Il portavoce Ali Debbagh ha sottolineato che Baghdad aveva già “chiesto alle autorità siriane di consegnare i membri di questo gruppo che utilizzano la Siria come base per le loro attività terroristiche contro l’Iraq”. Il governo nato sotto occupazione quindi si mostra in piena sintonia con Washington e conferma la sua disponibilità a raggiungere l’accordo di sicurezza in discussione con l’Amministrazione Bush che darà a Washington la possibilità di usare l’Iraq come un enorme base militare. “L’attacco a Sukkariyya ha una doppia chiave di lettura – ha detto al manifesto l’analista arabo Mouin Rabbani – la prima è l’evidente intenzione americana di affermare la volontà di continuare la cosiddetta guerra preventiva, colpendo, per la prima volta, la Siria che di recente è uscita dall’isolamento in cui Washington l’aveva costretta a rimanere per anni, peraltro senza poter reagire all’attacco israeliano (subito lo scorso anno, contro un presunto sito di sperimentazione nucleare, ndr)”. La seconda, ha aggiunto Rabbani, “è molto legata ai rapporti futuri tra Baghdad e Stati Uniti. Washington ha messo in chiaro quale sarà la strategia militare che attuerà grazie a basi militari (in Iraq) che sono situate tra Siria e Iran, paesi che considera ostili. Tutto ciò mentre varie formazioni politiche irachene sono impegnate a tentare di bloccare un accordo di cooperazione militare che già mostra la sua pericolosità per la stabilità della regione”. Sullo sfondo si muove il presidente siriano Bashar Assad. Se da un lato può vantare alcuni successi diplomatici, soprattutto nelle relazioni con l’Europa, e politici in Libano, dall’altro il suo paese, un tempo impenetrabile, si mostra esposto alle infiltrazioni dei qaedisti libanesi e dei servizi segreti stranieri. Nell’ultimo anno in Siria sono stati uccisi il capo militare di Hezbollah, Imad Mughniyeh, e un esponente di primo piano degli apparati di sicurezza, vicino al presidente Assad. Senza dimenticare gli attentati rimasti avvolti nel mistero.

Michele Giorgio
Fonte: il manifesto
28 ottobre 2008

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