A Sana’a, frontiera del terrore. "Democrazia o bombe: chi è Obama?"


Pietro Del Re


La guerra al terrorismo vista dal sud yemenita. E’ il Paese con più alta concentrazione di armi. Il governo, già fragile, è in difficoltà sull’offensiva contro i terroristi.


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A Sana'a, frontiera del terrore. "Democrazia o bombe: chi è Obama?"

SANA'A – A mezzogiorno il suq della città vecchia è agitato dalla solita, alacre confusione. Da qualche ora lo Yemen è nel mirino degli americani, ma delle minacce che gravano sul Paese, che si tratti di qualche razzo sparato dai droni o del tritolo di Al Qaeda, si parlerà più tardi, nel pomeriggio, masticando foglie di qat, la droga locale a cui vengono attribuite numerose virtù, quali, ad esempio, stimolare l'intelletto e incrementare la capacità di reciproca comprensione.

"Dovrebbe masticarne anche il presidente Obama", ironizza Mujahed, un omone con i baffi a manubrio, che alla cintola ostenta nel suo fodero verde una jambija, quel pugnale cerimoniale che gli yemeniti indossano con la stessa civetteria che le cravatte di seta i banchieri di Wall Street. "Se l'idea di democrazia del presidente americano consiste nello scegliere un nemico per poterlo bombardare, proprio come ha fatto Bush con l'Iraq, allora preferisco la monarchia o la dittatura", aggiunge Mujahed, circondato da una nuvola di fragranze sprigionate dalla curcuma, dal cardamomo e dalle altre spezie che ingombrano il suo negozietto.

I pericoli che incombono sul Paese nascono dalla rivendicazione del mancato attentato sul volo Amsterdam-Detroit il giorno di Natale da parte di un gruppuscolo appartenente alla nebulosa di Al Qaeda, l'Aqpa, operante nella Penisola arabica. Il 28 dicembre, i terroristi hanno riconosciuto l'errore compiuto dal "fratello nigeriano" Omar Farouk Abdul Mutallab, immobilizzato a bordo dell'aereo dagli stessi passeggeri. Ma nel loro comunicato, gli uomini dell'Aqpa hanno anche specificato che Abdul Mutallab era stato addestrato nello Yemen. Dopo il suo arresto, il nigeriano ha ammesso di essersi procurato proprio a Sana'a l'esplosivo che nascondeva nelle mutande.

Che cosa accadrà adesso? Giriamo la domanda al colonnello Musaid Az-Zahri del ministero dell'Interno, il quale da buon soldato non indossa né jambija né turbante, ma veste, più sobriamente, con un doppiopetto verde militare. Dice Az-Zahri: "Lo Yemen non diventerà di certo un teatro di guerra come lo sono il Pakistan o l'Afghanistan. Ma, per via della crescente presenza di Al Qaeda, gli Stati Uniti sono sempre più interessati al nostro Paese". Lo dimostrano anche gli aiuti militari di Washington all'esercito di Sana'a che, secondo il Pentagono, hanno raggiunto i 70 milioni di dollari nel 2009, mentre l'anno precedente non era stato versato un solo centesimo.
Come spiega ancora il colonnello Az-Zahri, qui, a differenza di altre nazioni musulmane, gli Stati Uniti non sono visti come Satana, tutt'altro. "Gli americani devono però stare attenti, perché altri errori come quelli compiuti nelle province di Abyan e Shabwa, nell'est e nel sud-est del Paese, spingerebbero la popolazione tra le braccia dei terroristi". Lì, nel corso di bombardamenti da parte dell'esercito yemenita contro presunti campi d'addestramento di Al Qaeda, sono stati uccisi sessantadue civili il 17 dicembre e quarantasei il 20, di cui, in quest'ultima località, ventitré bambini e diciassette donne. Tre giorni fa, il ministro della Difesa yemenita ha dichiarato che quegli eccidi sono stati opera del suo esercito, tratto in inganno, però, da informazioni ricevute dalla US Army.

Una dichiarazione che conferma quanto scritto pochi giorni fa dal New York Times, ossia che agenti delle forze speciali statunitensi operano nello Yemen.
L'ambasciatore italiano Mario Boffo interpreta così la tensione di questi giorni: "L'esercito yemenita ha cominciato a effettuare un profondo repulisti nelle regioni dove tradizionalmente s'annida Al Qaeda. Ora, i terroristi reagiscono come possono: minacciando e, a volte, concretizzando le loro minacce". Gli chiediamo se sconsiglia perciò di rinviare viaggi di piacere nello Yemen. "Assolutamente", risponde.

