Centinaia di palestinesi arrestati: “pulizia per la Pasqua”


Nena News


Fermati 468 palestinesi senza permesso in territorio israeliano in un’operazione che la polizia di Tel Aviv ha chiamato “Rimuovere il Chametz”, i cibi proibiti durante la festa. Adalah: “Razzismo”


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Sul campo lo Stato di Israele ha dispiegato 2.300 uomini, tra poliziotti e volontari. E anche l’aviazione. Sabato scorso il lancio dell’operazione, ribattezzata “Removing Chametz”, rimuovere il chametz, per la religione ebraica tutti la pulizia e l’eliminazione dalle proprie case dei cibi proibiti durante la Pasqua ebraica, cibi non kosher e cibi prodotti da grano o cereali, mescolati con acqua e lasciati a lievitare.

I chametz in questione sono i lavoratori palestinesi illegali in Israele, provenienti dalla Cisgiordania: in pochi giorni ne sono stati arrestati almeno 468, fa sapere la polizia israeliana. Fermati e multati anche 8 datori di lavoro 17 caporali e 24 “trasportatori”, quelli che vanno a prendere gli operai al confine e li distribuiscono nei cantieri e nelle aziende agricole.

Il portavoce della polizia, Micky Rosenfeld, ha parlato di perquisizioni in decine di luoghi di lavoro in Israele e annunciato che “l’operazione continuerò fino a quando sarà necessario”. In vista della Pasqua ebraica (che inizierà il 30 marzo, quest’anno coincidente con la Giornata della Terra, la commemorazione dell’uccisione di sei palestinesi in Galilea nel 1976, mentre difendevano la propria terra dalla confisca). Ha poi aggiunto che 14 dei quasi 500 arrestati sono accusati di “attività terroristiche” e altri nove residenti ad Umm al Fahem – nel triangolo nel nord est di Israele, a maggioranza palestinese – di aver condotto i palestinesi della Cisgiordania illegalmente in territorio israeliano.

L’operazione non stupisce troppo: da sempre le autorità israeliane ne compiono di simili prima e durante le feste ebraiche. Arresti generalizzati ma anche la chiusura dei checkpoint tra i Territori Occupati e Israele, di fatto impedendo ai pochi palestinesi muniti di permesso israeliano di recarsi al lavoro per giorni, a volte per settimane. Succederà anche stavolta: da domani per otto giorni Gaza e Cisgiordania saranno completamente sigillate al transito palestinesi, restando aperto solo a quello dei coloni israeliani.

Subito si è sollevata la protesta delle organizzazioni legali e per i diritti umani. Adalah, nota associazione che si occupa della minoranza palestinese in Israele, ha condannato l’operazione in sé, ma anche il nome razzista che gli è stato attribuito: “La terminologia della polizia israeliana verso persone che come il cibo devono essere rimosse dimostra il carattere razzista della sua attività – si legge in una nota – Alla fine si tratta di pulizia etnica”.

Secondo il Cogat, l’ente israeliano responsabile per i Territori Occupati, ogni giorno transitano legalmente 70mila lavoratori palestinesi, un numero molto più basso rispetto ai livelli pre-Seconda Intifada: con la costruzione del muro e l’implementazione del regime dei permessi, il numero di lavoratori legali si è drasticamente ridotto, anche a causa di una volontaria politica da parte israeliana di loro sostituzione con immigrati stranieri, in particolare dall’Asia dell’Est. Sarebbero invece almeno 50mila i palestinesi lavoratori illegali sia in Israele che nelle colonie, persone che attraversano la Linea Verde con l’aiuto di passeur e caporali, sborsando denaro per poter essere impiegati per qualche settimana nei cantieri o nelle aziende agricole.

Privi di qualsiasi diritto e forma di tutela, senza protezioni durante lo svolgimento del loro lavoro, sono sottopagati rispetto al salario minimo israeliano e lo “stipendio” è spesso decurtato dai datori di lavoro che chiedono denaro per l’alloggio. Alloggio che spesso è lo stesso cantiere in cui lavorano, costantemente in fuga dai controlli della polizia: abusi e violazioni sono casi comuni, fino al carcere per chi viene sorpreso senza documenti.

Ma le forze armate operano solo in casi particolari, come l’attuale operazione: esercito, polizia e governo conoscono benissimo la tratta dei lavoratori e luoghi di lavoro, ma chiudono un occhio. Dopotutto si tratta di manodopera a basso costo e zero diritti. Che non merita nemmeno un minimo di sicurezza: le organizzazioni palestinesi denunciano casi di morti bianche o infortuni di illegali,di lavoratori  abbandonati dai datori di lavoro. E se riescono a raggiungere un ospedale, si vedono recapitare a casa conti salatissimi.

Nena News

28 marzo 2018

 

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