Albania. Quanto volano alto i diritti umani nel paese delle aquile?


Debora Sanguinato


La cooperazione e l’esperienza del VIS -Volontariato Internazionale per lo Sviluppo- in Albania per affermare che: "I diritti umani oggi non sono più sconosciute parole frutto dei filosofi benpensanti del “Nord” del mondo ma una realtà per la quale lottare, insieme".


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Albania. Quanto volano alto i diritti umani nel paese delle aquile?

Basta salire su un aereo e fare circa un’ora e mezza di volo per incontrare un popolo davvero speciale.
Così vicini e pure così lontani. Jonathan Livingston potrebbe dirci che “Nessun luogo è lontano” ma non sempre è facile crederlo.
L’Albania è sicuramente uno dei paesi dell’Est Europa con una storia molto complessa alle spalle e con una tradizione culturale a volte molto ingombrante.
Attraverso i media abbiamo conosciuto di riflesso le evoluzioni socio-politiche del paese, dalla fine del regime comunista ai disordini dei primi anni ’90, ma nessuno ci ha mai parlato con il cuore della gente, degli uomini, delle donne e dei bambini che in silenzio hanno subito la violenza e l’odio praticato da molti.
La tormentata storia albanese, nei decenni, ha favorito un irrigidimento culturale della società civile così “importante” da delineare quasi i contorni di un paese dove parlare di diritti umani appariva, sino a non troppo tempo fa, quasi una chimera. In effetti ancora oggi i diritti umani vengono percepiti come qualcosa di immateriale che si fa fatica ad apprendere.
Ma con le inquietudini interne dei primi anni ‘90 sono iniziati ad arrivare anche i primi aiuti internazionali e le prime ONG attive sul campo sono accorse per dare il loro sostegno e il loro aiuto.
Il VIS – Volontariato Internazionale per lo Sviluppo – organizzazione non governativa da sempre attiva nel settore del volontariato internazionale e dell’educazione ai diritti umani, è presente in Albania dal 1991 a fianco dei missionari salesiani del Centro Don Bosco di Tirana, lavorando incessantemente con bambini e adolescenti dei quartieri di Laprakë e Breglumasi per fornire loro un futuro migliore.
L’obiettivo principale? Promuovere e proteggere i diritti delle categorie più vulnerabili, bambini, adolescenti, donne.
Dal 2000 al 2004 il VIS ha lavorato strenuamente alla riforma del vecchio codice di famiglia albanese, una riforma partecipata che ha coinvolto un centinaio di Ong che hanno potuto esprimere il proprio parere sul testo.
Il VIS è stata la prima ong a tradurre in italiano il vecchio codice di famiglia del 1982 scoprendone lacune profonde in termine di protezione dei diritti dei minori.
Così nel luglio 2004 iniziava il primo progetto EIDHR (European Iniziative of Democracy and Human Rights) del VIS in Albania per la tutela dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Nel novembre 2007 terminava il secondo, sulla non discriminazione dei bambini rom e gipsy, una realtà molto forte nel paese e avvertita ancora oggi con grande disagio. Su una popolazione di circa tre milioni e duecento abitanti, attualmente la popolazione rom si aggira intorno alle centoventi mila persone.
Durante il regime comunista ai rom presenti sul territorio non era concesso il diritto di movimento, per cui migliaia di persone furono obbligate a radunarsi in accampamenti che divennero nel tempo stanziali. Nonostante la politica interna che sotto il comunismo tendeva a favorire fortemente l’integrazione dei nomadi con il resto della società civile, ancora oggi i rapporti tra le differenti etnie sono difficili.
L’Unione Europea ha dichiarato il 2008 l’anno del dialogo interculturale.
Riempiamo sempre più spesso le pagine dei libri parlando di integrazione ma non si sa perché partiamo dal presupposto che debba essere sempre l’altro ad abbracciare la nostra tradizione socio-culturale. Un’identità di partenza, quindi, sempre in conflitto con un’identità di approdo spesso troppo ingombrante. Ma se l’obiettivo è davvero l’incontro, se la strada da percorrere è davvero quella del dialogo interculturale, forse dobbiamo comprendere che le identità in gioco sono anche le nostre, noi che al tempo stesso, in questo gioco interattivo, siamo attori e spettatori.
Detto questo, tutto sembrerebbe molto semplice, in verità la complessità del viverci è a volte talmente forte da rendere l’impresa quasi utopica.
Come si può accettare che bambini ed adolescenti non abbiano tutti gli stessi diritti o le stesse opportunità? Come si può accettare che ancora oggi le donne siano percepite come meri oggetti e non come soggetti di diritto capaci di emozioni, pensieri, aspirazioni, capacità? Tutto questo indigna e quel dialogo interculturale con cui amiamo riempire le nostre tavole rotonde diventa a volte insostenibile.
La magia però si realizza sempre e quell’indignazione sa trasformarsi in energia. L’energia di chi ci crede davvero che un mondo possibile è dietro l’angolo. L’energia di quelle donne, apparentemente private della loro dignità, che lavorano nel “sottobosco” (perché in superficie non gli sarebbe permesso) giorno dopo giorno affinché le loro figlie possano essere “donne libere”, libere di essere, di pensare, di amare.
I diritti umani oggi non sono più sconosciute parole frutto dei filosofi benpensanti del “Nord” del mondo ma una realtà per la quale lottare, insieme.
Ho parlato con le persone del posto, uomini, donne, bambini. Ho ascoltato i loro sogni e le loro aspirazioni. E oggi so che quel dialogo interculturale che, appena atterrata in Albania mi sembrava solo un lontano miraggio, oggi ha un significato autentico.

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