Africa, inferno dei rifugiati nel “triangolo della morte”


Umberto De Giovannangeli - L'Unità


Dalla Somalia al Kenya all’Etiopia: un rapporto dell’agenzia umanitaria Oxfam dà conto delle terribili condizioni di vita nei campi profughi.


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Africa, inferno dei rifugiati nel “triangolo della morte”

È il triangolo della morte. Quello in cui umanità sofferente cerca rifugio trovando violenza, patimenti, umiliazioni.
Il nostri “viaggio” nell’inferno dei campi profughi in Somalia, Etiopia, Kenya, dà conto di una “emergenza umanitaria” per i rifugiati che solo chi ha obnubilato mente e cuore può negare.
A guidarci è un recente rapporto dell’associazione umanitaria britannica Oxfam.
Un rapporto ricco di dati, di testimonianze. Che apre uno squarcio di luce su una realtà che i potenti della Terra  vorrebbero dimenticare, oscurandola.
Il triangolo della vergogna , Somalia, Etiopia e Kenya, segnato dal degrado dei campi per i rifugiati; una sistemazione che Oxfam definisce “una tragedia umana di proporzioni impensabili”.

Davanti al sovraffollamento,
alla mancanza di servizi basilari e alle malattie che si propagano nei campi, la risposta internazionale al problema è stata, secondo l’organizzazione internazionale, “scandalosamente inadeguata”. Uno scandalo in crescita.
Uno scandalo accompagnato dal silenzio complice della comunità internazionale.
Il campo di Dadaab, in Kenya, ospita una delle più grandi concentrazioni si rifugiati nel mondo: ci vivono più di 300mila persone, invece dei 90mila che potrebbero ospitare perché i somali continuano a fuggire dalla violenza e cercano rifugio in Kenya.
E l’emergenza si aggrava: il campo aumenta di 8mila unità ogni mese. Sono stati confermati più di venti casi di colera.
“Abbiamo veramente bisogno di altro terreno, di altro spazio per poter distribuire meglio le persone” , dice a l’Unità uno dei responsabili di Oxfam, Paul Smith Lomas.
“Abbiamo avuto promesse per mesi, ma ora ci devono essere i fatti”, aggiunge Smith Lomas.
“La soluzione finale- rimarca il responsabile Oxfam –deve essere un accordo di negoziazione per la pace”.
Il commissario per i rifugiati in Kenya, Peter Kusimba, ha risposto che il processo potrebbe essere lento, ma che stanno per essere indicati nuovi terreni per decongestionare i campi esistenti.
Anche in Somalia la situazione è critica: dato che le violenze continuano, non tutti riescono a lasciare il paese. La città di Afgooye, a pochi  silometri da Mogadiscio, ospita mezzo milione di rifugiati somali: è la città con il più alto tasso di densità di sfollati. Le condizioni di insicurezza rendono poi difficile per le agenzie locali e internazionali recapitare gli aiuti. Per Oxfam si tratta di una “tragedia umanitaria di proporzioni inimmaginabili”, di fronte alla quale la risposta della comunità internazionale è stata “vergognosamente inadeguata”.

La Somalia
è retta da un governo formalmente sostenuto dalle Nazioni Unite, ma gli insorti islamici controllano larghe zone di territorio. L’unica soluzione, insiste Smith Lomas, è la pace.
“Molto è stato fatto, molto è ancora da fare-afferma-. Fino a quando le persone non avranno la sicurezza e la pace , noi dovremo continuare a rispondere a questi bisogni umanitari”.
Nel maggio scorso Medici Senza Frontiere ha denunciato la drammatica situazione nei campi profughi al confine con il Kenya: “oltre 270mila rifugiati somali rischiano la fame, e stanno considerando di rientrare nelle zone di conflitto”.
Dice Isabel Ségui-Bitz, presidente di Msf Svizzera, da tempo impiegata in quella trincea umanitaria :parliamo spesso della Somalia, ma a parte gli eventi che colpiscono direttamente i Paesi occidentali- gli assalti alla nevi da parte di soldati somali nel golfi di Aden- è un Paese trascurato dalla sfera mediatica.
Tuttavia i suoi dieci milioni di abitanti vivono da quasi vent’anni una crisi umanitaria che ha assunto, in questi ultimi anni , proporzioni spropositate.
La Somalia , rileva Ségui-Bitz ,rappresenta oggi un concentrato di tutte le situazioni di emergenze che l’equipe di Msf devono affrontare sul campo: centinaia di migliaia di profughi che fuggono dalle zone dei combattimenti, tassi preoccupanti di malnutrizione ed epidemie che colpiscono in particolare i bambini, feriti di guerra, ecc. in conseguenza degli scontri armati e dell’assenza di controllo sul territorio da parte del governo centrale, non esiste sul posto alcuna struttura sanitaria pubblica.
“In Somalia la popolazione civile subisce omicidi, torture e stupri; i saccheggi sono diffusi e interi centri abitati vengono distrutti”, rimarca Michelle kagaru, vicedirettrice del Programma Africa di Amnesty International.

Decide di milioni
di persone vivono nel mondo in una situazione di estrema precarietà nei campi profughi.
In tutti i continenti, sono fuggite dalle loro abitazioni abbandonando affetti, sicurezze, lavoro.
Fuggite perché minacciate da guerre, distruzioni, conflitti etnici o religiosi, discriminazioni, instabilità o carestie.
Fuggite nella speranza di trovare assistenza e protezione in altri luoghi.
Per poter sopravvivere dipendono dagli aiuti della comunità internazionale. Aiuti che si riducono, a fronte di una emergenza che cresce di giorno in giorno.
Sono 42milioni, secondo il rapporto statistico annuale dell’Alto Commissariato dell’Onu per i Rifugiati (Unhcr) -“Global Trends”- “le persone costrette alla fuga da guerre e persecuzioni alla fine del 2008”. secondo il rapporto dell’Unhcr l’80% dei rifugiati del  mondo si trova in Paesi in via di sviluppo, così come la stragrande maggioranza degli sfollati- una popolazione nei confronti della quale cresce l’impegno dell’Unhcr. Molte persone sono in esilio da anni senza la prospettiva di una soluzione.
I dati provvisori del 2009 indicano una tendenza in aumento principalmente in Pakistan, Sri Lanka e Somalia.
L’esercito dei senza speranza né diritti cresce.
Nel silenzio dei potenti della Terra, nel disinteresse dei grandi mass media. 

Fonte: l'Unità

14 settembre 2009

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