Birmania: “Non lasciamo sola la popolazione”


Elisabetta Norzi


Margherita Bebi, rappresentante dell’Euro Burma Office di Bruxelles, ci aggiorna sulla situazione di questi ultimi giorni a Rangoon e nelle principali città birmane. Migliaia gli arrestati, strade presidiate dalla polizia e occultamento dei morti che vengono cremati.


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Birmania: “Non lasciamo sola la popolazione”

Città presidiate dai militari, migliaia di arresti e occultamento dei morti. Dopo la violenta repressione della giunta militare, le manifestazioni nelle principali città birmane si sono fermate. Ma qualcosa si sta muovendo nel paese. Margherita Bebi, rappresentante dell’Euro Burma Office di Bruxelles, struttura impegnata a sostegno della democrazia in Myanmar, ci aggiorna sulla situazione di questi ultimi giorni.

Com’è in questo momento la situazione in Birmania?

Le ultime notizie, dai contatti che abbiamo nel paese, dicono che non ci sono più state manifestazioni, che le strade sono deserte e che la polizia presidia le città, le scuole, i monasteri, i templi. C’è insomma una calma apparente: con i militare a ogni angolo, le manifestazioni non sono proprio possibili.

E sui numeri degli arrestati e dei morti, che notizie avete?

Ci sono pareri molto discordanti. Il dato di fatto è che ci sono migliaia di persone scomparse, monaci e non solo; qualcuno parla di 6000 persone arrestate o portate via. Si sa poi che le prigioni sono piene e che stanno usando scuole e altri luoghi per tenere gli arrestati che non sanno più dove mettere. I morti sono stati molti, sicuramente più di quelli dichiarati ufficialmente. Il problema è che stanno occultando ogni traccia di ciò che hanno fatto. Pare che abbiano cremato moltissimi corpi perché non si possa sapere quante persone sono in realtà morte.

Secondo lei si sta muovendo qualcosa nel paese? Il generale Thau Shwe ha chiesto un incontro con Aung San Suu Kyi, ha parlato con l’inviato speciale dell’Onu Ibrahim Gambari e il rappresentante Usa in Birmania sembra sia stato contattato dalla giunta.

Si sta muovendo sicuramente qualcosa: normalmente i generali si sono sempre rifiutati di dialogare, in questi anni ci sono stati solo dei no netti. Ci sono poi divisioni all’interno dei militari, che c’erano già prima delle manifestazioni dei giorni scorsi, ma che si sono certo acuite. Il regime si trova sicuramente in difficoltà, sono spaventati anche loro. Può darsi che questo sia l’inizio di un dialogo che porti verso una transizione per la democrazia.

Nell’88 le manifestazioni del popolo sono state represse nel sangue con 3000 morti, secondo lei oggi che cosa può esserci di diverso?

Allora la Birmania era totalmente isolata dal resto del mondo, non si sapeva nulla. Ora, grazie a internet, le immagini, i video, le notizie escono, girano per tutto il mondo. Questa è una grande forza, perché il paese è sotto gli occhi di tutti. In più giocano un ruolo fondamentale altri stati, come la Cina, l’India, la Russia. Pare che la Cina si stia muovendo per fare pressioni sul regime birmano affinché venga avviato un percorso verso la democrazia.

Che cosa possiamo fare da qui, come cittadini, per sostenere il popolo birmano?

La cosa più importante è non dimenticarli, non lasciarli soli. Ora la Birmania è su tutti i giornali, ma già l’attenzione si sta attenuando. E’ importante tenere viva l’attenzione sul paese, con eventi di qualsiasi genere: campagne, mostre, dibattiti. Il punto vero, però, sono le sanzioni economiche che i paesi europei e gli Stati Uniti dovrebbero rispettare davvero: l’embargo è fittizio, ci sono moltissime compagnie e aziende che hanno rapporti commerciali con la Birmania, un paese ricchissimo di petrolio, gas naturale e altre risorse. Ecco, i cittadini possono fare pressioni sui loro politici perché le sanzioni siano veramente rispettate. Anche boicottare le Olimpiadi di Pechino 2008 potrebbe essere utile perché la Cina, il paese che ha più potere in Birmania, faccia davvero pressioni sul regime.

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