Tra le antiche case a torre del centro, con i piani inferiori costruiti in basalto e quelli superiori di mattoni rossi intonacati di gesso bianco, incontri solo pochi soldati e poliziotti che imbracciano il fucile. Gli scontri sono altrove, tra le montagne e negli altipiani dove il governo yemenita ha appena minacciato nuove rappresaglie contro Al Qaeda e intimato ai gruppi tribali di non fornirgli supporto. Spaventate da quanto è accaduto nelle province vicine, e dall'eventualità che nei prossimi giorni possa scatenarsi un inferno di fuoco, le tribù di Marib hanno immediatamente esortato i terroristi a lasciare le loro terre, in particolare la valle di Abaida, dove questi hanno allestito un loro nuovo quartier generale. "In caso contrario, siamo pronti a chiamare rinforzi da altre regioni e, assieme ai nostri fratelli, scacciarli dal Marib", ha detto alla radio yemenita uno dei capi tribù.

Secondo Abu Bakr al-Qirbi, ministro degli Esteri dello Yemen, Al Qaeda può contare nel Paese su due-trecento uomini ben addestrati, che stanno magari preparando attentati simili a quello del volo della Delta Airlines. Al-Qirbi accusa però le potenze straniere di non aver impedito che le montagne del suo Paese diventassero un nuovo santuario del terrorismo: "Com'è possibile che nazioni come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna decidano di agire soltanto adesso? Al punto in cui siamo, c'è un solo modo per risolvere il problema: lavorare tutti insieme".

In realtà, lo Yemen è da sempre una base nascosta dei jihadisti. Quasi la metà – 91 su 198 – dei prigionieri ancora incarcerati nel campo di detenzione americano di Guantanamo sono di nazionalità yemenita. Questi gruppuscoli hanno sempre trovato qui un terreno favorevole: la debolezza del governo centrale, un islamismo radicale di lunga data e vaste aeree sotto controllo tribale. A questi fattori bisogna aggiungere la guerra che da anni l'esercito conduce contro la setta sciita dei ribelli zayditi a nord, le tensioni separatiste che sconvolgono il sud e, infine, la folta presenza di trafficanti di droga nei tre governatorati più orientali.
Nel suq dell'"oro verde" – così gli yemeniti chiamano il qat – fai fatica a camminare. I venditori delle piccole fascine ingombrano le strade, alcuni esponendo la loro mercanzia sui marciapiedi, altri su carretti, altri ancora, i più ricchi, su bancarelle coperte da tendine. Il qat non è a buon mercato e i compratori trattano sul prezzo, perché una rubta, ovvero una piccola fascina di cinque o sei steli, costa intorno ai sette dollari e si calcola che gli yemeniti spendano un terzo del loro stipendio per questo vizio.

"Nel 2008, l'evasione da un carcere yemenita di una ventina di uomini di spicco di Al Qaeda ha raffreddato le già tese relazioni tra Washington e Sana'a", spiega un diplomatico che preferisce restare nell'ombra. "Se gli Stati Uniti preferiscono non rilasciare i detenuti yemeniti di Guantanamo è perché almeno una trentina di quelli liberati, una volta rientrati in patria, sono tornati nelle fila di Al Qaeda". C'è poi un'altra persona a dividere i due Paesi: lo sceicco Ali Hassan Al-Moayad, catturato in Germania nel 2003, estradato negli Stati Uniti, condannato a 75 anni di galera per terrorismo e infine rispedito a Sana'a nel 2009, dove è stato accolto come un eroe da una delegazione che comprendeva tre ministri.

Nonostante la jambija appoggiata sul suo ampio ventre, Abdul Bari Husein Faleh fuma sigarette americane e mastica un buon inglese. Lavora per la Grande Moschea della città vecchia, un edificio che fu eretto intorno al 630, nei primissimi anni della diffusione dell'Islam nello Yemen, quando era ancora in vita il profeta Maometto. È un uomo informato, Abdul, poiché ogni mattina legge lo Yemen Observer e ogni sera guarda il telegiornale di Al Jazeera. Sostiene Abdul che i raid compiuti nei giorni scorsi hanno già provocato conseguenze gravissime a livello politico, con l'opposizione #formata dal partito socialista e da quello islamico che denuncia la strumentalizzazione della guerra contro Al Qaeda per combattere i secessionisti del Sud. "Ma la responsabilità americana in quei bombardamenti ha prodotto conseguenze ancora più gravi nel popolo yemenita. Il quale è convinto che Obama può anche ucciderci tutti. Ma che alla fine sarà Allah ad uccidere lui".

Articolo di Pietro Del Re

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